30 luglio 2007
LEX, chi presenta il conto agli incendiari?
Aldo Maturo

 

 
E pensare che il legislatore  non era stato indulgente quando aveva previsto, per chi incendia i boschi, selve o foreste,  la pena della reclusione da quattro a dieci anni.   Nel 2000, stanco del dilagare degli incendi dolosi, aveva  individuato l’incendio boschivo come autonoma figura di reato e non più come aggravante al reato di incendio.

 

Era una svolta, il segno della speranza verso una particolare evoluzione culturale tesa alla protezione dell’ambiente. 

 

Si era passati da una pena da tre a sette anni per  l’incendio generico ad una da quattro a dieci anni per l’incendio di boschi e foreste.

 

Ma evidentemente l’effetto deterrente della pena è stato irrilevante, viste le cronache degli anni scorsi. Nel 2006 il 60% degli incendi  è stato doloso, il 15% colposo e  il 3% è stato di origine naturale. Secondo l’Unione Europea il 95% degli incendi in Italia è attribuibile all’uomo.

Ancora più gravi saranno le statistiche di quest’anno, che al dramma hanno aggiunto il lutto. E le carceri italiane di certo non sono piene di detenuti incendiari.

 

La severità legislativa è stata quindi virtuale. Ammesso che si riesca ad arrestare uno di questi personaggi, scattano immediatamente tutte le norme di procedura penale che vincolano il magistrato nell’applicazione della custodia in carcere, a meno che non ritenga che il soggetto rimesso in libertà possa darsi alla fuga o  commetta gravi reati anche della stessa specie o,infine, che possa inquinare le prove a suo carico. Troppi “se” e questo significa che il nostro soggetto dopo pochi giorni, o anche ore,  ha grosse speranze di ritornare in libertà.

 

A suo carico resta la pendenza del processo e prima o poi dovrà essergli presentato il conto. Purtroppo anche stavolta il  sistema penale offre spazio ad altre soluzioni.  Il nostro incendiario  concorderà con il suo avvocato una strategia difensiva e potrà ricorrere ad uno dei riti previsti dai procedimenti speciali (patteggiamento, rito abbreviato), godendo della riduzione di un terzo della pena.

 

Si pensa che almeno quello che resta della pena, già oggetto di  sconto, lo porti al carcere. Non è così. Se non ha potuto godere dei benefici della condizionale perché ha avuto ad esempio una pena superiore a due anni, suppliscono tutte le previsioni normative previste dall’ordinamento penitenziario e quindi, se è stato condannato ad una pena non superiore a tre anni (ipotesi verosimile)  potrà sempre richiedere l’affidamento in prova al servizio sociale, che significa restare libero, svolgere il proprio lavoro, la propria vita sociale con l’unico limite di avere periodicamente dei colloqui con un assistente sociale.

 

Se ha più di 60 anni – e si legge in questi giorni che ad incendiare siano prevalentemente pensionati – potrà sempre richiedere la detenzione domiciliare.

 

Conclusione: il carcere è rimasto solo uno spauracchio dissoltosi nel nulla, il nostro sistema giuridico ha dato l’ennesima prova di schizofrenia con un legislatore che dice una cosa ed un altro che offre il sistema per eluderla e l’Italia che continua impunemente a bruciare dalle Alpi alla Sicilia.  

 

 

Ma il nostro bravo legislatore, forse consapevole delle scappatoie del codice, aveva varato anche un’altra legge, la 353/2000 in materia di incendi boschivi, prevedendo all’art.10 che i boschi ed i pascoli che siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni. 

 

È inoltre vietata per dieci anni, sui predetti suoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive. Tu mi dai fuoco a zone panoramiche o paesaggistiche con l’intento di poterci poi costruire insediamenti e ville ma io non ti ci faccio costruire per 15 anni (a meno che la licenza non era già stata concessa prima dell’incendio).


La legge voleva essere un freno contro le speculazioni edilizie: ottima intenzione, ma la cosa ancora una volta non è così scontata.

 

Per poter scattare i divieti di costruzione sulle aree incendiate è indispensabile che il Comune faccia annualmente il censimento delle aree percorse dal fuoco, affinché siano rese note ed ufficiali. In realtà questa mappatura non viene fatta o ne viene iniziato l’iter in poche realtà urbane. I motivi? Mancanza di personale, omissioni,negligenza e non poche volte complicità.

 

Intanto l’industria dell’incendio e il suo indotto va a gonfie vele e può diventare  un vero business per quanti sono chiamati ad intervenire e non fanno parte dell’istituzione. I costi ricadono su tutti noi. Basti pensare che  il volo di un aereo Canadair costa 14.000 euro all’ora e quello di un grosso elicottero che porta 10.000 litri d’acqua è di circa 6.000 euro l’ora.

 

Negli anni scorsi gli incendi sono costati al contribuente italiano  500 milioni di euro all’anno pari a circa 968 miliardi di lire. Più di due miliardi e seicentocinquanta milioni al giorno. Senza calcolare gli incalcolabili danni ambientali e la distruzione di milioni di alberi.

 

E da quest’anno vanno aggiunti i morti.

 

 

 

     

  LEX di Aldo Maturo


Per intervenire: invia@vivitelese.it