14 novembre 2009
Rapporto AIE 2009 sullo stato dell’editoria
Nuccio Franco

 

 

Intervista con Rosella Postorino e Chiara Gamberale

 

Timidi ma incoraggianti segnali di crescita per l’editoria italiana che quanto a fatturato e pubblicazione di titoli occupa nel 2009 il settimo posto a livello mondiale, il quinto in Europa. E’ quanto emerso dal rapporto dell’Associazione Italiana Editori (AIE) 2009 sullo stato del comparto, che con 420 soci ricopre circa il 90% del mercato librario italiano,presentato in occasione della Fiera del libro di Francoforte.

 

Sotto alcuni aspetti, è ancora il segno meno a connotare il comparto con 3,5 miliardi di giro d’affari (-3,1) rispetto al 2008, 59.000 titoli pubblicati (2.000 in meno rispetto allo scorso anno) per 235 milioni di copie, pari ad un saldo negativo del 12%.

 

Tuttavia, non mancano gli elementi positivi in quanto la lettura in Italia è tornata a crescere; lo si desume dal fatto che circa il 45% (+ 0,9) di italiani ha dichiarato di leggere almeno un libro non scolastico nell’anno precedente, a dimostrazione che il comparto dell’editoria è stato tra quelli che meno hanno subito il rallentamento globale dell’economia, dovuto alle attuali congiunture.

Basti pensare che il “solo” 14% degli italiani che costituiscono lo zoccolo duro rappresentano il 41% delle vendite proteggendo in tal modo il settore dagli effetti critici. Confermata la maggior propensione alla lettura nel Nord Est, seguito dal Centro mentre ancora una volta si confermano fanalino di coda le regioni del Sud, Basilicata, Calabria e Sicilia su tutte.

 

Per un segno positivo rappresentato dalla vendita di libri per ragazzi da 0 ai 14 anni (+ 9,1), segna un calo di circa il 6% il mercato del libro scolastico, frutto innanzitutto di una maggior propensione delle famiglie italiane ad attingere al mercato dell’usato o ad altri canali d’acquisto,internet in primis.

 

Tale situazione, in prospettiva, è destinata a peggiorare per effetto della riforma voluta dal Ministro Gelmini che prevede il blocco dell’adozione dei testi scolastici per cinque anni nella scuola primaria e per sei in quella secondaria con l’obbligo, dal 2012, di adozione dei soli testi disponibili e scaricabili da internet.

 

Quanto ai canali distributivi, tengono le librerie che, sempre di più, si stanno adeguando alle esigenze del mercato attraverso la sperimentazione di nuovi format e da logiche di network e di franchising.Il risultato è un netto aumento quasi triplo dei punti vendita passati dai 317 del 2007 ai quasi 1.900 sull’intero territorio nazionale.

 

Sempre con riferimento ai canali d’acquisto, cresce l’on line e registrano un sostanziale segno positivo le edicole mentre diminuisce la Grande Distribuzione (Gdo) per effetto del calo generalizzato degli acquisti delle famiglie.

 

Crescono le pubblicazioni legate all’attualità che in sette anni sono aumentati del 28,1% per quanto concerne i titoli con un +3,8 % di copie.

 

Ne abbiamo discusso con Rosella Postorino e Chiara Gamberale, scrittrici emergenti ma, soprattutto, due care amiche.

Rosella,31 anni,calabrese,

Chiara, 32 anni, conduttrice radiofonica e televisiva.

 

D- Allora Rosella,Chiara,innanzitutto grazie per la vostra disponibilità. Oggettivamente dal rapporto si evincono timidi ma incoraggianti segnali di crescita per l'editoria italiana;il 45% (+0,9) di italiani ha dichiarato di leggere almeno un libro non scolastico nell'anno precedente, a dimostrazione che il comparto dell'editoria è stato tra quelli che meno hanno subito il rallentamento globale dell'economia, dovuto alle attuali congiunture. Come interpretate questo dato?

