Ho
già avuto modo di sottolineare in altri miei
racconti, come le Terme di Telese fossero il
grande scenario nel quale nascevano, si
consumavano e morivano la maggior parte delle
storie d’amore del circondario, specialmente
quelle cosiddette “ estive”.
So
che a volte le cose che si raccontano del
passato potrebbero sembrare alquanto esagerate;
eppure ricordo che una volta, nell’ambito di un
incontro diocesano che si tenne a Cerreto
Sannita, fu il Vescovo in persona a denunziare a
tutti i giovani cattolici della Valle Telesina
che la maggior parte dei peccati contro il 6°
comandamento avvenivano nelle Terme di Telese ed
esortò i giovani cattolici telesini a vigilare.
Come raccomandare le pecore al lupo.
Evidentemente il Vescovo non sapeva, che da
questo punto di vista, noi giovani cattolici
telesini eravamo “i peggio”.
Con questa premessa, voglio raccontare un
aneddoto che riguarda uno dei più agguerriti
“
sciupafemmene”, che imperversava nelle terme
negli anni sessanta, un noto avvocato di
Solopaca con una spiccata attitudine alla bella
vita, uno scialacquatore puro che dal punto di
vista del divertimento, “ nun se faceva mancà
niente”.
Eravamo agli inizi degli anni 60. In quei tempi,
nelle terme c’erano due piste da ballo: Una più
piccola e più illuminata alla destra del bar,
guardandolo di fronte, frequentata
prevalentemente “dall’alta società” ed un’altra
più grande posizionata alla sinistra del bar
frequentata, prevalentemente, “dalla media e
piccola borghesia”.
Quest’ultima era delimitata, nella parte più
alta, da un muretto nel quale erano posizionate
le famose luci psichedeliche che diffondevano
una complice penombra.
Una sera eravamo seduti, come di consueto, sul
muretto e, come di consueto, sbirciavamo
tutt’intorno per scovare qualche ragazza da
invitare a ballare. Il noto avvocato stava
ballando con una ragazza di Foggia e quando il
ballo finì, ritornò al muretto alquanto
contrariato.
Quando gli chiedemmo le ragioni del suo
disappunto, rispose:
-
Sta’ scema n’ce vò stà. Chiù ll‘astrégno, e
cchiù chella se scosta. Ma dimanassera ‘a
sistemo i’, me metto nu’ cetrulo dint’’a sacca,
e po’ vedimmo.
Allora noi obiettammo:
-
Ma si te mitte nu’ cetrulo dint’’a sacca, ‘a
guagliòna se scosta cchiù assaje.
-
E no! Pecché chella sente che a
ccà è tuosto, e se vớtta a llà…e i’ llà
‘aspetto!
Riccardo Affinito
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