7 dicembre 2008
Famiglie, Social Card e sostegno del Governo
AA.VV

 

 

Decreto Legge 158/2008

Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale.




Fonte: www.ilsole24ore.it

OVER 65 - BEBE’
Moduli di richiesta e Guida alla compilazione

 

 

Link ai siti ufficiali:

http://www.mef.gov.it/carta_acquisti/ 

http://www.poste.it/carta_acquisti/


E' in arrivo la social card, 40 Euro al mese in più per i cittadini in gravi condizioni economiche,un serio aiuto per i pensionati e le persone più deboli.

La social card, che avrà durata di un anno è ricaricabile per 80 Euro bimestralmente e andrà a sostegno di circa 800 mila persone che versano in condizioni economiche di grave disagio. Se si ha diritto a ricevere la Social Card si riceverà una comunicazione da parte dell’INPS e potrà essere richiesta direttamente alle Poste. La Social Card potrà essere utilizzata per pagare bollette ENEL e Gas e anche per l’acquisto di alimentari di prima necessità.

 La carta sarà destinata ai cittadini residenti con oltre 65 anni di età e un reddito inferiore ai 6 mila euro e alle famiglie, con lo stesso reddito, in cui ci sia un bambino sotto i tre anni. Tali soggetti per richiedere la carta dovranno compilare il modello ISEE (redditometro dell’INPS) e dimostrare che possiedono i requisiti per ottenere la social card.

Le limitazioni sono le seguenti:il richiedente deve possedere al massimo una casa, una autovettura (due in caso di una famiglia con figli minori) ed avere solamente un’utenza elettrica (una domestica e una non domestica per le famiglie con figli) o del gas (due per le famiglie). Inoltre non bisognerà avere più di 15.000 euro di soldi in Banca o alle Poste (da soli o con il marito/moglie).


 


 La povertà... Tra social card e reddito minimo di inserimento

 

01-12-2008

di Giovanni Zarro

 