 

R (Postorino) - Non è un segnale che mi incoraggia realmente. In Italia è considerato un lettore forte chi legge dodici libri all’anno, cioè un libro al mese; nel nostro Paese si leggono pochi quotidiani, e in Europa siamo in coda nell’uso della banda larga per la connessione Internet, per esempio: che è comunque un segnale di avanzamento culturale di uno stato. Bisogna anche capire di che tipologia di libri si tratta. Nelle statistiche rientrano spesso anche volumi di cucina, giardinaggio, fai-da-te ecc. E in ogni caso si nota, anche solo osservando le classifiche pubblicate settimanalmente dagli inserti letterari, che esiste un divario molto grande tra i bestseller e gli altri libri (il secondo in classifica vende spesso molto meno della metà del primo, il terzo la metà del secondo, tutti gli altri stanno vicinissimi, ma vendono quasi dieci volte meno del primo; pensiamo poi ai libri che nelle classifiche non entrano...). Con molta probabilità, il libro che tutti hanno letto durante l’anno è un bestseller. Ma in Italia si pubblicano circa 65.000 titoli all’anno: chi li legge? La tendenza che vedo negli ultimi tempi è la vittoria dei libri per lettori occasionali. Se alcuni li difendono, sostenendo che possano educare alla lettura i non-lettori o i lettori deboli, io non ne sono affatto convinta. Credo ci sia invece un rischio diseducativo, pari alle trasmissioni di Maria de Filippi. Se questi libri favoriscono gli editori nel breve termine, non lo fanno nel lungo periodo, perché non educano il gusto, non lo affinano.

 

R (Gamberale) - Naturalmente lo valuto positivamente: anche se non mi sfugge che, essendo quello dell'editoria un mercato in crisi di per sè, si tratti di un movimento (o di un mancato movimento verso il basso) apparente...

 

D - Al Nord si legge molto di più rispetto al Centro - Sud, ulteriore dimostrazione di un Paese "diviso", senza alcuna allusione politica. Come valutate la situazione e quali le ragioni: sociali, culturali, economiche o cosa??

 

R (Postorino) – È un discorso molto complesso, che si inserisce nella “questione meridionale” di cui parliamo da sempre. Ci sono purtroppo molti aspetti disfunzionali nelle società del Sud, che conosciamo e che sono difficili da risolvere, e che naturalmente vanno a intaccare anche i consumi culturali. È un dato del tutto previsto in territori in cui il tasso di scolarizzazione è più basso, il tenore di vita anche, dove esiste una sorprendente percentuale di analfabeti (nel 2005, secondo l’Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo, erano sei milioni in Italia, con un picchio in regioni come Basilicata, Sicilia e Calabria, che però, paradossalmente, avevano in percentuale più laureati di Piemonte e Lombardia), e dove probabilmente le persone che studiano o che conducono determinati stili di vita non vivono più, perché sono emigrate al Nord per frequentare l’Università o realizzare le proprie aspettative professionali. È una cosa che mi addolora, non in quanto scrittrice: in quanto cittadina italiana. Questo dato è solo l’ennesimo sintomo di un problema antico: le differenze sociali ed economiche che esistono all’interno di una stessa nazione.

 

R (Gamberale) - Io scrivo: non m'intendo di queste cose...Certo è che ho la sensazione che al sud la distribuzione dei libri sia molto meno capillare: ma le ragioni, a parte evidenti dinamiche note a tutti, mi sfuggono

D - Scrivere in Italia oggi: quanto contano nella vostra scala di valori il mercato, l'editoria, il lettore medio (lo insegui o lo desideri)? Quali sono i Paesi nel mondo in cui vorreste venissero distribuiti i vostri libri?

