Marito e
moglie,
Santella e mast’arcangelo
si trasferirono a Telese
alla fine degli anni
quaranta o agli inizi degli anni 50 e gestivano
il famoso BAR VASSALLO, quello che fa angolo con
viale Minieri e
‘o vico d’’e Maculino.
Essi
rappresentano
un altro passaggio obbligato per approfondire la
conoscenza della vita
di quei tempi
giacché in quel bar, per un motivo o l’altro,
credo ci sia passata la quasi totalità dei
cittadini di Telese.
Una
coppia ben assortita, perché al carattere
burbero ed irascibile
‘e mast’Arcangelo,
si contrapponeva
quello
più gioviale ed accomodante di Santella.
Mostravano di avere una spiccata attitudine al
commercio perché
introdussero a
Telese alcune novità assolute, tra le quali
l’insegna luminosa di tipo verticale con la
scritta:
B
A
R
V
A
S
S
A
L
L
O
Un’altra
novità di rilievo fu il bigliardino, un
meraviglioso mobile di legno con i pupazzi
bianchi e neri,
curato nei minimi particolari.
Quel bigliardino di legno, con
i suoi giocatori consumati agli angoli e le
stecche di ferro lunghe che di tanto in tanto si
spezzavano, rimane unico nel suo genere in
quanto, quelli della generazione successiva,
vennero costruiti con i pupazzi di plastica,
sicuramente indeformabili e più resistenti, ma
senza il fascino di quelli di legno.
Lo sistemarono nella stanza
che si trovava dietro al bar ed i primi
beneficiari del “giocattolo” furono i giovani
leoni del tempo, cioè i nati negli anni 35/40; a
noi più piccoli non rimaneva che guardare ed
apprendere, in attesa del nostro turno.
Questo
gioco ottenne un grande successo. Ricordo che
bisognava fare la fila per fare una partita e
noi più piccoli, solo per guardare, dovevamo
salire sulle sedie e sbirciare attraverso una
marea di capocce. Tra i tanti talenti di quella
epoca spiccavano, per quanto mi risulta,
Marcello Palumbo,
‘o figlio d’’o sorvegliante
e Tonino ‘e
Girardo.
Questa
generazione si avvicinò al gioco del bigliardino
quando erano già grandicelli e pur ridendo e
scherzando, tenevano comunque un comportamento
complessivamente composto e
tale da non
suscitare le ire di mast’Arcangelo. Altra storia
fu allorquando essi, sentendosi ormai vecchi per
quel gioco, sgombrarono il campo favorendo il
subentro della nostra generazione, con una età
media tra i 13 e i 18 anni.
Giocavamo
a bigliardino ed anche alla grande, ma
soprattutto facevamo
‘ammuìna:
strilli,
schiamazzi, risse, di tutto e di più.
Mast’Arcangelo
sopportava fino ad un certo
punto, finché non perdeva del tutto la pazienza
e si catapultava nella stanza ove era situato il
bigliardino, seguito da Santella che lo
tratteneva, e agitando le mani all’altezza delle
orecchie pronunciava le storiche frasi:
-
Guagliù, sanghe d’a
miseria, si nun ‘a fernite, ve piglio a uno a
uno e ve sbatto cu’ ‘a capa nfacci’’o muro!;
-
Guagliù, sanghe d’’a
marina, si m’avota ‘a capa, faccio una mappata e
ve schizzo cu’ ‘e cervelle vicino ’o muro!
Naturalmente non ci ha mai
toccati neanche con un dito! Confesso però che
le prime volte riusciva ad impressionarci, ma
poi con l’andare del tempo avevamo capito che in
fondo era un bonaccione e quando capitava che
faceva quelle sparate, ci guardavamo in faccia
con complicità e addirittura ci abbandonavamo a
qualche sorrisetto.
