24 novembre 2007
Liberi di giocare, non di umiliare
Aldo Maturo

 

 

Il Messaggero - Mercoledì 21 Novembre 2007

Se la  fiction “Liberi di giocare” del regista Francesco Miccichè, girata a Pesaro e andata in onda domenica e lunedì, è stata la storia di un riscatto morale nato tra le pareti di un carcere, è anche vero che ha rappresentato l’ennesima umiliazione e mortificazione di chi nel carcere ci opera veramente.

Ancora una volta – diversamente da quanto succede per altri Corpi di Polizia enfatizzati in infinite fiction interamente dedicati alle loro gesta – la televisione ed il cinema si divertono a rappresentare la realtà del carcere come una terra di nessuno, infarcita di corruzione,violenza, complicità, assoluta mancanza di professionalità.

Come sempre gli agenti di Polizia Penitenziaria sono stati offerti alla pubblica opinione come corrotti e al servizio dei detenuti, incaricati solo di aprire e chiudere cancelli o inveire violentemente contro di loro.

 (nella foto la Ferrari e Favino)

E’ una realtà del tutto falsata che i mass media continuano a coltivare nell’immaginario collettivo dello spettatore, cui evidentemente bisogna nascondere, per motivi ignoti, la reale vita del carcere e di chi vi opera, del suo ruolo e della sua funzione fatta non solo di sacrifici – per le difficoltà ambientali  operative e finanziarie -  ma anche di comprensione, equilibrio, dedizione, immedesimazione delle problematiche, aiuto nella crescita morale di chi è privato della libertà personale. Quella dell’operatore penitenziario – per la complessità e la molteplicità delle competenze - è una professionalità che, anche per l’aspetto umano, non trova riscontri in nessun altro lavoro. Appiattirla, falsarla e ridurla al semplice ruolo di “tira catorcio” o di manovratore occulto di violenza e corruzione, è non solo gratuitamente offensivo, ma umilia una categoria altamente specializzata che opera in uno dei settori più delicati della sicurezza e della pubblica amministrazione.

Quello che ci è stata offerta, dalla figura della Direttrice a quella dell’ultimo agente, è una libera interpretazione del regista che non trova alcun riferimento nella realtà penitenziaria di tutti i giorni.

 

                                                       Aldo Maturo

Ex Direttore Casa Circondariale Pesaro                                                

 


 

Corriere Adriatico

L’ex direttore della Casa circondariale di Villa Fastiggi: una fiction che ha umiliato gli agenti di custodia
Maturo: “Liberi di giocare, ma non di mortificare”


PESARO - La fiction “Liberi di giocare”, girata a Pesaro e andata in onda domenica e lunedì sera su Raiuno, non è piaciuta ad Aldo Maturo, ex direttore della Casa circondariale di Pesaro, nonchè, in tempi passati, del carcere a massima sicurezza di Fossombrone. Il quale, come “addetto ai lavori”, ha molto da obiettare. “Se la fiction - scrive Maturo - è stata la storia di un riscatto morale nato tra le pareti di un carcere, è anche vero che ha rappresentato l’ennesima umiliazione e mortificazione di chi nel carcere ci opera veramente. Ancora una volta – diversamente da quanto succede per altri Corpi di Polizia enfatizzati in infinite fiction interamente dedicati alle loro gesta – la televisione ed il cinema si divertono a rappresentare la realtà del carcere come una terra di nessuno, infarcita di corruzione, violenza, complicità, assoluta mancanza di professionalità. Come sempre gli agenti di Polizia Penitenziaria sono stati offerti alla pubblica opinione come corrotti e al servizio dei detenuti, incaricati solo di aprire e chiudere cancelli o inveire violentemente contro di loro.

“E’ una realtà - continua Maturo - del tutto falsata che i mass media continuano a coltivare nell’immaginario collettivo dello spettatore, cui evidentemente bisogna nascondere, per motivi ignoti, la reale vita del carcere e di chi vi opera, del suo ruolo e della sua funzione fatta non solo di sacrifici, ma anche di comprensione, equilibrio, dedizione, immedesimazione delle problematiche, aiuto nella crescita morale di chi è privato della libertà personale.

“Quella dell’operatore penitenziario – per la complessità e la molteplicità delle competenze - è una professionalità che, anche per l’aspetto umano, non trova riscontri in nessun altro lavoro. Appiattirla, falsarla e ridurla al semplice ruolo di “tira catorcio” o di manovratore occulto di violenza e corruzione, è non solo gratuitamente offensivo, ma umilia una categoria altamente specializzata che opera in uno dei settori più delicati della sicurezza e della pubblica amministrazione.

“Quello che ci è stata offerta, dalla figura della direttrice a quella dell’ultimo agente - conclude l’ex direttore Aldo Maturo - è una libera interpretazione del regista che non trova alcun riferimento nella realtà penitenziaria di tutti i giorni”.


 

     

  Il Crogiuolo


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