Ecco la carta sociale! 800.000 cittadini a basso reddito, nel corrente mese di dicembre, disporranno di 120 euro (40 euro al mese retroattivi da ottobre) da spendere negli esercizi commerciali convenzionati. Con quali modalità? Attraverso la Social card!... Ecco la carta sociale! 800.000 cittadini a basso reddito, nel corrente mese di dicembre, disporranno di 120 euro (40 euro al mese retroattivi da ottobre) da spendere negli esercizi commerciali convenzionati. Con quali modalità? Attraverso la Social card! E’ una tessera elettronica; potrà essere ritirata presso gli uffici postali. Chi ne potrà essere titolare? A chi è diretta? Ai pensionati sociali o al minimo e alle famiglie con figli piccoli (fino a tre anni) che abbiano un reddito Isee (indicatore della situazione economica equivalente) non superiore a 6.000 euro annui. La tessera potrà essere utilizzata per fare la spesa e per accedere a mirate prestazioni sociali. Da gennaio la carta verrà ricaricata, 80 euro ogni due mesi. E’ previsto anche un “bonus sociale” sulle bollette energetiche! E’ già definito per l’energia elettrica; sarà probabilmente esteso al gas. Hanno diritto all’agevolazione gli intestatari di fornitura elettrica con un reddito Isee non superiore a 7.500 euro. Hanno diritto al bonus anche i cittadini presso i quali vive un soggetto affetto da malattia che richiede l’utilizzo di apparecchiature elettromedicali. Cosa dire della Social Card? Intanto ….è una decisione! È una decisione a suo modo attenta ed efficace, quanto a funzionamento! Pone, però, è bene non negarlo, alcuni interrogativi: la Social Card davvero è lo strumento per sferrare un duro attacco alla povertà? E’ davvero lo strumento per condurre una lotta senza quartiere alla povertà con l’obbiettivo di venirne, finalmente, a capo? In altri termini ….è una forma di solidarismo compassionevole o un rafforzamento dei diritti di cittadinanza che la Costituzione mette in capo ai cittadini? Non c’è che dire, da qualsiasi parte la si esamini, è solo una forma di solidarismo compassionevole, visto il difficile momento economico o è un modo elegante per dire e fare ….. elemosina! E’ il nuovo nome dell’elemosina! Insomma, il Governo riduce, con il 112/ 2008, il welfare universalistico dei servizi sociali e sanitari e individua la «carta sociale», come strumento di lotta alla povertà. Ed il PD? Il Pd cosa fa? Deve mettere in campo una proposta alternativa alla social card; una proposta in grado di rimuovere le criticità ed i limiti che le sono propri! La proposta non può che essere quella del reddito minimo di inserimento. Senza mitizzarlo, però! Ma ragioniamo…intanto le cifre sulla povertà! L’Italia, secondo i dati ISTAT, nel 2006, contava n. 7.537.000 cittadini residenti, il 12,9% dell’intera popolazione, in condizioni di povertà, secondo gli standards fissati dall’Onu. L’Istat ha richiamato l’attenzione su figure simbolo della povertà: famiglie numerose con figli a carico, minori, anziani soli. Si sono aggiunte, negli ultimi anni, alcune fasce di giovani. Va precisato che secondo la Banca d’Italia, considerando gli indicatori di disuguaglianza, il disagio economico non sarebbe aumentato in questi anni. Il disagio non è aumentato, e non si sa se può essere vero; ma esiste ed in misura consistente! Cosa lo provoca? Lo provoca la stagnazione dei redditi. Questo fenomeno rende gli italiani relativamente più poveri rispetto ai cittadini dei restanti grandi paesi europei! I redditi delle famiglie, nelle altre parti d’Europa, sono cresciuti a tassi superiori. La stagnazione dei redditi induce a chiedersi: cosa si può fare per incrementare significativamente i redditi? Innanzitutto l’impegno a condurre una vigorosa politica di sviluppo economico ed in conseguenza una più favorevole politica salariale! Il disagio economico e sociale porta anche a considerare cosa all’atto si fa…nella prospettiva di una mirata e decisa azione di contrasto al pauperismo! C’è una politica contro il pauperismo! Questo si! Ed ancora..non è modesta quanto a cifre e ….sicuramente non è efficace, quanto a risultati! In Italia il complesso dei trasferimenti di protezione sociale (pensioni comprese) è pari al 30% del Reddito prodotto, come le altre grandi nazioni; epperò coinvolge il 56% della popolazione a rischio di povertà contro una media, dell’UE a 25, di quasi il 63%. Se si prende in considerazione l’efficacia dei soli trasferimenti assistenziali, escluse le pensioni, si registra che in Italia viene coinvolta il 30% della popolazione a rischio povertà contro una media dei paesi dell’Unione prossima al 40%. Quali le conseguenze della povertà? La povertà