27 settembre 2009
La privatizzazione dell'acqua continua
Maria Pia Cutillo

 

 

Comitati Civici di Guardia Sanframondi e San Salvatore Telesino contro la privatizzazione dell’acqua

 

Comitati Civici  di Guardia Sanframondi e San Salvatore Telesino contro l’Inceneritore

 

Cittadini in Movimento

 

 

 

La privatizzazione dell’acqua continua.

 

Il Consiglio dei Ministri  ha approvato il 9 settembre 2009, delle “modifiche” all’articolo 23 bis della Legge 133/2008, che accelerano la privatizzazione dei servizi pubblici locali.

Una decisione presa senza la partecipazione dei cittadini e senza coinvolgere gli enti locali, i Comuni e le Province ma soprattutto senza nessuna forte reazione da parte di partiti di opposizione, sindacati o stampa, tranne pochissime eccezioni.
I pochi margini lasciati alle amministrazioni locali dalla legge del parlamento dell'Agosto 2008, come la possibilità di mantenere la gestione in house dei servizi fondamentali come l'acqua, vengono ulteriormente ridotti.
L’ 133 art. 23 bis già assestava un duro colpo per la gestione pubblica, introducendo l'obbligo della gara e l'ingresso dei privati, ma permetteva ancora ai comuni, anche se con difficoltà, di optare per una gestione del servizio “in house”, cioè mediante società per azioni pubbliche.

Le gestioni “in house”in sostanza sono SPA interamente nelle mani dei comuni consorziati, sulle quali i comuni stessi possono comunque esercitare una certa vigilanza. La gestione in house è riconosciuta dalla normativa Europea, tanto è vero che la Francia ed il Comune di Parigi, che pure devono rispettare le direttive europee, la stanno perseguendo in un ottica di vera ripubblicizzazione.

Il decreto firmato da Fitto e Calderoli, invece, determina la fine delle gestioni “in house” stabilendo che anche nell'affidamento tramite gara a società miste la quota di partecipazione del pubblico non può superare il 40% e, nelle società quotate già esistenti, la quota di partecipazione deve scendere al di sotto del 30% entro il 2012.

Il decreto determina quindi un passo avanti verso una ulteriore mercificazione del “bene comune acqua”.

La Spagna e la Germania continuano ad applicare la gestione “ in house” in molte loro grandi città ed è  adottata dal Belgio, dall'Olanda, dal Lussemburgo, oltre che in 64 ATO italiani, 61 dei quali hanno passato il vaglio dell'authority, compresi quelli di Milano Città e Provincia.
Le gestioni in house sono state una mediazione onorevole  anche se temporanea per il movimento dell'acqua, che con 400.000 firme di sottoscrizione e una legge di iniziativa popolare chiedeva la piena ripubblicizzazione del servizio idrico.

Per il 2011 sarà invece obbligatorio mettere a gara l’intero Servizio idrico nazionale  e già adesso si può prevedere da chi saranno vinte le gare: ACEA – Iride, Enia, Hera - A2A, dentro alle quali Suez e Veolia saranno i padroni veri dell’acqua con Caltagirone, le banche etc.
La partecipazione dei cittadini alle decisioni sui beni comuni, la democrazia, ... resteranno le parole di chi come noi ci crede sempre ma, troppo spesso, deve cedere alle logiche speculative del mercato.

Capita con sempre maggiore frequenza di essere traditi da una politica che usa le nostre battaglie solo per proprio tornaconto. La vicenda della Campania è esemplare. Una giunta di centro-sinistra che privatizza l’acqua. Privatizzazione bloccata dal movimento per l’acqua pubblica ma mai avversata o scongiurata dagli amministratori, se non, a parole, dal solito assessore rifondino ( che sta al potere ma vuole l’appoggio dei movimenti) come l’assessore Realfonzo assessore esterno del comune di Napoli. Per evitare le critiche alla sua partecipazione alla nuova giunta Iervolino, aveva subito dichiarato che si sarebbe battuto per la ripubblicizzazione dell’acqua. Ed ha continuato ad affermarlo fino ad ora, quando finalmente ha trovato il coraggio di ammettere che non c’è una reale volontà politica nel Comune e nella Regione di  ripubblicizzare l’acqua. Ecco perché nessuno si indigna per la decisione del Consiglio dei Ministri! Sia le amministrazioni di centro-destra che quelle di centro-sinistra,  con precisi atti amministrativi, continuano nell’azione di privatizzazione dell’acqua.

