5 novembre 2009
Garofalo: "Barbarie in carcere e fuori"
Lucio Garofalo

 

 

 

Barbarie in carcere e fuori

 

Il barbaro assassinio di Stefano Cucchi, un giovane di 31 anni arrestato per 20 grammi di fumo e pestato a sangue dai suoi carcerieri, è assai simile alle vicende di Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino e ad altri casi del genere:

http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/cronaca/aldrovandi-processo/aldovrandi-condanna/aldovrandi-condanna.html

http://www.reti-invisibili.net/aldrovandi/

http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o10283.

Segnalo altri link riguardanti l'assassinio di Stefano Cucchi:

http://www.carta.org/campagne/diritti+civili/18667

http://www.beppegrillo.it/2009/10/stefano_cucchi.html

http://napoli.indymedia.org/node/10583

Non si tratta di episodi sporadici ed isolati, ma di sanguinosi pestaggi riconducibili ad una “regola” non scritta, una consuetudine ritenuta “normale”, praticata impunemente dai cosiddetti “tutori dell’ordine”, ossia i tutori dell’ordine costituito, di una società malata, retta sul delitto, sull’ingiustizia, sullo sfruttamento e sulla violenza legalizzata.

 

L’usanza squadrista di malmenare in caserma o in galera il poveraccio di turno, un’abitudine criminale che talvolta conduce alla morte del malcapitato, è un “rito” incivile e rozzo, un’“istituzione” barbara, indegna di uno Stato di diritto, che appartiene alla realtà dei regimi fascisti e dittatoriali. Si tratta notoriamente di una “prassi” seguita impunemente da chi, almeno sulla carta, dovrebbe garantire la legalità costituzionale e democratica. Invece, coloro che detengono ed esercitano il monopolio della forza pubblica, ovvero le cosiddette “forze dell’ordine”, fanno parte di una macchina repressiva costruita a scapito dei più deboli, degli oppressi e degli emarginati.

 

Il brutale omicidio (un omicidio di Stato, altro che "caduta accidentale"!) di Stefano Cucchi, su cui la magistratura ha aperto un'inchiesta, dimostra ancora una volta che le forze dell'ordine si accaniscono in modo vile e crudele contro gli elementi più deboli e indifesi della società, i reietti e gli emarginati, i diseredati e i miserabili, gli ultimi nella scala e nella considerazione sociale, i vinti nella spietata competizione per la sopravvivenza, vittime della disapprovazione e della condanna sociale, vittime della repressione poliziesca e carceraria, mentre non perseguono, anzi favoriscono e proteggono gli sfruttatori della povera gente, i veri corrotti e criminali, i veri aguzzini:

http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o10350.

 

Viviamo in un paese in cui i corruttori, i ricchi e i potenti fanno e disfanno ciò che vogliono e restano puntualmente impuniti: sfruttano ed umiliano il lavoro altrui, ingannano e derubano il prossimo, truffano lo Stato, evadono sistematicamente il fisco, guadagnano e riciclano denaro sporco e lo trasferiscono all'estero, e tutto ciò impunemente, beneficiando dell'ennesimo atto di amnistia offerta dallo "scudo fiscale":

http://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/economia/scudo-fiscale/scudo-fiscale/scudo-fiscale.html.

Il nuovo condono fiscale è un provvedimento varato da un governo composto da una banda filo-criminale che si conferma forte con i deboli e debole con i forti, ma che è stato approvato anche grazie alla colpevole complicità ed alla tacita connivenza di alcuni rappresentanti dell'opposizione parlamentare:

http://www.repubblica.it/2009/09/sezioni/economia/fisco-2/bagarre-in-aula/bagarre-in-aula.html

http://www.facebook.com/note.php?note_id=143877846601.

Lucio Garofalo

 


Il rovescio della medaglia

Ricordate le polemiche sollevate dall'indulto concesso dal Parlamento italiano nel 2006? Ebbene, alla luce dei recenti episodi di cronaca, credo che non ci siano dubbi sul suo fallimento. Le tragiche vicende di questi giorni hanno riportato alla ribalta dell’attualità politica nazionale il tema, sempre rovente, della giustizia e della sicurezza carceraria in Italia, ossia la questione della giustizia borghese, dei diritti e della giustizia in una società ancora classista come la nostra, forse più che nel passato. A tale proposito credo valga la pena di spendere qualche parola, riflettendo a partire da alcuni dati di fatto.