Quando però capì che non
riusciva più a spaventarci, pensò bene di
rincarare la dose e, sempre facendo la faccia
feroce, cominciò a profferire frasi del tipo:
-
Guagliù, sanghe d’’a
miseria, nun pazziate cu’ mme, ca i’ cu’ ‘e
frate mieje, assaltavamo ‘e diliggenze!;
-
Guagliù, sanghe d’’a
marina, vuje ve ne approfittate pecché site
piccerille e i’ nun ve pozzo vàttere. Purtateme
‘e patre vuote, ca ‘e voglio scannà a uno a uno.
Tutto
questo sempre
cu’ Santella ca ‘o
manteneva e
sempre con una enfasi da grande artista di
teatro.
Non dirò chi sono stati i più
bravi giocatori di questa epoca, perché sarei in
conflitto di interessi; voglio solo aggiungere
che quando capitava una partita che vedeva
protagonisti Mario Martone e Nicola Gallo da una
parte, ed io e Cenzino Tizzano dall’altra, i
nostri amici in attesa del loro turno, anziché
giocare, preferivano guardare le nostre partite
infuocate.
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Santella
e mast’Arcangelo introdussero a Telese un’altra
novità: il gelato artigianale. Passammo dal
gelato semi ghiacciato
‘e zi’ Luigi ‘o zingaro
al gelato
cremoso di nuova generazione, che persiste
ancora oggi.
Ricordo
che mast’Arcangelo passava intere mattinate a
mescolare con delle palette di legno gli
ingredienti negli appositi cilindri di acciaio.
Io non ci ho mai capito niente, ma era chiaro
che per tirare fuori un gelato di quella bontà,
occorrevano, oltre che gli ingredienti
assolutamente naturali, anche grande passione e
maestria; doti che a mast’Arcangelo non
difettavano.
( Chello che le mancava a
mast’Arcangelo, era ‘a pacienza!)
I gusti erano solamente
quattro: nocciola, cioccolato, crema e limone.
Anche i tagli erano limitati: da lire 5, 10 e
20. Sembrerà assurdo, ma a quei tempi anche la
scelta del taglio del gelato era da mettere in
stretta relazione con le condizioni
economiche-sociali delle persone.
I coni venivano riempiti con
una palettina di metallo e la quantità di
gelato, per quanto abbastanza uniforme, era
comunque demandata alla discrezionalità dei
gestori e questa circostanza innescava dei
simpatici meccanismi.
Sulla
base delle reciproche esperienze, avevamo
scoperto che
mast’Arcangelo era “ cchiù
‘e maneca larga
rispetto alla moglie ed allora prima di entrare
nel bar, ci accertavamo che l’addetto alla
distribuzione fosse lui e, una volta entrati,
davamo vita al solito teatrino davanti al
bancone:
Mast’Arcà, m’arraccumanno,
facitammello a cuppulone
e dopo che l’aveva
confezionato
jammo, n’atu ppoco
e ancora dopo
jammo mast’Arcà, n’ata
ntecchietella;
una trattativa snervante.
Quando
non ne poterono più di questi continui baratti,
decisero di utilizzare degli appositi
confezionatori di forma semisferica, uno per i
gelati da 10 ed un altro per quelli da 20;
quelli da 5 lire continuarono ed essere
confezionati
a uocchio.
Ma la sensazione era che
l’aggeggio da lire 20 non era esattamente il
doppio di quello da 10 e per dissipare ogni
dubbio, inventammo, nei lontani anni 40/50, il
gelato con l’accompagnatore.
Reclutavamo un volontario che ci accompagnasse
nel bar e ordinavamo due gelati da 10 e, una
volta fuori,
annascuoste ‘e Santella e mast’Arcangelo
‘azzeccavamo ‘e
duje
gelate e ne
facevamo uno intero
Sarrà stata na’ fissazione,
ma a nuje,
dduje gelati ‘a 10,
ce parevano cchiù
grosse ‘e uno a vinte.
Riccardo Affinito.
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