20 aprile 2009
Gli enti locali e l'economia
segnalazione di Pierluigi Santillo

 

 

Come “cittadini in movimento”, vista l’assonanza con le tesi che stiamo sostenendo, riteniamo utile riportare una sintesi della relazione che Maurizio Pallante (Movimento per la Decrescita Felice) ha illustrato in occasione della presentazione delle liste civiche per le prossime amministrative, disponibile integralmente in video sul blog di Beppe Grillo (il titolo è nostro, così come la sintesi proposta).

 

 

GLI ENTI LOCALI E L’ECONOMIA

La crisi economica che stiamo vivendo è una crisi terribile perché somma due aspetti: l’aspetto economico della sovrapproduzione di merci che non si riescono a vendere e l’aspetto ambientale, sia dal punto di vista dell’esaurimento delle risorse, sia dal punto di vista delle emissioni inquinanti, con l’aggravarsi dell’effetto serra.

 

E’ stata una crisi di sovrapproduzione fin dall’inizio, anche quando la volevano mascherare come una crisi di carattere finanziario, quando cioè le banche americane da un lato prestavano dei soldi per comprare delle case a persone che non avrebbero potuto restituirli (pur di sostenere l’industria dell’edilizia), e dall’altro consentivano di continuare a produrre al di là di quello che il mercato era in grado di assorbire.

 

Entrambi gli aspetti della crisi, sia quello economico – finanziario e occupazionale, sia quello ambientale sono infatti dovuti al meccanismo della crescita economica, al fatto che l’economia ha come scopo quello di produrre, ogni anno, quantità sempre maggiori di merci da mettere sul mercato, anche se poi non si riesce a venderle, consumando quantità sempre maggiori di risorse e producendo quantità sempre maggiori di rifiuti.

 

Berlusconi come propone di rilanciare l’economia? Attraverso l’edilizia, da una parte incentivando l’edilizia privata per aumentare le cubature, dall’altra incentivando l’edilizia pubblica attraverso le grandi opere.

 

Ma pensare che si possa uscire dalla crisi rimettendo in moto l’economia con il rilancio della domanda e delle produzioni tradizionali, in particolare l’edilizia e l’automobile è una pericolosa illusione. Ciò per due ragioni:

1) perché i mercati dell’automobile e dell’edilizia sono più che saturi: abbiamo moltissime case vuote, abbiamo delle automobili che non sappiamo più dove mettere e il traffico nelle città è un traffico ormai impossibile;

2) perché sono prodotti estremamente energivori: siamo abituati a pensare che l’automobile sia energivora perché consuma benzina, ma anche gli edifici sono energivori, e anzi lo sono più delle automobili (soltanto per il riscaldamento, in 5 mesi, il nostro patrimonio edilizio consuma tanta energia quanto ne consuma tutto il parco delle automobili e dei camion nel corso di un anno).

 

Al contrario, la recessione che stiamo vivendo può essere un’opportunità, perché pone un freno alla crisi ambientale: ci costringe a rimettere in discussione i 50 anni di follia in cui siamo vissuti, a partire dal fatto che c’era una sovrabbondanza di petrolio a prezzo molto basso, il che ci ha fatto perdere ogni buonsenso nell’affrontare le cose, a rapportarci con il mondo, e tra di noi.

 

L’alternativa alla visione berlusconiana è rimettere in moto il ciclo economico e rilanciare la produzione e l’occupazione con misure politiche finalizzate a ridurre le cause dei due aspetti della crisi. Dobbiamo sviluppare delle tecnologie che riducono il consumo di risorse e l’impatto ambientale: queste tecnologie hanno un enorme spazio di mercato e ci consentono di ridare senso al lavoro con attività umana.

 

Dunque le liste che si presenteranno alle prossime elezioni amministrative dovranno porre al centro del loro programma lo sviluppato di iniziative, di misure che consentono di sviluppare le tecnologie per la riduzione del consumo di risorse, e finalizzate quindi a ridurre l’impatto ambientale: gli enti locali possono fare molto da questo punto di vista.

 

Per esempio, dobbiamo porci l’obiettivo di ridurre i consumi energetici almeno del 50% (abbiamo degli sprechi che arrivano al 70, all’80% dell’energia, non ha nessun senso che una civiltà si chiami tecnologicamente avanzata con queste performance così negative!).

