12 dicembre 2008
Telese anni '50, Santella e mast’Arcangelo
Riccardo Affinito

 

 

                                                         

Marito e moglie, Santella e mast’arcangelo si trasferirono a Telese  alla fine degli anni quaranta o agli inizi degli anni 50 e gestivano il famoso BAR VASSALLO, quello che fa angolo con viale Minieri e ‘o vico d’’e Maculino. Essi  rappresentano un altro passaggio obbligato per approfondire la conoscenza della vita  di quei tempi giacché in quel bar, per un motivo o l’altro, credo ci sia passata la quasi totalità dei cittadini di Telese.

 

Una coppia ben assortita, perché al carattere burbero ed irascibile ‘e mast’Arcangelo, si contrapponeva  quello più gioviale ed accomodante di Santella.

 

Mostravano di avere una spiccata attitudine al commercio perché  introdussero a Telese alcune novità assolute, tra le quali l’insegna luminosa di tipo verticale con la scritta:

 

B

A

R

 

V

A

S

S

A

L

L

O

 

Un’altra novità di rilievo fu il bigliardino, un meraviglioso mobile di legno con i pupazzi  bianchi e neri, curato nei minimi particolari.

 

Quel bigliardino di legno, con i suoi giocatori consumati agli angoli e le stecche di ferro lunghe che di tanto in tanto si spezzavano, rimane unico nel suo genere in quanto, quelli della generazione successiva, vennero costruiti con i pupazzi di plastica, sicuramente indeformabili e più resistenti, ma senza il fascino di quelli di legno.

 

Lo sistemarono nella stanza che si trovava dietro al bar ed i primi beneficiari del “giocattolo” furono i giovani leoni del tempo, cioè i nati negli anni 35/40; a noi più piccoli non rimaneva che guardare ed apprendere, in attesa del nostro turno.

 

Questo gioco ottenne un grande successo. Ricordo che bisognava fare la fila per fare una partita e noi più piccoli, solo per guardare, dovevamo salire sulle sedie e sbirciare attraverso una marea di capocce. Tra i tanti talenti di quella epoca spiccavano, per quanto mi risulta, Marcello Palumbo, ‘o figlio d’’o sorvegliante e Tonino ‘e  Girardo.

 

Questa generazione si avvicinò al gioco del bigliardino quando erano già grandicelli e pur ridendo e scherzando, tenevano comunque un comportamento complessivamente composto e  tale da non suscitare le ire di mast’Arcangelo. Altra storia fu allorquando essi, sentendosi ormai vecchi per quel gioco, sgombrarono il campo favorendo il subentro della nostra generazione, con una età media tra i 13 e i 18 anni.

 

Giocavamo a bigliardino ed anche alla grande, ma soprattutto facevamo  ‘ammuìna: strilli, schiamazzi, risse, di tutto e di più. Mast’Arcangelo sopportava fino ad un certo punto, finché non perdeva del tutto la pazienza e si catapultava nella stanza ove era situato il bigliardino, seguito da Santella che lo tratteneva, e agitando le mani all’altezza delle orecchie pronunciava le storiche frasi:

 

-          Guagliù, sanghe d’a miseria, si nun ‘a fernite, ve piglio a uno a uno e ve sbatto cu’ ‘a capa nfacci’’o muro!;

-          Guagliù, sanghe d’’a marina, si m’avota ‘a capa, faccio una mappata e ve schizzo cu’ ‘e cervelle vicino ’o muro!

 

Naturalmente non ci ha mai toccati neanche con un dito! Confesso però che le prime volte riusciva ad impressionarci, ma poi con l’andare del tempo avevamo capito che in fondo era un bonaccione e quando capitava che faceva quelle sparate, ci guardavamo in faccia con complicità e addirittura ci abbandonavamo a qualche sorrisetto.

 

Quando però capì che non riusciva più a spaventarci, pensò bene di rincarare la dose e, sempre facendo la faccia feroce, cominciò a profferire frasi del tipo:

 

-          Guagliù, sanghe d’’a miseria, nun pazziate cu’ mme, ca i’ cu’ ‘e frate mieje, assaltavamo ‘e diliggenze!;

-          Guagliù, sanghe d’’a marina, vuje ve ne approfittate pecché site piccerille e i’ nun ve pozzo vàttere. Purtateme ‘e patre vuote, ca ‘e voglio scannà a uno a uno.

 

Tutto questo sempre cu’ Santella ca ‘o manteneva e sempre con una enfasi da grande artista di teatro.

 

Non dirò chi sono stati i più bravi giocatori di questa epoca, perché sarei in conflitto di interessi; voglio solo aggiungere che quando capitava una partita che vedeva protagonisti Mario Martone e Nicola Gallo da una parte, ed io e Cenzino Tizzano dall’altra, i nostri amici in attesa del loro turno, anziché giocare, preferivano guardare le nostre partite infuocate.

 

 

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Santella e mast’Arcangelo introdussero a Telese un’altra novità: il gelato artigianale. Passammo dal gelato semi ghiacciato ‘e zi’ Luigi ‘o zingaro al gelato cremoso di nuova generazione, che persiste ancora oggi.

 

Ricordo che mast’Arcangelo passava intere mattinate a mescolare con delle palette di legno gli ingredienti negli appositi cilindri di acciaio. Io non ci ho mai capito niente, ma era chiaro che per tirare fuori un gelato di quella bontà, occorrevano, oltre che gli ingredienti assolutamente naturali, anche grande passione e maestria; doti che a mast’Arcangelo non difettavano. ( Chello che le mancava a mast’Arcangelo, era ‘a pacienza!)

 

I gusti erano solamente quattro: nocciola, cioccolato, crema e limone. Anche i tagli erano limitati: da lire 5, 10 e 20. Sembrerà assurdo, ma a quei tempi anche la scelta del taglio del gelato era da mettere in stretta relazione con le condizioni economiche-sociali delle persone.

 

I coni venivano riempiti con una palettina di metallo e la quantità di gelato, per quanto abbastanza uniforme, era comunque demandata alla discrezionalità dei gestori e questa circostanza innescava dei simpatici meccanismi.

 

Sulla base delle reciproche esperienze, avevamo scoperto che mast’Arcangelo era “ cchiù ‘e maneca larga rispetto alla moglie ed allora prima di entrare nel bar, ci accertavamo che l’addetto alla distribuzione fosse lui e, una volta entrati, davamo vita al solito teatrino davanti al bancone:

 

Mast’Arcà, m’arraccumanno, facitammello a cuppulone e dopo che l’aveva confezionato jammo, n’atu ppoco e ancora dopo jammo mast’Arcà, n’ata ntecchietella; una trattativa snervante.

 

Quando non ne poterono più di questi continui baratti, decisero di utilizzare degli appositi confezionatori di forma semisferica, uno per i gelati da 10 ed un altro per quelli da 20; quelli da 5 lire continuarono ed essere confezionati a uocchio.

 

Ma la sensazione era che l’aggeggio da lire 20 non era esattamente il doppio di quello da 10 e per dissipare ogni dubbio, inventammo, nei lontani anni 40/50, il gelato con l’accompagnatore.

Reclutavamo un volontario che ci accompagnasse nel bar e ordinavamo due gelati da 10 e, una volta fuori, annascuoste ‘e Santella e mast’Arcangelo ‘azzeccavamo ‘e  duje gelate e ne facevamo uno intero

Sarrà stata na’ fissazione, ma a nuje,  dduje gelati ‘a 10,  ce parevano cchiù grosse ‘e uno a vinte.

 

Riccardo Affinito.

 

 

 

 

     

  Il Cantastorie  Riccardo Affinito


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