L’acqua fonte di vita diventa merce, e verrà quindi consegnata  a S.p.A. controllate dalle multinazionali, cosi come è stata loro consegnata la gestione dei rifiuti.

Decidendo secondo questa logica sull’acqua, sui rifiuti ed altri servizi pubblici, decidono dei nostri territori e delle nostre vite lasciando campo libero alle speculazioni, i cui effetti già conosciamo (vedi gestione rifiuti in Campania, caso Acqualatina, ecc.), e non certo con il fine della pubblica utilità e del controllo democratico.

Come padroni - venditori della nostra acqua, queste multinazionali avranno in pugno anche il potere locale, su cui ancora, a volte, si riesce ad incidere in qualche modo.

Ma Noi non sentiamo affatto il bisogno di consegnare altre subdole armi di ricatto che possano minare il nostro diritto alla partecipazione democratica alle decisioni sul nostro territorio!

E' un decreto chiaramente incostituzionale e come tale deve essere impugnato dagli enti locali.

La parola, e soprattutto la protesta, tocca ai movimenti, ma i giornalisti liberi, gli uomini di cultura, i Sindacati si esprimano, una buona volta, e si oppongano a questa nuova vittoria della legge del mercato e del profitto.

Oggi l’acqua è il bene supremo per antonomasia che andrà sempre più scarseggiando, sia per i cambiamenti climatici, sia per l’incremento demografico. Quella della privatizzazione dell’acqua è una scelta politica gravissima che sarà pagata a caro prezzo dalle classi deboli di questo paese e dai poveri di tutto il mondo. E’ insopportabile che le multinazionali vogliano fare profitti su un bene comune fondamentale, ed è illegittimo ed inaccettabile che la politica rinunci al suo primato nel difendere un diritto inalienabile dell’umanità.

Chiediamo ai sindaci e alle istituzioni locali di indignarsi e di lottare insieme al movimento in difesa dell’acqua come bene comune per fermare o modificare  il decreto. I comuni e le regioni si attivino immediatamente per cambiare statuti locali e leggi regionali affinché si affermi nelle delibere che l’acqua è un bene pubblico privo di interesse economico.

E’ l’unico modo per fermare un decreto vergognoso che porterà alla negazione di diritti fondamentali di tutti noi.

 

25 settembre 2009

 

 

Allegato sullo stesso argomento:

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/09/10/acqua-rifiuti-dal-governo-via-libera-alla.html

 

 

 


 


 

 

 

 

     Ripubblicizzare si può

Alberto Lucarelli

 

 

 

Alla luce della recente, ed ancora una volta, improvvida ed a-sistematica riforma sui servizi pubblici locali, ho ritenuto, al fine di dare a “caldo” un  contributo di chiarezza al dibattito, formulare alcune considerazioni comunque tese a dimostrare che anche dopo l’emanazione dell’ultimo testo normativo “Ripubblicizzare si può” se ovviamente c’è la volontà politica dei soggetti responsabili.

Ci tengo però a fare una premessa: sconsiglio la lettura di questo testo ai legulei privi d’immaginazione che ritengono la nostra Costituzione e gli straordinari principi in essa contenuti come un “ferro vecchio” e desueto e che utilizzano il diritto comunitario in maniera scorretta e strumentale per giustificare scelte liberiste e irrispettose della tutela dei diritti fondamentali. Senza ciniche ipocrisie il mio sogno è che gli amministratori pubblici competenti abbiano il coraggio di affermare: “siamo contro la gestione dell’acqua pubblica” e non continuino invece ad affermare: “siamo per la gestione pubblica, ma dal punto di vista giuridico non è possibile”.

Abbiano il coraggio di affermare: “ripubblicizzare si può”.