 

Come possono gli enti locali ridurre i consumi di energia? Il primo passo è fare una diagnosi energetica degli edifici pubblici e metterli a posto. Già ci sono degli amministratori pubblici che hanno fatto la diagnosi energetica di tutti i loro edifici, sono in grado di sapere quanto consumano e quanto sprecano e sono in grado di intervenire per metterli a posto.

 

Se devono eseguire un intervento di manutenzione straordinaria, con una limitata integrazione di costi, possono realizzare i lavori in modo da ridurre anche i consumi energetici. Basta semplicemente l’extracosto in più del materiale maggiormente efficiente, e con piccolissimi investimenti la manutenzione straordinaria può diventare una grande occasione di occupazione e di riduzione dell’impatto ambientale.

 

Il secondo punto sono i regolamenti edilizi: ogni ente pubblico deve fare un allegato energetico al regolamento edilizio, in cui dice: nel mio territorio comunale non si possono più costruire case o non si possono più ristrutturare le case esistenti se consumano più di 7 litri al metro quadrato di gasolio all’anno, che è la misura massima consentita in Alto Adige, in Germania e in altri paesi europei.

 

Sempre per rilanciare l’occupazione e la produzione di queste tecnologie, gli enti locali devono favorire lo sviluppo di società che si chiamano Energy Service Company (E.S.Co.), società che fanno le ristrutturazioni energetiche a loro spese e che si ripagano incassando, per un certo numero di anni, il risparmio energetico che riescono ad ottenere.

 

Inoltre bisogna dire: no a ogni tipo di centrale, in più che venga proposta nel nostro territorio!

 

Invece, dopo la riduzione dei consumi, si deve dare impulso allo sviluppo delle fonti rinnovabili. Devono essere installati piccoli impianti per autoconsumo degli edifici: non abbiamo bisogno di grandi centrali, ma abbiamo bisogno di tanti cittadini che si autoproducono la loro energia e che mettono in rete le eccedenze.

 

Si tratta di mettere in moto un gigantesco trasferimento di denaro, di soldi che oggi spendiamo per comprare petrolio all’estero, per pagare salari e stipendi alle persone che ci consentono di ridurre i costi per l’acquisto di petrolio dall’estero. Questa è la maniera di rilanciare l’economia e di autofinanziare questo tipo di progetti, proprio come intende fare il Presidente degli Stati Uniti. Si tratta di trasformare i risparmi in salari e stipendi per un sacco di persone che hanno delle competenze, e che sono a spasso in una maniera che è inaccettabile da un punto di vista civile!

 

Infine si parla molto di biocombustibili, di un’agricoltura finalizzata a produrre dei biocarburanti. Nessuno parla invece del fatto che alcune forme di agricoltura possano essere utilizzate per produrre dei materiali che consentono di ridurre i consumi di energia senza implementare l’offerta di energia: per esempio si può usare la canapa per fare la coibentazione delle case. Inoltre si può usare per lo stesso scopo la lana delle pecore, che non è particolarmente raffinata, che viene considerata rifiuto speciale e viene portata in discarica a dei prezzi molto alti. Con questa lana si possono fare dei cappotti nelle intercapedine delle case per diminuire i consumi, e contemporaneamente ridurre i rifiuti, i consumi di energia, l’impatto ambientale; e si creano dei posti di lavoro.

 

Altro punto su cui devono intervenire gli enti locali è l’uso del territorio, bisogna dare uno stop all’espansione dei piani regolatori, non si deve più costruire neanche un centimetro quadrato di terreno agricolo!

 

Diversamente da quanto sostiene l’industria del cemento, in questa maniera non si blocca l’occupazione, non si blocca l’edilizia, ma si indirizza l’edilizia a ristrutturare l’esistente: abbiamo costruito 50 anni in una maniera vergognosa, abbiamo da mettere a posto disastri fatti da 50 anni, c’è un mare di lavoro da fare. Una misura di questo genere costringe tutti coloro che lavorano nell’edilizia a implementare la loro professionalità per rimettere a posto guasti che si sono fatti, e per costruire in una maniera più rispettosa dell’ambiente!

 

Non si deve costruire del nuovo ma rimettere a posto l’esistete, lavorare alla riqualificazione del patrimonio edilizio più obsoleto, abbattere se è necessario e ricostruire in maniera più decente.