 

R (Postorino)- Credo che qualunque scrittore desideri essere pubblicato in qualunque paese del mondo! Per quanto riguarda il lettore medio: chi è? Credo sia un’illusione degli editori poterlo individuare. È come parlare dell’uomo medio: è una categoria in cui non credo e che trovo anche un po’ discriminatoria. Potenzialmente, ogni scrittore vorrebbe arrivare a più persone possibili. Questo però, per quel che mi riguarda, non significa farsi condizionare nel proprio lavoro. Probabilmente è un errore, ma io ho profonda fiducia nei confronti dei lettori, credo derivi dalla mia fede nella letteratura. Non dico che sia ragionevole, d’altronde nessuna fede lo è. Il mercato è una cosa che non riguarda lo scrittore, riguarda gli editori. Assecondare volontariamente il mercato, oltre a essere illusorio come dicevo prima, è anche snaturante: io perderei il gusto di scrivere. La scrittura è lo spazio della libertà. Il mercato – può sembrare un paradosso – è ingabbiante.

 

R (Gamberale) - Scriviamo tutti per venire letti: e chi lo nega cerca un alibi per i suoi possibili fallimenti in questo senso. Per me il lettore conta, senza dubbio: ma non mi sintonizzo su di lui, ci mancherebbe. Diceva Pasolini che un libro può risultare necessario a chi lo legge se è stato necessario a chi l'ha scritto: ci credo. E poi come si fa a sintonizzarsi sul "lettore medio"? Chi è? Che vuole? Che pensa? Per fortuna siamo tanti, e tutti diversi. L'importante per uno scrittore credo sia intercettare il SUO, pubblico. Più è vasto, più è meglio, certo: anche perchè è testimonianza di una condivisione del sentire di chi ha scritto un lbro e dei temi che gli stava a cuore trattare.

 

D - Infine, quali potrebbero essere, a vostro avviso, le migliori strategie per invertire definitivamente la tendenza??La scuola, i media potrebbero esercitare un ruolo positivo e propositivo in tal senso?

 

R (Postorino)  - Io non sono convinta che leggere sia necessariamente una cosa indispensabile per tutti. Per me è sempre stata una forma di salvezza. Ancora oggi che leggere è diventato parte del mio lavoro, il piacere che provo quando mi immergo in un libro che ho scelto per me, prima di addormentarmi, è incomparabile. È la sensazione che potrò ancora salvarmi. Riempio la casa di libri e penso: se perdessi ogni cosa, comunque avrei i miei libri. Ma non è per tutti così. Ci sono persone il cui benessere è legato ad altre cose, non per forza culturali, e io credo che queste abbiano pari dignità. D’altra parte, poiché sono convinta che i libri salvino le persone e le società, mi piacerebbe che tutti potessero vivere appieno l’intensa esperienza della lettura. Credo che la scuola possa fare un grande lavoro in questo senso, attraverso iniziative coinvolgenti: invitare gli autori in classe, portare i ragazzi alle fiere, creare dibattiti tematici trasversali in aula, rendere i libri vivi. Molte scuole lo fanno regolarmente, d’altra parte. È che spesso dipende dall’entusiasmo di singoli insegnanti, piuttosto che da direttive generali. Ricordo che alle elementari la maestra ci faceva leggere in classe ad alta voce, poi ci faceva mettere in scena il brano che avevamo letto. Tutti, a turno, lo recitavamo, vicino alla lavagna. Non c’era un voto, non era un compito, non dovevi essere bravo. Era un gioco. E ci piaceva. A tutti. Mi sono spesso domandata se un reality letterario funzionerebbe. Un reality di scrittori, dove lo scopo è inventare una storia, vince la storia più bella o quella raccontata meglio... Non credo però sia un format appetibile! La televisione dedica pochissimo spazio ai libri, i giornali molto di più, ma vanno spesso incontro al mercato, che vince sempre. Nella società contemporanea la lettura non è considerata una cosa gustosa. Una cosa divertente, un’esperienza sballante o trasgressiva. E invece lo è. Insieme al cinema, o alla musica, è una forma di dissociazione che tutti sperimentiamo da sempre, non ha effetti collaterali nocivi e, se crea dipendenza, non intossica.

R (Gamberale) - I media, certo: ma bisognerebbe sforzarsi di trovare un modo non pedante per parlare di libri, restituendo tutto il piacere che possono portare. E lo stesso piacere dovrebbe essere trasmesso a scuola. Facile a dirsi, lo so.

 

Nuccio Franco

 

 

     

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