 

Testo del decreto legge sugli obblighi comunitari  - approvato dal Consiglio dei Ministri del 9 settembre 2009

 

 

Art. 15

(Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica)

 

 

 

 

1.       Profili di illegittimità del decreto-legge in oggetto

Tralascio di evidenziare profili di illegittimità costituzionale relativi alla norma in oggetto, che mi riservo di affrontare analiticamente, anche rinviando a miei precedenti articoli.

In particolare:

  1. violazione dei requisiti di necessità ed urgenza previsti dall’art. 77 Cost. per l’emanazione dei decreti-legge;

  2. violazione del principio comunitario relativo alla distinzione tra servizi di interesse economico-generale e servizi di interesse generale, ovvero alla differenza tra servizi orientati al mercato e servizi non orientati al mercato (art.. 14 TFUE e protocollo n. 26 del Trattato di Lisbona e relativa produzione normativa e giurisprudenziale UE);

  3. violazione del principio comunitario della coesione economico-sociale e territoriale, in particolare nell’espressione relativa al mantenimento di un elevato livello di occupazione;

  4. violazione del principio solidaristico e di eguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 Cost.;

  5. violazione del principio autonomistico di autodeterminazione dei comuni di cui agli artt. 5 e 18 Cost.;

  6. violazione dell’art. 117, comma 2 Cost., relativo al riparto di competenze tra Stato e regioni;

  7. violazione dell’art. 41 Cost. relativo al riconoscimento dell’attività economica pubblica;

  8. violazione dell’art. 43 Cost., relativo alla centralità del ruolo dell’impresa pubblica nella gestione dei servizi pubblici esenziali;

.

 

2. “Ripubblicizzare si può”: il governo e la gestione dell’acqua al di fuori della materia normata dal decreto-legge in oggetto. Ripartire dai servizi di interesse generale privi di rilevanza economica

a.               in via preliminare occorre ricordare che la norma in oggetto si occupa di concorrenza, mercato e servizi pubblici di rilevanza economica, pertanto non ha ad oggetto servizi privi di rilevanza economica, quali il governo e la gestione dell’acqua;

b.              la norma in oggetto non si applica al governo e alla gestione dell’acqua in quanto il servizio idrico integrato non è un servizio a rilevanza economica, ma un servizio al quale non si applicano le regole del  mercato e dunque non si applica la competenza legislativa esclusiva in tema di tutela della concorrenza.

c.               Il protocollo n. 26 del Trattato di Lisbona all’art. 2, riserva ai singoli stati membri il potere di fornire, commissionare e organizzare servizi di interesse generale.

d.              Sulla base di questa norma gli Stati, o meglio i livelli di governo, presumibilmente i comuni, in quanto più vicini ai cittadini saranno titolari del potere d’identificare ed organizzare i servizi di interesse generale, scegliendone anche il modello di gestione.

e.               I comuni alla luce del protocollo n. 26 del Trattato di Lisbona potranno, attraverso il loro statuti e regolamenti consiliari, disciplinarne i modelli di gestione, anche attraverso alcune definizioni di principio.

 

Ma per l’approfondimento di questi aspetti rinvio a La riforma dei servizi pubblici locali: i modelli di gestione, in Quale Stato, 1, 2009 e a Il modello sociale ed economico europeo, in A. Lucarelli e A. Patroni Griffi (a cura di), Dalla Costituzione europea al trattato di Lisbona, Napoli, 2009.

 

3. I modelli di gestione previsti dal decreto-legge in oggetto

Alla luce del nuovo testo è possibile individuare tre modelli di  gestione dei servizi pubblici locali: due ordinari e uno straordinario. I tre modelli li definirei:

 

  1. concorrenziale aperto a soggetti pubblici e privati;

  2. concorrenziale aperto a soggetti misti pubblico-privato, che è preceduta da una gara tra privati;

  3.  non-concorrenziale fondato sull’affidamento diretto senza gara ad una società di capitali  pubblica, caratterizzato da non ben chiari privilegi in favore della società quotate in borsa.

 

4. Conferimento della gestione dei servizi pubblici locali in via ordinaria a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite.

