IL RESTAURO DEL PONTE QUINTO FABIO MASSIMO
L’articolo pubblicato dal
Sannio Quotidiano del 17.01.09, sul restauro del
Ponte Fabio Massimo a Faicchio, lavori
progettati dal collega Arch. Vincenzo Vallone,
è estremamente positivo in quanto apre
finalmente una finestra su quello che è il
dibattito culturale sul restauro nel resto dell’
Italia.
A mio parere, una delle più grandi colpe che ha
la scuola italiana, il paese che detiene almeno
il 70% del patrimonio artistico mondiale, è
quello di non aver dato, nemmeno nei licei
classici, un minimo di cultura relativamente al
“Restauro”. Cosicché, per la gente, giustamente
“ignorante” in materia, è logico confondere il
restauro di una statua o di un quadro, con il
restauro di un monumento. Ma è facile capire che
mentre una statua, un quadro, nascono, vivono ed
invecchiano sempre con lo stesso aspetto, un
edificio, un monumento, una città, nasce, vive,
si trasforma nel tempo. Ed a volte le
integrazioni sono vere e proprie opere d’arte, e
lo stesso monumento, che piace tanto, è arrivato
a noi in una forma ben diversa da come era nato.
Come è successo per il Ponte
Fabio Massimo a Faicchio che nel corso dei
secoli è parzialmente crollato ed è stato
ricostruito più volte, conservando però sempre
alcune parti originarie, quali le basi in
muratura poligonale e l’imposta degli archi in
mattoni.
Quindi: una cosa è restaurare un quadro, una
cosa ben diversa è restaurare un monumento.
Foto da You Tube
all'inaugurazione del "nuovo" ponte
Ma cosa è un monumento?
La
parola “monumento” deriva da “monito”,
“avvertimento” ed è quindi, in parole povere,
una testimonianza del nostro passato, di ciò che
siamo stati capaci di fare. Il monumento è
quindi un documento scritto continuamente da una
collettività che lo riconosce come tale.
L’evoluzione che caratterizza la sua vita
avviene sia metaforicamente, nelle menti e negli
occhi di chi osserva, sia fisicamente,
soprattutto quando il monumento è un oggetto
architettonico che deve adeguarsi ad esigenze
anche funzionali in continua metamorfosi. La
conservazione di un monumento è quindi un atto
“dinamico” attraverso il quale si identificano
le “conoscenze” di una collettività per
consentirne un continuo sviluppo. E non esiste
un “monumento” superiore ad un altro. In quanto
“testimonianza”, ogni monumento è degno di
essere conservato e tramandato ai posteri come,
purtroppo, non è avvenuto per l’unico spigolo
delle mura di Cerreto Vecchia “misteriosamente”
caduto durante i lavori finanziati proprio per
valorizzare la zona. E la scelta non fu
sicuramente un atto politico! Anche il Centro
Storico, nella sua interezza, è un monumento, e,
in quanto tale, degno di essere salvaguardato
(ahi,ahi…) per diventare la base di ogni
progresso futuro della civiltà urbana.
Ma
tutto questo è stato vero solo a partire dalla
Rivoluzione Francese, l’insieme di eventi e di
cambiamenti intercorsi tra il
1789 e il
1799 che segnò
il limite tra l'età
moderna e l'età
contemporanea
nella storiografia
francese e
mondiale.
foto di Sasà Sagnella
Fino
a tale evento, infatti, si pensava che ogni
manifestazione artistica contemporanea fosse
superiore alla precedente, e grazie a tale
concetto si è assistito alle progressive
distruzioni e/o trasformazioni dei monumenti.
Pochi furono i grandi che si opposero alla
distruzione sistematica del passato. Ricordo
solo ciò che scrisse
Francesco Petrarca
a Cola di Rienzo( XIV Sec.)
“Così
a poco a poco non solo i monumenti ma le stesse
rovine se ne vanno. Così si perdono
testimonianze ingenti della grandezza dei padri
e voi, tanta migliaia di forti, voi taceste
(...) non dico come servi ma come pecore, e
lasciaste che si facesse strazio delle membra
della Madre comune”.
Il
popolo romano, invece, sfogava il proprio
disappunto avverso la distruzione dei monumenti,
tramite
Pasquino, la
più famosa statua “parlante” di
Roma:
“Quod
non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”,
”quello che non hanno fatto i barbari, lo hanno
fatto i Barberini”.
Questa frase satirica era indirizzata a
papa Urbano VIII
Barberini e ai membri della sua famiglia per gli
scempi edilizi di cui si resero responsabili. In
uno degli episodi più tristemente famosi, il
papa fece fondere il bronzo sottratto al
Pantheon per
costruire il
baldacchino di San Pietro
e i cannoni per
Castel Sant’Angelo.
Ancora oggi,
purtroppo, tanti amministratori hanno, come
secondo cognome, Barberini!
“Voi
non siete che i depositari di un bene di cui la
grande famiglia ha il diritto di chiedervi
conto. I barbari e gli schiavi detestarono le
scienze e distrussero i monumenti, gli uomini
liberi li amano e li conservano”.
