6 marzo 2007
Telese, a proposito di scuola...
Gianluca Aceto

 

 

Ha ragione Fabrizio Bisesto: viviamo in un mondo alla rovescia. Lo ha affermato con i toni pacati ma sicuri di chi è forte delle proprie argomentazioni. Di fronte a tanta lucidità provo ad aggiungere qualche considerazione, insieme alla rinnovata solidarietà e partecipazione nei confronti di tante ragazze e ragazzi che, ostinatamente, non intendono chinare il capo.

 

Se non capisco male, la "colpa" delle studentesse e degli studenti liceali è stata quella di aver chiesto un'ora di assemblea straordinaria per discutere del bando pubblicato dalla provincia di Benevento per reperire urgentemente 10 aule nel territorio di Telese. Ormai tutti quelli che leggono il giornale almeno una volta al mese, in questa provincia, sanno quale mobilitazione hanno realizzato gli studenti contro l'ipotesi balzana di ubicare il liceo nell'ex molino Capasso & Romano, poiché chiedono giustamente la costruzione di un nuovo impianto. Credo fosse assolutamente naturale e legittimo che essi tenessero desta l'attenzione. In un mondo "normale" tutto questo sarebbe accolto con favore: non è forse così che si realizza quella partecipazione alla cosa pubblica a cui siamo invitati ad ogni tornata elettorale?

 

Ma questo, evidentemente, è un mondo che continua a camminare sulle mani. Non mi sorprende che le risposte date a chi tenta di riflettere sulle cose siano spesso burocratiche e scostanti: ci si affida alla lettera della norma codificata, dei codici e dei codicilli, quando il confronto con la mutevole realtà fa paura. Come se non bastasse, si condisce il tutto con la solita litania delle strumentalizzazioni politiche. Ma davvero credono che le ragazze e i ragazzi siano così stupidi da lasciarsi imbambolare?

 

La lettura dei contributi pervenuti a Vivitelese sollecita diverse riflessioni. Ad esempio induce ad interrogarsi sul rapporto con le istituzioni. In questi anni, soprattutto nel nostro paese (ma siamo in buona compagnia, nel mondo cosiddetto occidentale) abbiamo assistito alla distorsione della funzione istituzionale: le istituzioni, infatti, sono divenute lo strumento per la tutela degli interessi di pochi e non il luogo di composizione e sintesi - per quanto in chiave moderata e stabilizzatrice - delle molteplici e spesso contrastanti spinte nate dal corpo sociale. Intimamente svilite, le istituzioni hanno accentuato l'unica funzione che ancora rimaneva loro compiutamente: quella ordinante, in grado di cristallizzare i rapporti di forza, rendersi impermeabile alla società. Lungo tale via, il confine tra la funzione ordinante ed autoritarismo è spesso tenue, e perciò facilmente oltrepassabile.

 

Del resto, che il monopolio del potere non sia più nelle mani del sovrano ce lo hanno suggerito, da tempo, la crisi dello Stato moderno e l'opera di Foucault. Le istituzioni, quindi, sono diffuse, parcellizzate, molecolari, ed esercitano pro parte  quel potere che un tempo era nella mani dell'unico sovrano. La scuola è una di queste istituzioni, anzi, è l'istituzione più paradigmatica di tutte, perché proprio in essa (o meglio: nel sistema dell'istruzione) si scorge il nesso intimo e indistricabile tra potere e sapere. Pensiamo a cosa c'è dietro, ancora oggi, al tema dell'accessibilità alla scuola e all'istruzione superiore, universitaria, postuniversitaria: ci sono dietro questioni di classe, di ricchezza e di distribuzione di questa ricchezza. E non è un caso, visto che le statistiche europee ci dicono che, per quanto scassato e barcollante possa essere, è sempre il sapere certificato che permette un certo grado di mobilità sociale. E chi ha interesse a questa mobilità sociale? Chi sta sotto o chi sta sopra? La risposta mi pare evidente.

 

Per questo abbondano gli esempi di arroccamento, da parte della scuola, piuttosto che quelli di apertura. La funzione ordinante ed autoritaria sembra ingoiare quella progressiva ed egualitaristica.

 

E non è solo un fatto della scuola. C'è qualcuno che ritiene che oggi, in Italia, potrebbe ripetersi un'esperienza straordinaria come quella di Franco Basaglia, che ebbe il coraggio e la forza di proporre la chiusura dei manicomi perché peggioravano le condizioni dei "matti"? C'è qualcuno che scorge la possibilità, oggi,di affermare idee altrettanto rivoluzionarie? Oggi va già bene una lodevole canzone sanremese.

 

Insomma, gli educatori e le educatrici di oggi, siano essi i genitori o gli insegnanti, devono fare i conti con passaggi epocali, in cui siamo invischiati totalmente, al punto che fatichiamo a definir-li e a definir-ci. Usiamo infatti termini troppo vaghi, onnicomprensivi, come "globalizzazione" e "postfordismo", che non siamo in grado di spiegare compiutamente. Per questo non funziona il discorso di presunti valori tradizionali, travolti dalla rutilante attualità, fatta di mutamenti sociali, trasformazioni della struttura familiare, ridislocazione del femminile.

 

Insomma, si discute di temi importanti e grandi. Studentesse e studenti del liceo non si chiamano fuori, così marcando la distanza da quell'asettico tecnicismo che ci vorrebbe cittadini solo al momento del voto. Le studentesse e gli studenti non si accontentano di attivare quella delega formale che significa distanziazione, lontananza, separatezza. Mi sembra una buona cosa, un esempio da seguire con concrete speranze.

 

Telese Terme, 06 marzo 2007

 

Gianluca Aceto

Segretario circolo PRC-SE Telese Terme

 

 

 

     

 Valle Telesina


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