23 maggio 2009

Quando i clandestini eravamo noi

Aldo Maturo

 

 

 

“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.

 

Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.

 

Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali". "Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purchè le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell'Italia.

 

Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".

Da una relazione dell'Ispettorato per l'Immigrazione del Congresso americano sugli  immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912.

 

 

Non ci andava meglio in Svizzera, negli anni ’70 con leader  che scrivevano :

 

 

 “Le mogli e i bambini degli immigrati? Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d’una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello». «Dobbiamo respingere dalla nostra comunità quegli immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di pochi anni, o di una generazione, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale. Scalano i posti più comodi, studiano, s’ingegnano: mettono addirittura in crisi la tranquillità dell’operaio svizzero medio, che resta inchiodato al suo sgabello con davanti, magari in poltrona, l’ex guitto italiano».

 

 

In quegli anni – ieri rispetto alla Storia -  in Svizzera c’erano circa 30.000 bambini italiani clandestini, portati di nascosto dai  genitori siciliani e veneti, calabresi e lombardi, a dispetto delle rigorose leggi elvetiche contro i ricongiungimenti familiari, genitori terrorizzati dalle denunce dei vicini che  raccomandavano perciò ai loro bambini: non fare rumore, non ridere, non giocare, non piangere.

 

Prima degli anni ’50 gli italiani andavano a Bucarest per lavorare nelle fabbriche e nelle miniere e alla scadenza del permesso di soggiorno restavano in Romania, clandestini. Nel 1942 il Ministro dell’Interno fu costretto ad inviare a tutti i Questori una circolare con la quale li si invitava a non far espatriare gli italiani in Romania.

 

In India, nel 1893, il console italiano scriveva a Roma per dire che in quella città tutti quelli che sfruttavano la prostituzione venivano chiamati “italiani”.

Tra la prima e la seconda guerra mondiale molti italiani andavano in America con passaporti falsi o biglietti inviati da pseudo parenti italo americani. In realtà una volta  sbarcati li attendevano turni di lavoro massacranti perché ripagassero, senza stipendio, il costo di quel viaggio della speranza.

Non sono  aneddoti. E’ storia, tratta dalla Mostra “Tracce dell’emigrazione parmense e italiana fra il XVI e XX secolo” (Parma, 15 aprile 2009).

 

Forse ci ricordano che la nostra Terra gira, gira velocemente nello spazio e nel tempo creando nuovi ricchi ed ammassando nuovi poveri. I ruoli si invertono ma i clandestini restano anche se hanno un colore diverso. Fuggono da Paesi in cui l’unica prospettiva è morire per fame o morire per guerre volute da altri. Ed allora questa gente può solo correre, correre, correre impazzita verso il nord, verso il mediterraneo,  verso quelli che credono essere orizzonti migliori.
 

 

 

Aldo Maturo

 

 

 


 

Vorrei fare i miei più sinceri complimenti al Signor Aldo Maturo per il suo intervento sugli immigrati clandestini. Non c'è dubbio che quanto abbia esposto sia vero oltre che scritto con uno stile davvero invidiabile e con uno slancio da appassionato.

Non voglio criticare, anzi completare quell'appassionato eloquio con le mie modeste riflessioni: - quanta ragione avevano gli americani di trattare male i nostri immigrati? Bisognerebbe chiederlo ai vari Gambino, Capone e compagnia bella, che hanno dato della nostra Italia un esempio davvero poco edificante. - quanto torto avevano gli americani a comportarsi a quel modo?

Bisognerebbe chiederlo ai Fiorello La Guardia, Enrico Fermi, Ettore Maiorana e compagna bella che hanno dato dell'Italia un esempio davvero magnifico. Cosa voglio dire? Non credo ci sia nulla di male a volersi accertare che in Italia entrino, seppur clandestinamente, dei La Guardia o dei Fermi piuttosto che dei Capone e dei Gambino.

E poi, l'America del 1912, oggi non fa più testo e gli svizzeri sono tradizionalmente xenofobi e lo saranno sempre (ma non solo contro gli Italiani). Approfitto, quindi, del magnifico scritto del Signor Maturo per raccomandare a tutti grande umanità, attenzione ai problemi altrui, ma anche attenzione...a non crearci altri problemi se non siamo certi di chi varca le nostre frontiere.

Sergio Paliotti


Gentile Sig.Paliotti,

 

La ringrazio per la Sua cortese e-mail di apprezzamento al mio articolo.

Lei ha perfettamente ragione quando dice, a proposito dell’America,

che ci siamo fatti conoscere non solo per i vari Gambino ed Al Capone

ma anche per tanti altri italiani illustri.

 

Forse è una nostra caratteristica  quella di non passare inosservati, nel bene e nel male, visto che abbiamo esportato tanti cervelli ma anche tanti delinquenti. Di certo tra i  milioni di italiani che hanno lasciato l’Italia, tra la fine dell’ottocento fino ai giorni nostri, ci sono state  persone non molto diverse dai tanti disperati che oggi sperano di trovare in Italia la loro ultima spiaggia.

 

Gian Antonio Stella nel suo bellissimo libro - che le consiglio di leggere - intitolato “Quando gli albanesi eravamo noi” ci ricorda  che “….Quando si parla d'immigrazione italiana si pensa solo agli 'zii d'America', arricchiti e vincenti,

ma nessuno vuole sapere che la percentuale di analfabeti tra gli italiani immigrati nel 1910 negli USA era del 71% o che gli italiani costituivano la maggioranza degli stranieri arrestati per omicidio” o ancora che il primo attentato nella storia  con un’auto imbottita di esplosivo è stato fatto a New York, non da terroristi ma da criminali italiani contro una banda avversaria.

 

Forse ce lo dovremmo ricordare ogni volta che vediamo in tv le immagini dei barconi pieni di disperati. Purtroppo poi ci sono anche le notizie di cronaca che spesso li vedono protagonisti e che ci colpiscono allo stomaco.

 

Ammetto di non essere obiettivo perché vivo questi problemi in prima persona.

Quale  legale del Centro di Ascolto della Caritas di Pesaro  le confesso che è diverso vederli in tv e vederli e parlargli dal vero leggendo nei loro occhi la  miseria e una dignitosa richiesta di aiuto.

 

Due settimane fa mi è stata notificata la risposta del Tribunale dei Minori di Ancona che accoglieva una mia istanza tesa a far restare in Italia una coppia di extracomunitari con il loro bimbo. Alla notizia, un semplice grazie sussurrato tenendo ben stretta in mano la copia del provvedimento che attendevano da un anno. Dopo qualche giorno  un loro sms sul cellulare mi diceva:

“Non ti dimenticherò nella vita che Dio ti benedica”.

 

E’ stato l’onorario più bello.

 

La saluto cordialmente

Aldo Maturo

 

 

 

     

  Il Crogiuolo


Per intervenire: invia@vivitelese.it