distrugge la dignità dell’uomo! Ancora di più quando coinvolge i minori. L’esser poveri nella fase iniziale della vita cosa provoca? Provoca ….uno svantaggio strutturale, in termini di minore istruzione, di minore possibilità di inserimento nel mercato del lavoro, di più forti rischi quanto alla esclusione sociale! Ancora sulla povertà….e sulla povertà minorile… Si è poveri da bambini come figli di disoccupati e di sottoccupati; si rimane poveri da giovani e da adulti perché la povertà dei genitori, unita ad una politica scolastica, insufficiente, poco attenta a comprendere le situazioni di svantaggio famigliare (da qui la lotta per una scuola migliore ma anche per una cultura sociale sulla scuola che ne rimarchi il suo ruolo strategico per conseguire l’obbiettivo della uguaglianza delle opportunità) non consente l’accesso a una formazione adeguatamente spendibile sul mercato del lavoro. Cresce il numero dei diplomati e laureati e cresce anche il disallinemanto rispetto alle moderne esigenze del mercato del lavoro. Non solo… troppe volte l’unico lavoro che si trova è al di sotto della soglia di decenza, in quanto privo di diritti e di tutele. E dunque si deve prendere atto che le politiche nazionali di contrasto alla povertà in essere sono datate, non universalistiche, basate su criteri di selezione tali da lasciare un’ampia fascia di persone e di famiglie povere senza la possibilità di contare su alcun sostegno economico. Cosa dice l’Unione Europea sulla lotta alla povertà? Punto di riferimento è l’Agenda sociale europea! Gli obiettivi sono: creare una strategia integrata che garantisca un’interazione positiva delle politiche economiche, sociali e dell’occupazione; promuovere la qualità dell’occupazione, della politica sociale e delle relazioni industriali, consentendo quindi il miglioramento del capitale umano e sociale, adeguare i sistemi di protezione sociale alle esigenze attuali, basandosi sulla solidarietà e potenziandone il ruolo di fattore produttivo; tenere conto del «costo dell’assenza di politiche sociali». Nell’ambito della lotta alla povertà, l’iniziativa comunitaria chiede, chiaramente, agli Stati membri, di adottare misure di reddito minimo di inserimento; indica il 2010, l’anno europeo della lotta alla povertà. La via europea della lotta alla povertà, come si constata, prevede un gruppo di politiche generali da una parte e mirati ed intelligenti interventi dall’altra. In definitiva, quale è la differenza fra i paesi europei quanto alla povertà? La presenza di misure specifiche come il reddito minimo di inserimento in uno a quelle generali fanno la differenza; costituiscono un discrimine tra paesi le cui politiche sociali agiscono con maggiore efficacia nel contrastare la povertà e paesi in cui l’efficacia delle misure antipovertà è inferiore. Tra queste l’Italia! L’accesso al lavoro è, dunque, essenziale; non è esaustivo per contrastare la povertà e l’esclusione sociale! Il lavoratore deve avere diritti, deve poter accedere alla formazione permanente, ad un circuito informativo adeguato, al sostegno delle attività di cura. Perché? Perché il lavoro da solo non produce l’agognata integrazione sociale. Un reddito da solo non libera dalla povertà. Perché la povertà, è “l’espressione di un fallimento delle capacità. E costituisce una limitazione, dell’esistenza umana”.E siamo al punto! È utile impostare le politiche di lotta alla povertà alla luce del concetto di capacità. La capacità è l’esercizio delle libertà sostanziali; mette l’accento sui risultati che si ottengono con il buon utilizzo delle risorse e non si limita a riconoscere in modo formale un diritto ma si preoccupa di come renderlo pratico ed effettivo. Il concetto di capacità sposta l’attenzione sul rapporto tra reddito e star bene nella consapevolezza che non basta guadagnare risorse per stare bene; bisogna saperle usare. Non basta prevedere il reddito minimo di inserimento, non basta dare soldi ai cittadini per estirpare questo male; bisogna preoccuparsi che il reddito assentito sia usato dalle persone come strumento per attivare un progetto di vita, un progetto di uscita dalla povertà. La povertà può essere colpita se si mettono in campo un gruppo di politiche coordinate, generali e specifiche; ed ancora se vengono monitorate sistematicamente quanto ai fini, quanto agli esiti. Dunque, quali le misure per prevenire e combattere la povertà? Come si accennava, di già, una politica di sviluppo, quindi una politica di piena occupazione, quindi una politica salariale attenta. Specificamente…la buona e piena occupazione femminile; misure fiscali e monetarie a sostegno dei figli; politiche