Anzitutto, il provvedimento d’indulto approvato a larghissima maggioranza dal Parlamento italiano il 29 luglio 2006, venne spacciato come un legittimo e doveroso atto di clemenza e giustizia compiuto dallo stato italiano per sanare la gravissima emergenza in cui tuttora versano le strutture penitenziarie del nostro paese. Non è un caso che gli unici voti nettamente contrari siano venuti da Antonio Di Pietro e dai suoi fedelissimi iper-giustizialisti, dai codini della Lega e dai post-fascisti, ossia dai settori più apertamente reazionari e forcaioli ad oltranza presenti nel panorama politico italiano.

Il provvedimento emesso all'epoca era appunto una misura tampone, destinata a sospendere il problema in maniera temporanea, quasi a rimuovere i pesanti sensi di colpa che turbavano la coscienza sporca della classe politica dirigente, sensi di colpa derivanti dalle inaccettabili e vergognose condizioni di vita in cui è costretta la popolazione carceraria. Insomma, prima che esplodesse qualche rivolta sanguinosa si è ritenuto opportuno prevenire i danni, anziché affrontarli in seguito, quando è più difficile rimediarvi. Di primo acchito si potrebbe convenire con lo spirito di saggezza e di indulgenza che pare avesse ispirato e dettato la suddetta disposizione legislativa.

Si trattava di una misura puramente emergenziale, che tuttavia non ha risolto nulla, dato che gran parte dei detenuti rimessi in libertà nei mesi successivi all’indulto, sono progressivamente rientrati in galera, avendo ripreso a delinquere, come d’altronde era prevedibile che facessero. Arrestati e condannati una prima volta, se non più volte, molti detenuti sono stati scarcerati grazie all’indulto, per essere nuovamente arrestati, condannati e reclusi, in attesa di un nuovo sconto di pena. E’ chiaro allora che il vero scopo del condono da parte dello Stato era un altro, molto più subdolo ed ingannevole.

Alla base di un simile gesto di “clemenza” risiedeva la volontà politica di occultare la natura reale, autoritaria e repressiva dello Stato quale detentore del monopolio della forza pubblica. In quanto tale, esso impone con la violenza e con la minaccia di ritorsione, le sue leggi, le sue strutture e le sue istituzioni, le sue ingiustizie e le sue contraddizioni, facendole accettare come “diritto”, cioè come “giustizia”, “ordine costituito”, ecc. Ma il delitto non può essere trasfigurato come “regola”, l’ingiustizia non può essere spacciata come “legge”, la violenza dell’oppressione, dello sfruttamento, della miseria, dell’emarginazione, non può essere camuffata sotto la veste ipocrita del “diritto” e di un “ordine costituito”, che pertanto non possono essere messi in discussione né essere sottoposti a critica, e tanto meno essere modificati.

La logica e l’ideologia imperanti nella nostra società pretendono che si consideri la violenza, l’ingiustizia, lo sfruttamento materiale, la guerra, quali forme e fenomeni di un “ordine naturale” del mondo, che è dunque inevitabile e permanente, ossia uno stato di cose assolutamente immutabile. Eppure la società borghese in cui viviamo è totalmente sorretta ed incentrata sulla violenza e sul delitto, tutti i suoi rapporti economici e sociali sono imperniati sull'ingiustizia, sull’ipocrisia, sulla mistificazione.

Pertanto, il senso recondito di un provvedimento di indulto come quello adottato dal Parlamento nel 2006, è senza dubbio un obiettivo ideologico e strumentale. Si è trattato di un’operazione di propaganda e di mistificazione politica, tesa ad esibire il volto “buonista” e “garantista” dietro cui si ripara il vero volto del potere, l'anima brutale della violenza poliziesca e della repressione carceraria, dell’ingiustizia e della ritorsione di classe, la natura lugubre ed oscena, cinica e perversa degli aguzzini in divisa, una realtà turpe e criminale che è venuta fuori in questi giorni, per cui non si può ostentare con eccessiva disinvoltura, ma al contrario deve essere opportunamente nascosta.

La falsa clemenza, la falsa giustizia, e più un generale la falsa democrazia, servono solo a dissimulare il carattere più atroce, cruento e sanguinoso che appartiene ad una società in cui la violenza, il delitto e lo sfruttamento sono all’ordine del giorno, anzi stanno all’origine stessa della società, e si estrinsecano abitualmente in tutti i rapporti concreti della vita quotidiana degli individui, in carcere, in fabbrica, a scuola, in famiglia, dappertutto, persino nei più consueti rapporti d’amore e d’amicizia. In tal senso, l’indulto ha esibito il lato ipocrita e perbenista del sistema attualmente vigente. Non mi riferisco solo al sistema carcerario, ma all’intero sistema sociale, dominato da interessi di profitto, arricchimento e potere, che coinvolgono un’esigua minoranza di soggetti, la cui ferrea volontà condiziona pesantemente lo Stato, la legge e l’ordine, che sono una diretta emanazione storica della classe sociale al potere.