L’attuale comma 2, lett. a) del decreto-legge prevede che il conferimento della gestione dei servizi pubblici possa avvenire in via ordinaria a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite mediante procedure competitive ad evidenza pubblica.

.     In merito occorre ricordare, in maniera sintetica, che:

-          l’art. 26 n. 1 della direttiva 92/50/CEE, così come confermato dalla sentenza CGCE, dispone che le amministrazioni aggiudicatici non possono esigere che i raggruppamenti di prestatori di servizi assumano una forma giuridica specifica ai fini della presentazione di un’offerta (principio di “neutralità della forma giuridica” rispetto all’assetto proprietario).

-          l’art. 41 Cost. ammette un’attività economica pubblica, accanto alla libertà di iniziativa economica.

-          L’art. 43 Cost. riconosce un ruolo centrale all’impresa pubblica nell’ambito dei servizi pubblici essenziali.

 

Pertanto, nella norma in oggetto, non è ravvisabile una riserva a partecipare alle procedure competitive a favore di specifici assetti societari, sia per quanto riguarda la forma che l’assetto proprietario.

 

5. Spazio gestionale  per l’impresa pubblica: la possibilità di concorrere per l’azienda speciale

Per intenderci, alle procedure concorsuali possono partecipare oltre alle società per azioni, anche forme giuridiche differenti (si pensi alla società consortile a responsabilità limitata) e anche forme giuridiche a carattere imprenditoriale a capitale pubblico, di proprietà pubblica.

Potranno dunque partecipare alle procedure competitive soggetti imprenditoriali pubblici quali le aziende speciali, tuttora presenti nel nostro ordinamento (art. 114 TUEL), che svolgono un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi.

Si tratta evidentemente dell’applicazione di più principi costituzionali (artt. 2, 3, 5, 41, 42, 43) che esprimono una concezione più larga dell’attività pubblica dello Stato, non ristretta all’esercizio di un potere di impero, ma estesa alla funzione sociale. Si tratterebbe dunque di enti pubblici, che agirebbero nella sfera del diritto privato, in regime di concorrenza con le imprese private, o anche con altri soggetti pubblici.

 

 

  1. Conferimento della gestione a società a partecipazione mista pubblica e privata

L’art. 2, lett b) dell’art 15 in oggetto, così come modificativo dell’art. 1, comma 3 dell’art. 23 bis della l. 133 del 2008, prevede che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avvenga in via ordinaria a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a)[1] del presente comma. Società che abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40%.

Questa ipotesi normativa, non presente nel precedente testo, rappresenta la seconda strada ordinaria per aprire al mercato i servizi pubblici locali. Quindi oltre alla gara per contendersi la concessione di un servizio da gestire interamente con una impresa pubblica o privata, vi è la gara per contendersi una partecipazione azionaria qualificata in una società che resterà sotto il controllo pubblico, o comunque con una partecipazione pubblica. Il testo del decreto legge prevede che questa partecipazione debba essere almeno del 40% e che con questa quota azionaria sia sempre affidata al socio privato anche la gestione della spa mista.

Non è questa la sede per evidenziare tutte le criticità del sistema misto nella gestione di servizi pubblici essenziali, più volte rimarcati dalla Corte di Giustizia. Tuttavia, in estrema sintesi, va evidenziato come attraverso la configurazione di  tale assetto societario, si configuri la strumentalizzazione di capitali, proprietà e risorse pubbliche verso finalità privatistiche indirizzate al raggiungimento del massimo profitto a tutto svantaggio della dimensione sociale che comunque deve giustificare la partecipazione del capitale pubblico. Si tratta di silenti forme di dismissione della proprietà pubblica a  vantaggio di interessi particolari, con evidenti rischi per i livelli occupazionali.

La soglia del 40% è quella minima, il che significa il progressivo sbilanciamento dell’assetto azionario a favore della società privata che, con funzioni gestionali, si affermerà come vero proprietario nelle scelte strategiche. Si avrà una proprietà formale, negli anni venutasi a formare sulla base della fiscalità generale, e una proprietà sostanziale del privato, con capacità reali di incidere sulla tutela dei diritti fondamentali.

