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Circolano leggende vere e proprie
sul rapporto tra Sergio Leone e le persone che
lavoravano accanto a lui.
La sua puntigliosità e la sua
ostinazione lo portarono a scontri furiosi con
diversi suoi collaboratori: da Age e Scarpelli,
co-sceneggiatori di
Il buono, il brutto, il cattivo, a
Eli Wallach, attore nello stesso film, per
arrivare allo sceneggiatore Luciano Vincenzoni.
Il fatto è che Leone aveva le idee estremamente
chiare sul risultato che voleva ottenere.
Passava ore con gli sceneggiatori
a mimare ciò che doveva accadere in ogni scena:
dava indicazioni precisissime agli attori,
interpretando personalmente tutte le parti
finché non riusciva a far capire loro come
doveva essere il personaggio.
L'impresa era resa ancor più
difficile dal fatto che quasi tutti i suoi
attori principali erano americani, e Leone non
spiccicava una parola di inglese.
Ogni scena veniva ripetuta un numero
impressionante di volte.
Si girava con la colonna sonora
come sottofondo: la musica era talmente
narrativa, talmente compenetrata all'azione, che
le scene non potevano esistere prima di essa.
Ennio Morricone la componeva basandosi sulle
indicazioni del regista: Leone gli descriveva le
scene, i temi, le situazioni a cui la musica
doveva essere legata, e Morricone scriveva.
Almeno una dozzina di motivi
venivano proposti e scartati, non perché fossero
brutti, ma perché non rispondevano appieno
all'idea che Leone voleva esprimere.
Era stonato come una campana, ma
sapeva esattamente cosa voleva, anche in fase di
registrazione, e non si fermava finché non
l'aveva ottenuto.
Morricone non andava mai sul set.
Accadde, in occasione dell'uscita
C'era una volta il West,
che addirittura vedesse il film per la prima
volta soltanto all'anteprima ufficiale.
Il film doveva cominciare con una
scena piuttosto lunga, che occupava due interi
rulli di pellicola, e per la quale Morricone
aveva scritto una colonna sonora.
Le luci calarono e la proiezione ebbe inizio.
I due fatidici rulli cominciarono
a scorrere sullo schermo.
In silenzio.
Gli unici suoni che li accompagnavano erano il
cigolio continuo di un pozzo e il ronzio di una
mosca.
Morricone cercò invano nel buio
della sala lo sguardo del regista.
Alla fine della proiezione, la folla defluì in
una sala contigua.
Per ultimo si mosse Morricone, e
si fermò sulla porta.
Dall'altra parte della sala, Sergio Leone, che
stava discorrendo con alcuni ospiti, lo vide.
Fermo sulla soglia, senza dire una parola, il
musicista lo fissò negli occhi.
Il cicaleccio della gente diminuì di intensità
trasformandosi in un bisbiglio preoccupato. Chi
si trovava nel centro della sala, tra i due, si
affrettò a spostarsi di lato.
Lo spazio che divideva Morricone dal regista
rimase completamente vuoto.
Il compositore avanzò di un
passo, senza staccare gli occhi da quelli di
Leone.
Il regista sostenne lo sguardo, mentre
appoggiava lentamente sul tavolo vicino il
bicchiere di spumante che aveva in mano e
stendeva le braccia lungo i fianchi poderosi,
sfiorando con le dita i passanti della cintura.
Ci sarebbe voluto un sigaro, da poter sfilare
dalle labbra prima di parlare.
In mancanza di questo, Morricone
optò per aggiustarsi gli occhiali sul naso.
"Sergio",
disse con voce profonda, "in
quei due rulli, adesso, c'è la migliore musica
che abbia mai composto".
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