Fu questo
l’editto rivoluzionario che segnò la svolta
epocale in quanto invitava al rispetto per i
monumenti del passato, rispetto che si tradusse
in un interesse nuovo per le opere d’arte
dell’antichità classica, grazie anche agli scavi
di Pompei (1748) ed Ercolano (1762). Iniziarono
così i primi restauri, anche se con una
filosofia completamente diversa da quella di
oggi.
foto di Sasà Sagnella
In
Francia furoreggiò Viollet-Le Duc (1814-1879),
il ricostruttore di Carcassonne, che, anche se
oggi è facilmente criticabile per alcune idee…restaurare
un edificio è riportarlo ad uno stato completo,
che potrebbe anche non essere mai
esistito…eliminandone tutte le superfetazioni…,
dimostra di essere
modernissimo in altri concetti:..il
passato è passato, ma bisogna studiarlo con cura
e cercare non di farlo rivivere, ma di
conoscerlo per servircene.
Una posizione assai diversa,
romantica, fu invece quella tenuta in
Inghilterra da John Ruskin (1819-1900), che
teorizzava la conservazione del monumento quale
documento storico, con esclusione di qualsiasi
manomissione. Tali principi portarono in Italia,
per esempio, alla conservazione di S. Galgano
(G. Chierici-1923), allo stato di possente e
suggestivo rudere.
Per il divenire del concetto
di restauro rivestono importanza fondamentale i
principi affermati dalla Conferenza di Atene nel
1931. Fu questa un vero e proprio congresso di
specialisti e cultori del restauro, durante il
quale per la prima volta si formularono norme
generali che ogni nazione civile avrebbe dovuto
far seguire nella conduzione dei propri
restauri, in adesione ad un unico metodo
generale.
foto di Sasà Sagnella
Essa
essenzialmente si pronunciò contro i
rifacimenti, riconobbe allo stato il diritto di
intervenire per la conservazione dei monumenti
anche se di proprietà privata, diede istruzioni
generali circa la pratica esecuzione dei
restauri,
raccomandando il rispetto dell’ impronta di ogni
epoca, la facile riconoscibilità degli eventuali
pezzi di integrazione necessari
e la diffusione di
ogni dato riguardante i restauri eseguiti.
Anche se non furono raggiunti
sempre ed ovunque tutti gli intenti che i voti
della Conferenza d'Atene aveva formulato, la sua
importanza fu notevolissima.
Ma vediamo cosa è successo in
Italia, almeno a partire dagli anni Settanta.
Qui sono emerse e si sono consolidate due
posizioni antitetiche ed estreme: si tratta
delle linee applicative e di ricerca dette della
"pura conservazione" o "conservazione integrale"
e della "manutenzione-ripristino".
Secondo i fautori della pura
conservazione, la superficie dell'edificio ne
registra i mutamenti, le trasformazioni, la
storia e, pertanto, considerato il suo valore di
documento irripetibile, merita d'essere tutelata
integralmente (intonachi, stucchi, finiture e
strati pittorici, indagabili come una sorta di
stratigrafia cromatica, espressiva della storia
del gusto o anche semplicemente delle tecniche
esecutive antiche ecc.). Non è lecita, dunque,
alcuna operazione selettiva, nessuna rimozione:
il documento materiale, inteso come fonte
autentica e inesauribile di conoscenze, va
conservato nello stato in cui è giunto fino a
noi. Secondo i fautori della
manutenzione-ripristino, invece, la superficie
esterna d'un edificio si può assimilare
all'epidermide degli organismi viventi, soggetta
a una costante consunzione, rappresentando essa
una "superficie di sacrificio" destinata a
proteggere i tessuti sottostanti e a rinnovarsi
periodicamente, come rinnovate ciclicamente
erano le finiture esterne degli antichi edifici.
foto di Sasà Sagnella
Per superare due posizioni
così radicalmente contrapposte l'atteggiamento
auspicabile è, secondo me, quello improntato a
un sano equilibrio "critico", che sappia
giudicare e trovare la soluzione appropriata
volta per volta in base ai valori (d'immagine,
di memoria, storico-documentari, tecnici ecc.)
in gioco.
Comunque, trattandosi di
superfici architettoniche, pur vecchie e
alterate, la conservazione sarà preferibile
anche in virtù del valore delle "patine", che, a
mio parere, costituiscono il “valore aggiunto”
dell’età. Un po’ come i capelli bianchi per
l’uomo maturo.
Questi rimangono in sintesi
alcuni capisaldi teorici del presente dibattito
sulla centralità del restauro, un campo minato,
come si vede, ed al quale è giusto dare un po’
di chiarezza con il contributo di tutti, anche
dei semplici cittadini, i quali però devono
essere forniti di un minimo di strumenti idonei
per giudicare. Non si può parlare di calcio se
non se ne conoscono le regole. Ma una volta
conosciute, si può discutere anche per
cambiarle.