Rimane oscura la problematica relativa ai controlli, ovvero ai poteri che la Corte dei Conti potrà esercitare su tali soggetti.

 

      7. Deroga alle modalità di affidamento ordinario: la gestione in house a società di capitali interamente pubbliche

L’art. 1 comma comma 3 del decreto-legge in oggetto prevede che “in deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contestale territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l’affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione in house e comunque nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.

A differenza della norma abrogata che prevedeva, laddove non vi fossero i presupposti del mercato, la possibilità di ricorrere ad un modello che prevedesse l’affidamento diretto nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria, norma dunque indifferente rispetto alla natura giuridica dell’affidatario, il nuovo art. 15, comma 3 del decreto-legge individua l’affidatario unicamente nella forma della società a capitale interamente pubblico. L’affidamento in house dunque potrebbe avvenire soltanto attraverso s.p.a. o altre forme di società di capitali.

La norma, escludendo implicitamente il ricorso a modi di gestione formalmente e sostanzialmente pubblici, come ad esempio, il ricorso alla azienda speciale, si pone in contrasto, oltre che con gli artt. 5, 41, 43 e 118 Cost, oltre che con il principio della “neutralità giuridica rispetto agli assetti proprietari”, così come confermato da una recente sentenza della Corte di Giustizia che ha dichiarato illegittima una norma e una procedura che escludeva dalla gara società in nome collettivo e a responsabilità limitata (CGCE, sez IV, sentenza 18 dicembre 2007 , procedimento C-357/06).

Le novità più significative, per quanto attiene gli aspetti procedurali dell’affidamento in house  risiedono:

a)      nella possibilità, in linea con quanto affermato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5082 del 26 agosto 2009 e con la sentenza della Corte di  Giustizie UE del 13 novembre 2008 C-324/07, che il controllo analogo della mano pubblica sull’ente affidatario sia effettivo, anche se esercitato congiuntamente dagli enti associati (ad esempio più comuni). In sostanza, un ente locale che acquisisce una partecipazione in una società in cui tutti gli altri referenti sono PA può attuare il controllo analogo facendo leva sul rapporto con gli altri soci;

b)      nella modifica della procedura per il parere obbligatorio dell’Antitrust sugli affidamenti diretti. Secondo la nuova normativa, infatti il parere dell’Authority va reso per procedure superiori a certi valori, da individuare, ed entro termini perentori, altrimenti scatta il silenzio assenso.  Rispetto alla formulazione precedente originaria del comma 4 dell’articolo 23 bis della l. 133 del 2008, la nuova disposizione non prevede più la richiesta di parere anche alle authorities di settore. Il parere dell’Agcm è preventivo e deve essere reso dalla stessa entro sessanta giorni dalla ricezione della relazione. Decorso il termine, il parere, se non reso, si intende espresso in senso favorevole (silenzio-assenso).

 

8. Il favor lobbystico ed affaristico per le società di gestione e per le società quotate in borsa.

La nuova normativa mentre da una parte prevede una “stretta” generale per le gestioni in house, che improrogabilmente devono scadere alla data del 31 dicembre 2011, dall’altra “salva” altre tipologie di affidamento, garantendo loro la gestione del servizio fino alla naturale risoluzione contrattuale. È evidente che si tratta di un “salvataggio” lobbystico a salvaguardia di precisi interessi e di precise situazioni imprenditoriali ed economico-finaziarie.

In particolare non scadono il 31 dicembre 2011:

a.       le gestioni affidate a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio;

b.      le gestioni affidate a società a partecipazione pubblica quotate in borsa alla data del primo ottobre 2003 scadranno alla scadenza prevista, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche progressivamente attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 30% entro il 31 dicembre 2012; in caso contrario, gli affidamenti cessano improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, alla data del 31 dicembre 2012.

Con l’entrata in vigore di questa norma si aprirà la stagione della svendita del patrimonio mobiliare ed immobiliare delle ex municipalizzate che, per salvare la durata delle gestioni attuali oltre il 2012, dovranno infatti scendere sotto la quota del 30%.