 

Anche la riqualificazione del verde urbano ha un’importanza che noi spesso sottovalutiamo: va riequilibrato il rapporto tra organico e inorganico nelle città, perché se noi sviluppiamo il verde in maniera significativa e non soltanto per abbellimento, abbiamo 3 risultati fondamentali:

1) le aree verdi assorbono l'acqua e consentono di riempire le falde freatiche (le aree impermeabilizzate fanno disperdere l’acqua, noi aumentiamo i consumi di acqua e diminuiamo contemporaneamente attraverso l’asfaltatura e la cementificazione la capacità delle falde freatiche di riempirsi);

2) perché il verde urbano abbassa la temperatura dei microclimi delle città che sono di 3 o 4 gradi superiori ai microclimi delle zone circostanti;

3) perché una forestazione urbana consente di assorbire la Co2 e quindi di ridurre anche l’effetto serra e di ridurre anche l’innalzamento climatico!

Altro punto fondamentale è quello dei rifiuti: il problema dei rifiuti deve essere affrontato da un punto di vista economico, perché è l’unica maniera di risolverlo anche da un punto di vista ecologico.

 

Se diminuiscono i rifiuti, se si recuperano le materie prime secondarie che contengono, si ha un risparmio sui costi di conferimento allo smaltimento: se non porto un chilo in discarica perché non l’ho prodotto, o perché l’ho riciclato ho un risparmio del costo in discarica o dell’incenerimento, o addirittura  lo posso vendere a qualcuno che ne fa una materia prima secondaria.

 

Per cui la raccolta differenziata, la riduzione di rifiuti devono consentire agli enti pubblici di ridurre i costi che oggi sostengono le popolazioni, e addirittura di farli trasformare in un introito per accrescere i proventi del loro bilancio, cosa necessaria per sostituire la tendenza suicida a riempire il bilancio svendendo il territorio come stanno facendo in questo periodo.

 

Ancora i comuni devono gestire in maniera seria i rifiuti organici delle mense scolastiche: ci sono degli sprechi che gridano vendetta al cospetto di Dio, ci sono delle quantità di cibo impressionanti che vengono buttate, vengono buttati interi plateau di materiale non toccato per chissà quale motivo sanitario che viene accampato, quando questo cibo potrebbe nutrire moltissime persone che hanno bisogno!

 

Quello che non può essere utilizzato per questo scopo, deve essere utilizzato per fare del compostaggio per arricchire di sostanza organica i suoli.

Bisogna valorizzare al massimo le popolazioni contadine, i piccoli contadini di prossimità e favorire il fatto che possano vendere i loro prodotti nelle città, superando tutti gli obblighi burocratici, partite Iva etc.

 

I comuni devono entrare come protagonisti nella politica economico – occupazionale, per esempio favorendo il ciclo delle filiere corte: Bisogna valorizzare i prodotti del territorio.

 

Non è più concepibile che si facciano fare tutti questi chilometri ai prodotti creando impatto ambientale, aumentando l’effetto serra e togliendo occupazione, perché sfruttano i lavoratori di popoli anche lontani, che non vengono pagati il giusto e che ci consentono di avere questi materiali che non fanno bene e non fanno tanto bene quanto costano poco!

Questo fenomeno dei mercati contadini, delle filiere corte è un fenomeno che sta avendo un grande sviluppo dappertutto, in tutti i paesi industriali avanzati: bisogna che anche le nostre amministrazioni locali favoriscano questo tipo di processo.

 

Bisogna aumentare gli acquisti verdi da parte dei comuni, di prodotti realizzati in modo ecocompatibile.

 

Infine il discorso dell’acqua, sul fatto che l’acqua deve essere pubblica penso che non dobbiamo neanche più discutere, perché è una cosa talmente evidente e giusta che non dovremo più spenderci parole.

 

Ma non basta questo, perché dobbiamo impegnarci molto per la riparazione degli acquedotti: abbiamo gli acquedotti che perdono fino al 40% di acqua, pompiamo l’acqua e la perdiamo, dobbiamo fare in maniera di non disperdere questa acqua.

 

Delle aziende che lavorino in una logica tipo delle Esco (Energy Service Company) potrebbero supportare i comuni in questo tipo di iniziativa, mettere a posto gli acquedotti e guadagnare sul risparmio idrico conseguente al loro intervento.

 

 

     

  Il Crogiuolo


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