22 luglio 2009
Meglio “disadattati sociali” o leghisti?
Lucio Garofalo

 

 

 

 

La Lega Nord, vero e proprio “cane da guardia” del padrone di Arcore, un partito da sempre aduso ad oltraggiare e demonizzare i propri avversari, o chi non fa parte del proprio elettorato, oppure chi semplicemente non si piega e non si conforma agli schemi dogmatici del “pensiero unico”, questa volta attacca ed insulta i precari della scuola definendoli addirittura come “disadattati sociali”. Si legga, infatti, il seguente articolo: http://www.territorioscuola.com/interazioni_2/2009/07/18/2226-180709-italiani-imbecilli-la-lega-attacca-i-precari-della-scuola-disadattati-sociali/

 

Di fronte alle scellerate e incessanti offese inflitte alle istituzioni della Scuola Pubblica e alla professionalità docente, che spesso ha saputo e dovuto supplire alle inadempienze e alle mancanze dello Stato, non si può fare a meno di reagire con sdegno e decisione. Simili aggressioni, vigliacche e vergognose, provenienti da “autorevoli” ambienti legati alle forze di governo, vanno immediatamente esecrate e respinte con fermezza. Nel contempo, credo che a simili attacchi vandalici si debba replicare facendo ricorso soprattutto alle "armi", efficacissime in questi casi, del sarcasmo e dell'ironia.

 

Pertanto, se mi è consentito replicare, mi piacerebbe postare un breve intervento, a sfondo satirico, che scrissi qualche tempo fa, esattamente all'epoca - non molto remota - del ministro Mor-Attila. La quale, col senno di poi, si è rivelata davvero una dilettante, persino maldestra, rispetto all'attuale ministro, molto più abile, esperta e specializzata nel devastare e cancellare quanto di buono esiste nella scuola italiana. Segue l'articolo.

 

L’AZIENDUOLA

 

Ormai sono cosciente di lavorare in un’azienda!...

 

Quando, anni fa, decisi di fare l’insegnante e fui assunto nella scuola in quel ruolo, non immaginavo certo di dover operare in un’azienda. Anzi, ero convinto che il mondo della scuola fosse totalmente estraneo ed immune da ogni logica capitalista. Anche per questo scelsi l’insegnamento, che reputavo una professione creativa e pensavo offrisse molto tempo libero, un bene più prezioso del denaro.

 

A distanza di anni dal mio esordio lavorativo, eccomi catapultato in un ingranaggio di fabbricazione industriale, con la differenza che nella scuola non si producono merci di consumo. Del resto, non mi pare di aver ricevuto una preparazione idonea ad un’attività manifatturiera - ma si sa, viviamo nell’era della “flessibilità”

 

Ormai sento sempre più spesso adoperare un lessico tipicamente imprenditoriale: termini e locuzioni come “economizzare”, “profitto”, “utenza”, “competitività”, “produttività”, “tagliare i rami secchi” e via dicendo, sono diventati di uso assai comune, soprattutto tra i cosiddetti “dirigenti scolastici” che non sono più esperti di psico-pedagogia e didattica, ma pretendono di essere considerati “presidi-manager”. Perlomeno, in tanti si proclamano e si reputano “manager”, ma sono in pochi a saper decidere abilmente come e perché spendere i soldi, laddove ci sono.

 

Inoltre, anche nella Scuola Pubblica si sono ormai affermati tipi di organigramma e metodi di gestione mutuati dalla struttura manageriale dell’impresa neocapitalista. All’interno di questo assetto gerarchico sono presenti vari livelli di comando e subordinazione.

 

Si pensi, ad esempio, al “collaboratore-vicario” che, stando all’attuale normativa, viene designato dall’alto, direttamente dal dirigente (prima, invece, era il Collegio dei docenti che eleggeva democraticamente, cioè dal basso, i suoi referenti, a supportare il preside nell’incarico direttivo). Si pensi alle R.S.U., ossia i rappresentanti sindacali che sono eletti dal personale lavorativo, docente e non docente. Si pensi alle “funzioni strumentali”, ossia le ex “funzioni-obiettivo”.

 

In altri termini, si cerca di emulare, in maniera comunque maldestra, la mentalità economicistica, i sistemi ed i rapporti produttivi, i comportamenti e gli schemi psicologici, la terminologia e l’apparato gerarchico, di chiara provenienza industriale, all’interno di un ambiente come la Scuola Pubblica, cioè nel contesto di un’istituzione statale che dovrebbe perseguire come suo fine supremo “la formazione dell’uomo e del cittadino” così come detta la nostra Costituzione (altro che fabbricazione di merci).

 

E’ evidente a tutte le persone dotate di buon senso o di raziocinio, che si tratta di uno scopo diametralmente opposto a quello che è l’interesse primario di un’azienda, cioè il profitto economico privato.

 

La Mor-Attila (oggi la Gelmini) e i vari “manager” della scuola, in buona o in mala fede confondono tali obiettivi, alterando e snaturando il senso originario dell’azione educativa, una funzione che è sempre più affine a quella di un’agenzia di collocamento o, peggio ancora, a quella di un’ area di parcheggio per disoccupati permanenti.

 

Perché nessuno mi ha avvertito quando feci il mio ingresso nella scuola? Probabilmente, qualcuno potrebbe obiettare: “Ora che lo sai, perché non te ne vai?”. Ma questa sarebbe un’obiezione aziendalista e come tale la rigetto!

 

Lucio Garofalo

 

 

     

  Il Crogiuolo


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