18 febbraio 2008
Faicchio, misteri sulla morte di Don Sergio
Sannio Quotidiano  -  15-02-2008  - segnalazione di Gianni Festa

 

 

Don Sergio Sergi e il dolore di sopravvivere al proprio figlio

Don Sergio Sergi moriva dieci anni fa, il 2 dicembre 1997. Le sue spoglie mortali venivano ritrovate sulla autostrada Napoli-Canosa nei pressi della carcassa di una Ford Mondeo di sua proprietà, lungo un guard rail rotto per la lunghezza di venti metri.
La verità ufficiale - sanzionata dalle risultanze degli atti finora posti in essere dalla magistratura e dalle forze dell'ordine - è che la sera del 2 dicembre 1997 il prelato moriva in seguito ad un incidente stradale.
Il giovane (all'epoca aveva solo 31 anni) era parroco a Faicchio in valle Telesina; il suo operato in favore dei più bisognosi e la sua correttezza e profondità d'animo erano apprezzate dalla comunità e dai colleghi religiosi.
 
Nel libro "Mio figlio Don Sergio, nel decennale di un omicidio con giustizia sinora negata", il padre il professore Vincenzo Sergi ricostruisce, con una sua personale analisi, la dinamica dell'incidente, sostenendo che la tesi secondo la quale il religioso sarebbe morto in seguito allo stesso, presenterebbe una serie di incongruenze. Fa cenno inoltre ad una serie di dichiarazioni, secondo le quali il figlio sarebbe stato verosimilmente assassinato a Telese Terme e solo in un secondo momento il cadavere sarebbe stato trasportato, simulando poi un incidente mortale.
 
Il libro è sostanziato da un profondo senso di dolore e di rimpianto per la scomparsa del figlio dell'autore e dalla testimonianza di una profonda adesione ai valori della Chiesa Cattolica, secondo i quali è obbligo di un buon cristiano testimoniare la verità e non coprire con l'omertà eventuali comportamenti delittuosi. L'aggettivo eventuali deriva da una nostra notazione perché l'autore è fortemente convinto della pista investigativa che tratteggia, elencando una serie di indizi - tra i quali il più significativo sarebbe la presenza di ferite sul cadavere non compatibili, a suo avviso, con l'incidente, ma derivanti, sempre a suo parere, con ogni probabilità da oggetti contundenti - e sostenendo così che (nonostante dopo dieci anni due procure abbiano ritenuto non sussistere elementi che facciano pensare ad un omicidio) siano necessari ulteriori accertamenti e indagini.
 
Vincenzo Sergi parla poi di come "S. E. Mons. Francesco Tomasiello, che ha vissuto il suo sacerdozio e il suo mandato episcopale sempre alla luce del Vangelo" abbia voluto "come testimone di verità, gettare un fascio di intensa luce sulla tenebrosa vicenda che ha colpito uno dei suoi figli spirituali: don Sergio Sergi, nella certezza di offrire un valido contributo alla giustizia degli uomini" con due lettere scritte, nelle quali, si diceva convinto della origine delittuosa della morte del giovane prelato e rammaricandosi che i fatti non fossero stati chiariti.
 
"Venuto a conoscenza che a distanza di tanti anni mi dibattevo ancora per fare emergere dai roghi del male le vere cause della morte di mio figlio, la sua coscienza adamantina - dice Vincenzo Sergi nel libro - non poteva presentarsi dinanzi al tribunale di Dio senza prima avere testimoniato di fronte a quello degli uomini che un sacerdote era stato assassinato e che era stato violato la massimo grado il comandamento dell'Amore". Con ciò riportando una circostanza che a suo avviso in qualche modo avvalorerebbe la sua ricostruzione dei fatti.

 


 
"In questo interminabile calvario noi familiari abbiamo subito volta faccia, tradimenti, ripensamenti da persone che scoraggiate e spaventate da intralci e depistaggi nelle indagini - sostiene l'autore - hanno preferito utilitaristicamente aggregarsi al ritenuto carro vincente, sbattendo la porta in faccia alla verità e in barba al prossimo mortalmente ferito".
 
Da questa convinzione l'affermazione di un proponimento e di un auspicio "nell'esprimere e confermare piena fiducia nelle Istituzioni, auguro, e sono convinto, che quanto prima la luce della verità potrà squarciare il velo del mistero e farà crollare il muro dell'omertà! E' un compito, questo, proprio degli organi dello Stato a ciò deputati, ai quali è rivolta la presente istanza; a noi cittadini che formiamo il popolo italiano, nel cui nome vengono annullate le sentenze, il dovere diritto di denunciare i fatti illeciti e delittuosi per il bene dell'intera collettività". Non si può non comprendere il dolore di un padre, né considerare illegittima, dal punto di vista etico, la sua richiesta di ulteriori indagini.
 
Anche se preme sottolineare che non si può, nonostante la ricostruzione fornita del libro, non tenere conto del fatto che i convincimenti maturati dalle istituzioni dello Stato vanno in senso contrario alle certezze di questo genitore, che pure vuole persistere nella sua battaglia, ricordando come "in questo decennale ho lottato, in religioso silenzio da solo, ma ho avvertito tangibilmente la costante presenza della mano provvidenziale di Dio, che mi ha guidato, sostenuto, sollevato".

 

     

 Valle Telesina


Per intervenire: invia@vivitelese.it