Le società quotate, inspiegabilmente, hanno dalla riforma un trattamento di favore non riservato alle altre società pubbliche che abbiano avuto affidamenti diretti di servizi pubblici senza gara. Tali società potranno inoltre, a differenza, delle altre, diversificare le loro attività, sia dal punto di vista funzionale, che territoriale. Il capitale pubblico “svenduto” costituirà la base necessaria per trasformare tali soggetti in business company, tutte protese alla massimizzazione dei profitti. In sostanza, tali società potranno partecipare a gare per acquisire ulteriori servizi e concessioni e potranno continuare ad acquisire altre forme di servizio fuori del proprio territorio. La stagione degli affari e del “mercato delle vacche” è dunque aperta. Servizi pubblici locali essenziali, anche a carattere non economico, saranno tutti potenzialmente protesi verso una gestione fondata sul profitto, in totale dispregio del principio comunitario della coesione economico-sociale, territoriale e degli  aspetti occupazionali.

 

9. Considerazioni conclusive

 

9.1 l’illegittimità della norma

 

a. Volendo riassumere, quanto su argomentato, è possibile affermare che il decreto-legge in oggetto è palesemente illegittimo ed in contrasto con gli :

a.       artt. 2, 3, 5, 41, 42, 43, 117, 118 della Costituzione;

b.      artt. 14 TFUE (ex art. 16 TCE); art. 2, protocollo n. 26 del Trattato di Lisbona e la Risoluzione n. 97/357 del Parlamento europeo in tema di servizi di interesse generale;

c.       art. 26 n. 1 della direttiva 92/50/CEE e relativa sentenza CGCE, sez. IV del 18 dicembre 2007 (procedimento C-357-06).

Si tratta dunque di un decreto-legge verso il quale ai sensi dell’art. 134 Cost., da parte di tutti coloro i quali hanno a cuore la tutela dei diritti umani e la difesa della Costituzione, va sollevata questione di legittimità costituzionale. In ogni caso nel processo di conversione, nel dibattito parlamentare vanno sollevati tutti i profili di illegittimità.

 

9.2 L’ipotesi pubblica nel mercato concorrenziale: l’azienda speciale

Nel merito, anche nel caso il cui il governo e la gestione dell’acqua fosse fatta rientrare tra i servizi d’interesse economico-generale, orientati al mercato, si ritiene in conformità al principio comunitario della neutralità degli assetti proprietari e nel rispetto del principio costituzionale di cui all’art. 41 Cost. che riconosce e garantisce l’attività economica pubblica  che l’azienda speciale possa concorrere alla gestione del servizio.

 

9.3 L’ipotesi pubblica per il governo e la gestione dell’acqua come servizio pubblico di interesse generale non orientato al mercato

            Va affermato con risolutezza che siamo in presenza di una normativa che si occupa esclusivamente di servizi di interesse economico-generale, quindi non produce effetti sul governo e la gestione dell’acqua che è un ambito direttamente riconducibile ai diritti fondamentali e quindi  non orientato al mercato. Esso  rientra tra i servizi di interesse generale, ai quali non si applicano le regole del mercato e della concorrenza.

Il comune con regolamento consiliare può dichiarare in conformità con il diritto comunitario e con il principio di sussidiarietà l’acqua bene oggetto di servizi di interesse generale, affidando dunque il servizio ad un soggetto formalmente e sostanzialmente pubblico come l’azienda speciale.

Ancora una volta, seppur in attesa di una legge statale che disciplini in modo organico e compiuto il governo dell’acqua, è possibile affermare che occorre una volontà politica che voglia veramente aprire il varco ed intraprendere un’azione che porti alla vera ripubblicizzazione dell’acqua.

Visto il clima politico-economico si tratta di una strada ardua , ma possibile da intraprendere.

Credo che per un bene sacro come l’acqua valga la pena di procedere…..e lo si faccia quanto prima. Questo sì che sarebbe un messaggio politico straordinario.

 

Alberto Lucarelli

Napoli 18 settembre 2009


 

[1] Principi del Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici; principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità.

 

 

 

     

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