di conciliazione tra il dovere del lavoro e la responsabilità di cura per donne e uomini; l’accesso ai servizi socio-educativi per la prima infanzia (0-3 anni); misure per prevenire, rallentare, prendere in carico la non autosufficienza; una politica della casa che parta dagli affitti. In questo contesto…trova spazio la istituzione del RMI! L’Italia deve colmare il deficit che la separa dagli altri paesi europei dotandosi, come indicò la commissione Onofri del 1997, di un vero e proprio diritto soggettivo di cittadinanza, tutelato e disciplinato dalla legge, definito con criteri universalistici e standardizzati, sottratto alla discrezionalità dell’amministrazione erogante, affiancato da articolate misure di accompagnamento volte a reintegrare i beneficiari nel loro tessuto sociale ed economico. Il reddito minimo di inserimento (RMI), nei termini indicati dalla commissione Onofri fu, già, sperimentato negli anni 1999-2004. Il governo Berlusconi con il «Patto per l’Italia» del 2002 e con il Libro bianco sul welfare del 2003 abbandonò questa misura, che avrebbe dovuto essere sostituita con il reddito di ultima istanza. L’impegno assunto non venne onorato! E qui non voglio ricordare le polemiche di allora… Dunque il Reddito minimo di inserimento…..e quale funzione sottolineare? Il reddito minimo di inserimento è indirizzato alla fasce più deboli della popolazione. I destinatari sono gli individui maggiorenni il cui benessere è valutato in base alle risorse del nucleo familiare in cui sono inseriti, tenendo conto della composizione della famiglia e delle caratteristiche dei componenti; mira al reinserimento nel mondo del lavoro dei beneficiari responsabilizzandoli alla ricerca attiva di un’occupazione, alla partecipazione a lavori socialmente utili e a programmi di formazione; è integrato con le politiche assistenziali locali e con le politiche attive del lavoro. Punto qualificante del reddito minimo di inserimento è che si tratta di una misura transitoria (due anni) e che esso è accompagnato in modo obbligatorio da programmi di reinserimento lavorativo e sociale. Il lavoratore disoccupato o inoccupato è chiamato a collaborare per migliorare le sue capacità, a migliorare il suo potenziale professionale. Quando istituirlo? Come istituirlo? La discussione sul federalismo fiscale dovrebbe essere l’occasione per compiere una scelta decisiva sull’RMI. Si tratta infatti di dare applicazione agli articoli 117 e 119 della Costituzione (così come riformulata nel 2001). Ciò significa innanzitutto colmare il grave ritardo nella definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali e risolvere il problema di coerenza che esiste tra l’articolo 117 e l’articolo 119. Il primo attribuisce allo Stato il compito di definire i livelli essenziali per i diritti sociali e civili ed il secondo, l’articolo 119, ne disciplina la finanza! Prevede l’autosufficienza delle forme di entrata delle Regioni per le funzioni attinenti il proprio livello di governo; prevede la definizione di un unico fondo con finalità esclusive di perequazione, fondato sul criterio della capacità fiscale; comporta implicitamente il divieto di ricorso a rapporti finanziari tra centro e periferia, rappresentati da trasferimenti a destinazione vincolata (sanità, assistenza, nidi, ecc. ecc.). Se la scelta dell’integrazione del reddito, per chi è in condizione di povertà, si configura come diritto di cittadinanza e dunque diritto esigibile, non sottoposto alle disparità territoriali in coerenza con l’articolo 117 della Costituzione, è lo Stato a provvedere; dovrà essere lo Stato a provvedere! Quanto costa il Reddito minimo di inserimento? Quali le modalità per entrare in vigore? Il costo dei reddito minimo di inserimento è stato valutato in un’ipotesi minima di 2.600 milioni di euro e in una massima di 4.000 milioni di euro, a seconda della soglia assunta come indicatore della situazione economica e sociale. Si potrebbe prevedere, quanto all’entrata in vigore della misura, un processo graduale; una entrata in vigore per steps! E dunque, il reddito minimo di inserimento, in uno con le politiche a valenza più generale, potrebbe essere il mezzo più adeguato per contrastare e vincere, finalmente, la povertà; e potrebbe, dovrebbe sostituire la carta sociale. Sarebbe, inoltre, più efficace e più rispettoso della dignità delle persone. Epperò…il R.M.I. è una misura di politica sociale che interessa e coinvolge il solo PD e la sua sensibilità sociale o potrebbe essere una battaglia bipartizan? Vedremo! Gli italiani vedranno e valuteranno!        

 

 

     

  Il Crogiuolo


Per intervenire: invia@vivitelese.it