10 marzo 2009
Come nasce un proverbio
Riccardo Affinito

 

 

                                  

La storiella che racconterò fa parte di  uno dei tanti pomeriggi invernali che giovani e meno giovani  trascorrevano a Telese. Lo scenario è ,come quasi sempre, lo storico “dopolavoro” diventato poi, all’epoca dei fatti, “’o Bar ‘e Cleonice”.

 

Sono le due del pomeriggio e già ci sono dei tavolini occupati da persone di una certa età che giocano a scala quaranta:  Pietro Spigone, Isidoro Verrillo-mio zio  e altre persone di cui ricordo molto bene la fisionomia ma non più il nome.

 

In un'altro tavolo noi ragazzi: Pasquale Iorio, Pasquale Vaporieri, Michele Casbarre, a giocare a scala o a calabresella. Più in la  al bigliardo qualcuno  gioca a boccetta o a bazzica.

 

 Il tempo scorre lentamente il bar comincia a riempirsi di nuovi avventori e tanto fumo, il silenzio viene  interrotto dalla voce stridula di Cleonice che ci ricorda di fare qualche consumazione di tanto in tanto con il consueto, simpatico invito:

 

Guagliù, nun v'affullate....a uno a vòta!  

 

Verso le cinque del pomeriggio, quando il bar è già abbastanza pieno, quasi contemporaneamente arrivano Nicola Sparano e Pasquale Viola. Si cominciano a stuzzicare come dei pugili prima di un mach importante, il bigliardo rimane libero in pochi minuti , senza neanche la necessità di essere reclamato, e i due contendenti cominciano, sempre istigandosi l'un l'altro, a far scorrere le palline della boccetta per scaldarsi un pò e provare il campo di gioco.

 

Una volta raggiunto l'accordo sulla posta in palio, diecimila a partita ed eventualmente la bella da venti, comincia la serie di partite.

 

Un misterioso silenzio, rotto solo dal rumore delle palline che schioccavano, cala nella sala , i commenti del pubblico sui vari tiri vengono fatti  sotto voce, mentre i contendenti continuano a stuzzicarsi in modo fine e canzonatorio ma senza mai trascendere  anzi a volte facendosi anche degli apprezzamenti quando un bel tiro produceva un buon risultato tra gli applausi del  pubblico.  Io ci vedevo una certa nobiltà in tutto questo.

 

Ad un certo punto della partita Pasquale Viola  tenta un tiro magistrale , tre sponde ad effetto, il tiro riesce ma non produce il risultato desiderato allora cominciano i commenti di Pasquale che ,borbottando come una pentola di fagioli, cerca di attribuire il mancato risultato alla malasorte piuttosto che al colpo di tosse "ncopp’’a menata" di qualche spettatore o ad un poco di cenere di sigaretta fatta cadere maldestramente sul panno verde.

 

Intanto Nicola si prepara al tiro e commenta le scuse di Pasquale con un pesante: Quanno uno nun sape jucà,  va truvanno pelée" e sferra un ancora più potente sfaccio da cui viene fuori un filotto perfetto che chiude la partita a favore suo che ad alta voce tuona :" ‘a peléa va sempe arèta a chilli ch’anno péleàto!, raccoglie la posta in gioco, paga da bere a tutti e sene va.

 

Non so se questa storia vi è piaciuta, ma a me è rimasta impressa nella mente per circa quarantacinque anni ed ho voluto ricordarla a quelli che erano presenti e condividerla con tutti quelli che ci leggono su Vivitelese.

 

                                                   Pasquale Vaporieri

 

 

     

  Il Cantastorie  Riccardo Affinito


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