Recentemente, su un canale televisivo satellitare, hanno riproposto uno stupendo film di Giuliano Montaldo, “Sacco e Vanzetti” del 1971, interpretato da due attori straordinari, Gian Maria Volonté e Riccardo Cucciolla, calati nei panni dei due anarchici. E’ un capolavoro cinematografico di gran pregio, impreziosito da una superba colonna sonora composta da Ennio Morricone, la cui interpretazione canora è stata affidata all’incantevole voce di Joan Baez, la più importante cantautrice pop statunitense.

Al termine della visione del film, dopo essermi commosso ancora una volta, ho pensato alla dolorosa ingiustizia sofferta dai due anarchici italiani (riabilitati tardivamente, ossia post-mortem, dalle autorità nordamericane, vale a dire dagli stessi carnefici), una violenza perpetrata dal sistema politico giudiziario statunitense, da quella che viene abitualmente osannata come la più grande ed antica "democrazia" del mondo.

Che si tratti della sedia elettrica o di un’impiccagione, della ghigliottina o della fucilazione, di una decapitazione a colpi d’ascia o un’iniezione letale, ogni modalità tecnica di esecuzione della pena capitale è indubbiamente legata alle condizioni temporali e spaziali in cui vive un determinato ordinamento statale. E’ altrettanto indubbio che persino la civiltà giuridicamente più avanzata, che escluda dal suo codice penale la condanna a morte, sostituendola con un più “umano” ergastolo, e che ogni tanto conceda un’amnistia, un condono, uno sconto di pena, una grazia, mostrando in tal guisa un volto di “clemenza”, in realtà si propone solo di camuffare ipocritamente la sua natura feroce e reazionaria, mistificando l’autoritarismo e l’iniquità di fondo su cui si regge un sistema di tipo classista che ha bisogno di “normalizzare” e “legalizzare” le contraddizioni e le sperequazioni sociali e materiali esistenti.

Restando in tema, mi sovviene un altro film diretto da Luigi Magni, intitolato “Nell’anno del Signore”, uscito nel 1969. In questo film il personaggio principale è Cornacchia/Pasquino, interpretato da Nino Manfredi, uno dei migliori interpreti della commedia all’italiana. Pasquino incarnava la voce del popolo nella Roma papalina, un autore clandestino di versi satirici e irriverenti, scritti sulla statua dell’imperatore Marco Aurelio e rivolti contro il potere temporale della chiesa. Pasquino, a un certo punto del film, afferma in dialetto romanesco: “A noi rivoluzionari ce frega er core!”. Una frase ad effetto che si inquadrava nel contesto storico del biennio 1968/69, con le inevitabili implicazioni che il concetto esprimeva in un momento critico della storia italiana.

Personalmente non concordo con la tesi racchiusa nella frase di Pasquino, che probabilmente parlava a nome del regista Luigi Magni. Non sono d’accordo soprattutto per innegabili ragioni storiche. Infatti, tutti coloro che hanno messo in pratica un tale orientamento politico, attenendosi alla lettera al modello e allo spirito rivoluzionario incarnato da Pasquino e riassunto nella sua frase, hanno miseramente fallito. Si pensi, ad esempio, alle Brigate Rosse in Italia, alla RAF nella Germania Ovest, a tutte le formazioni combattenti emuli delle Br, che hanno adottato una strategia di lotta armata ferrea ed inflessibile, senza “cuore” e senza “pietà”: hanno tutti perso tragicamente.

Persino le rivoluzioni sociali e politiche inizialmente vincenti, quali la rivoluzione bolscevica del 1917 in Russia, hanno condotto ad esiti rovinosi. Come mai? A mio avviso, il problema di fondo sta nel fatto che quando si rimuove “er core”, cioè l’umanità, dalla lotta e dal movimento di una rivoluzione, il rischio che si corre è esattamente quello isolarsi dal carattere e dallo spirito delle masse popolari, per diventare aridi e cinici, più crudeli e spregiudicati del potere che si intende rovesciare. Non si può sconfiggere il nemico emulandolo, altrimenti si rischia di assomigliargli troppo e si finisce per creare un sistema di potere e di oppressione più cruento ed efferato rispetto a quello abbattuto. Io credo che non si debba cercare di sovvertire e conquistare il potere, ma bisogna semplicemente negarlo e ripudiarlo tout-court, senza emularlo o eguagliarlo, evitando di farsi plagiare o sedurre, quindi corrompere, dal suo fascino malefico.

Lucio Garofalo

 

 

 

 

     

  Il Crogiuolo


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