8 maggio 2009
Giornata Mondiale della Libertà di Stampa
Nuccio Franco

 

 

Era il 1993 quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclamò il 3 Maggio Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, dando seguito così ad una Raccomandazione adottata dall’UNESCO nel 1991. Scopo della Raccomandazione,mantenere alta l’attenzione in difesa dei media, dagli attacchi alla loro indipendenza e dedicare un tributo ai giornalisti che hanno perso la vita nell’esercizio della loro professione.

 

Il 3 maggio è diventato quindi nel corso degli anni, occasione per monitorare la libertà di informazione in molti Paesi dove questo diritto viene troppo spesso ignorato,con censure e chiusure di quotidiani, in spregio alle più elementari regole del vivere civile ma anche motivo per la realizzazione di iniziative volte ad incoraggiare proposte a difesa di tale libertà. E’anche il giorno della riflessione tra gli addetti ai lavori circa le prospettive della stampa, dell’informazione in generale sempre più spesso minacciata, imbavagliata da moderni sovrani che reclamano compiacenza se non aperta connivenza.

 

Tuttavia, è altresì diventato anche un momento da dedicare alla memoria, al dovuto tributo verso quei cronisti che, pur di raccontare verità troppo spesso scomode, hanno pagato a caro prezzo il loro impegno professionale. Le loro colpe aver assolto il proprio dovere, liberi dai condizionamenti dei poteri, mafioso e politico in particolare e di aver messo nero su bianco nomi, cognomi, illeciti ed abusi per rendere un servizio ai cittadini, a tutti noi.

Riflettere su quanto la libertà di stampa possa descrivere il livello di maturità democratica di un Paese, credo sia doveroso oltre a rappresentare un nobile esercizio che rende merito a chi, per informare,ha sacrificato la vita.

 

Undici i giornalisti assassinati da mafie e terrorismi negli ultimi 40 anni, di questi otto solo in quella terra di confine e caos che è la Sicilia, con un picco toccato fra i ‘70 gli ’80. Nomi illustri ma anche semplici cronisti assurti agli onori della cronaca per aver creduto nella verità, armati di penna e di parole che, da sole, sanno spesso far male più di ogni altra cosa.

 

Come dimenticare Mino Pecorelli, il giornalista kamikaze come alcuni lo definirono. Direttore di “OP”, Osservatorio Politico dalle cui pagine non lesinava strali al potere politico e finanziario, a mafia e P2. Per primo pubblicò le lettere dalla prigione di Aldo Moro e, seppur in maniera criptica, tipica del suo stile, anticipò la morte del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. La sera del suo assassinio, in redazione fu ritrovata l’ultima copertina di “OP” con il titolo “Tutti gli assegni del Presidente”, chiara allusione a Giulio Andreotti.

 

Tra i primi ad essere uccisi dalla mafia siciliana, Cosimo Cristina, 25 anni, un ragazzo. Sempre in prima linea contro ogni sorta di pregiudizio etnico o religioso, amava occuparsi degli emarginati. Molti lo prendevano in giro, qualcuno lo chiamava D’Artagnan. A Termini, uno che vuole fare il cronista e non l’avvocato o l’impiegato alla Regione è un fallito. Se tocca i mafiosi è matto. Cosimo Cristina, nel giudizio comune, era un po’ tutte queste cose. La sua condanna le indagini sugli appalti a Termini Imerese.

 

Mauro De Mauro,foggiano ma impiantato in terra siciliana, dove collaborava per testate locali spingendosi oltre i “semplici” affari di Cosa Nostra. Portò avanti indagini scomode, scrisse dell’attentato Mattei, realizzò un dossier sul golpe Borghese. Affari sporchi, delicati dove qualcuno avrebbe preferito non mettesse il naso. Nella bianca Sicilia dei Ciancimino, dei Salvo e dei Lima, già essere additati come comunista equivaleva ad una condanna.

 

Il 9 maggio 1978, a Roma,in via Caetani, viene ritrovato il corpo senza vita dell’Onorevole Aldo Moro; in quegli stessi momenti, un giovane cronista siciliano, Peppino Impastato, viene barbaramente trucidato.

 

Non gli si perdonò l’onta di essersi ribellato alle logiche mafiose, ai giochi di potere sporchi di sangue e ricatti nei quali era coinvolta la sua stessa famiglia; un figlio reietto, un traditore che ogni giorno dai microfoni di Radio Out, sciorinava nomi e cognomi dei rais della sua città, Cinisi.Aveva 30 anni. Il mandante “zù Tanu” Badalamenti.

 

Nell’84 è la volta di Giuseppe Fava, giornalista e scrittore, fondatore del quotidiano antimafia “I Siciliani”. Una giorno, in uno dei rari momenti di sconforto, confidò ad un collega “qualche volta mi dovrai spiegare chi ce lo fa fare. Tanto, lo sai come finisce prima o poi: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta sotto casa”. Continuò per la sua strada, senza remore. Ai suoi funerali nessun rappresentante delle Istituzioni.

 

Ma anche la camorra ha giocato la sua parte, condannando a morte Giancarlo Siani, giovane cronista de “Il Mattino”, a soli 26 anni. Certo, di lui si ricorderanno in molti, vista la recente uscita nelle sale cinematografiche del film che racconta i suoi ultimi quattro mesi di vita nel corso dei quali aveva dedicato la propria attività a raccontare le probabili collusioni tra camorra e mafia corleonese.

 

Senza dimenticare Mauro Rostagno, fondatore di Radio “Tele Cine”, dalla quale lanciava chiare accuse di collusione fra mafia e potere locale ed i cui assassini, ancora oggi, non hanno un nome.

 

Poi ci sono le vittime del terrorismo, due nomi su tutti: Carlo Casalegno e Walter Tobagi.Il primo, Vice Direttore de “La Stampa”, quotidiano dalla linea editoriale assolutamente ostile alle strategie terroristiche; il secondo giornalista de “L’Avvenire”.

 

L’ultimo in ordine di tempo di questa aberrante lista, si chiamava Giuseppe Alfano. Siciliano,insegnante di un istituto tecnico, non iscritto all’Albo ma collaborava, da sempre, con testate e radio locali, dalle quali portava avanti il suo lavoro d’informazione contro la criminalità. Impegno, allo stato puro.

Uniti dallo stesso destino, prima delegittimati, poi denigrati, infine lasciati soli senza difese, uccisi ancor prima di essere ammazzati.

 

Il filo conduttore che lega gli “attori” di questa storia tutta italiana è l’idea,l’onestà intellettuale ed un profondo, assoluto senso del dovere sempre teso alla verità, alla giustizia, alla libertà di ognuno di noi e la lezione che ne deriva il rifiuto dell’ineluttabilità che non tollera alternative inducendoci a rinunciare alla giustizia senza nemmeno aver provato a far sentire la propria voce.

 

“La mafia uccide, il silenzio pure”

Peppino Impastato

Nuccio Franco

 

 

 

     

  Il Crogiuolo


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