Io
posso, piccolo vaso di coccio tra i mostri sacri
del dibattito culturale, solo
con certezza
affermare cosa NON è il restauro:
“il restauro non è il semplice ripristino, il
risarcimento di una struttura, la riparazione
funzionale, ... o il rifacimento più o meno
integrale di un manufatto, ... non è neanche il
cosiddetto riuso, con i suoi derivati e analoghi
quali la rivitalizzazione, e la rivalutazione,
la rianimazione, il recycling, il recupero, la
rigenerazione, la conversione e l'innovazione o
l’ammodernamento. Il restauro non è neanche la
salvaguardia, la manutenzione, la prevenzione,
... tutti interventi importanti ma ricadenti
ancora nel campo della conservazione“.
Posso
invece con certezza affermare che due sono i
concetti fondamentali dai quali si dovrebbe
partire prima di una qualsiasi opera di
restauro:"…nei
ripristini si dovrebbe avere imparato a
riconoscere una delle più radicate e dannose
eresie dell'ottocento... Tale è infatti il
ripristino, ... che pretende di far fare un
voltafaccia al tempo e cancellare ... la storia
di un monumento.” Cesare Brandi, ” lo stato
originario è un mito, un'idea astorica, atta a
sacrificare l'opera d'arte ad un concetto
astratto e a rappresentarla in uno stato che non
è mai esistito”
Paul Philippot
In
parole semplici, una volta venuto meno il
concetto di pretesa superiorità dell’arte
contemporanea rispetto all’arte del passato,
oggi si cerca di rendere leggibile tutta la loro
storia, in una sorta di cartella clinica che
racconta
la vita del
monumento, in tutti i suoi aspetti Chiaramente
sarà
il monumento,
indagato storicamente e analizzato nella sua
consistenza materiale, ad indicare le scelte più
opportune e rispondenti alla sua realtà.
Soprattutto, e questo è universalmente accettato
dalla cultura da almeno un secolo, si eviteranno
integrazioni o trasformazioni “in stile”,
assurdi falsi d’epoca, e tutti gli interventi
estranei al complesso denunceranno, senza
ipocrisia, la loro contemporaneità, sia nelle
opere murarie che, ovviamente, nell’arredo, a
volte vero trionfo del Kitch in stile. Meglio un
prodotto dei nostri bravi artigiani ceramisti,
scalpellini, fabbri e falegnami che le
“riproduzioni in serie” di opere d’arte di un
tempo che fu.
L’importante è che
la voce che emanano gli elementi di arredo non
sia così forte da sovrapporsi a quella del
monumento, dell’ambiente che si vuole
valorizzare, come purtroppo spesso avviene,
soprattutto per gli impianti di illuminazione.
Foto Mongillo
Nessuno
oggi si metterebbe a parlare con un linguaggio
del passato, fosse pure quello usato dai più
grandi poeti e/o letterati: sa già che sarebbe
preso per matto! Ma, all’interno del discorso,
fare una citazione “datata” è segno di cultura!
Troppi, purtroppo, pensano ancora che un
restauro ben fatto sia riportare l’edificio
all’epoca della sua realizzazione, come se fosse
stato “ibernato” per secoli. E fanno “cultura”
che viene accettata e diffusa in quanto occupano
un posto “socialmente”, ma solo “socialmente
elevato. Se lo dice “lui”, è così….
Il monumento restaurato,
invece, non sarà mai più il monumento originario
(si pensi alle tante chiese romaniche e/o
gotiche, una volta interamente affrescate, vedi
S. Francesco in Assisi o il Duomo di Monreale,
ed oggi interamente in pietra a faccia vista!),
ma ne rispetterà in modo assoluto le
caratteristiche scientificamente provate e
documentate e ritornerà a nuova vita anche con
integrazioni che parlino un linguaggio moderno.
Personalmente non ho dubbi che, da questo punto
di vista, il restauro del Ponte di Faicchio è
stato ben fatto, potendosi leggere tutte le fasi
della millenaria vita del manufatto, dalla base
in muratura poligonale all’imposta degli archi
in mattoni, opere sicuramente riconducibili alla
struttura originaria. Naturalmente anche
l’aspetto con il quale il Ponte è giunto a noi
avrebbe potuto in parte essere conservato in
quanto tale “foto” è entrata nella memoria
collettiva e faceva parte, ormai, del monumento,
pur non essendo parti originarie. Sugli
inserimenti moderni, infine, per rendere
“databili” gli interventi, ogni tecnico
interviene secondo la propria sensibilità.
Questo è il mio pensiero. Ben
vengano altri contributi che possano facilitare
un dibattito che servirà a farci crescere
culturalmente ed…economicamente, sulla scia di
quanto é stato fatto, prima di noi, da Roma in
su.
E
pensare che da noi si discuteva di filosofia,
matematica, arte, si assisteva agli spettacoli
teatrali quando altrove si andava solo a caccia,
e con il teschio in testa!
Arch.
Lorenzo Morone
|