24 novembre 2007
Sergio Leone: il  “padre” dei il western all’italiana
Raffaele Pacifico

 

 

 

Circolano leggende vere e proprie sul rapporto tra Sergio Leone e le persone che lavoravano accanto a lui.

La sua puntigliosità e la sua ostinazione lo portarono a scontri furiosi con diversi suoi collaboratori: da Age e Scarpelli, co-sceneggiatori di Il buono, il brutto, il cattivo, a Eli Wallach, attore nello stesso film, per arrivare allo sceneggiatore Luciano Vincenzoni.
Il fatto è che Leone aveva le idee estremamente chiare sul risultato che voleva ottenere.

Passava ore con gli sceneggiatori a mimare ciò che doveva accadere in ogni scena: dava indicazioni precisissime agli attori, interpretando personalmente tutte le parti finché non riusciva a far capire loro come doveva essere il personaggio.

L'impresa era resa ancor più difficile dal fatto che quasi tutti i suoi attori principali erano americani, e Leone non spiccicava una parola di inglese.
Ogni scena veniva ripetuta un numero impressionante di volte.

Si girava con la colonna sonora come sottofondo: la musica era talmente narrativa, talmente compenetrata all'azione, che le scene non potevano esistere prima di essa. Ennio Morricone la componeva basandosi sulle indicazioni del regista: Leone gli descriveva le scene, i temi, le situazioni a cui la musica doveva essere legata, e Morricone scriveva.

Almeno una dozzina di motivi venivano proposti e scartati, non perché fossero brutti, ma perché non rispondevano appieno all'idea che Leone voleva esprimere.

Era stonato come una campana, ma sapeva esattamente cosa voleva, anche in fase di registrazione, e non si fermava finché non l'aveva ottenuto.
Morricone non andava mai sul set.

Accadde, in occasione dell'uscita C'era una volta il West, che addirittura vedesse il film per la prima volta soltanto all'anteprima ufficiale.

Il film doveva cominciare con una scena piuttosto lunga, che occupava due interi rulli di pellicola, e per la quale Morricone aveva scritto una colonna sonora.
Le luci calarono e la proiezione ebbe inizio.

I due fatidici rulli cominciarono a scorrere sullo schermo.
In silenzio.
Gli unici suoni che li accompagnavano erano il cigolio continuo di un pozzo e il ronzio di una mosca.

Morricone cercò invano nel buio della sala lo sguardo del regista.
Alla fine della proiezione, la folla defluì in una sala contigua.

Per ultimo si mosse Morricone, e si fermò sulla porta.
Dall'altra parte della sala, Sergio Leone, che stava discorrendo con alcuni ospiti, lo vide.
Fermo sulla soglia, senza dire una parola, il musicista lo fissò negli occhi.
Il cicaleccio della gente diminuì di intensità trasformandosi in un bisbiglio preoccupato. Chi si trovava nel centro della sala, tra i due, si affrettò a spostarsi di lato.
Lo spazio che divideva Morricone dal regista rimase completamente vuoto.

Il compositore avanzò di un passo, senza staccare gli occhi da quelli di Leone.
Il regista sostenne lo sguardo, mentre appoggiava lentamente sul tavolo vicino il bicchiere di spumante che aveva in mano e stendeva le braccia lungo i fianchi poderosi, sfiorando con le dita i passanti della cintura.
Ci sarebbe voluto un sigaro, da poter sfilare dalle labbra prima di parlare.

In mancanza di questo, Morricone optò per aggiustarsi gli occhiali sul naso.

"Sergio", disse con voce profonda, "in quei due rulli, adesso, c'è la migliore musica che abbia mai composto".

 

 

     

  Le Spigolature di Raffaele Pacifico


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