Per conversare
Alessandro
Visalli
13 giugno 2009
Questo nostro
piccolo dibattito provoca in me un sentimento
ambiguo: da una parte mi diverte e interessa
discutere con persone (certo, non solo con le
signore) così stimolanti come voi; da un’altra
mi sembra che abbiamo pochissimo terreno comune
e una divergenza così profonda di interessi da
rendere difficile un dialogo reale. Io non mi
sono mai posto molto il problema della (mia)
identità: sono nato e ho sempre vissuto in
grandi città, vengo da una famiglia della
piccola borghesia urbana, risalendo di tre
generazioni la città più piccola che incontro è
Messina (le altre Roma, Milano, Napoli). Mio
padre era dirigente di una primaria industria
metalmeccanica coinvolta con il ciclo del
petrolio, mia madre un funzionario dello Stato.
Io ho fatto parte di una comunità religiosa da
adolescente, sono stato militante studentesco
nei collettivi politici di architettura dal 1985
al 1990 (tra cui due occupazioni della facoltà)
e successivamente nelle mobilitazioni dei “verdi
arcobaleno” e dintorni, nel frattempo ho fatto
ricerca in urbanistica fino al conseguimento di
un dottorato di ricerca su temi inerenti la
decisionalità e la programmazione, dopo ho fatto
il professionista.
Voi mi direte
certamente: che ce ne importa di quello che hai
fatto? Ci interessa solo quello che vuoi fare
ora.
Va bene, ho speso
otto righi e ca. quindici secondi del vostro
tempo (me ne scuso) solo perché in effetti non
ci capiamo e forse dipende da quello che siamo
stati e da quello che facciamo. Io, infatti non
credo che tra i desideri e le credenze ci sia
una frattura così netta.
D’altra parte noi
discutiamo tramite un mezzo che è visibile da
tutti. Anche il luogo del dibattito rende la
cosa difficile. Ognuno di noi parla
attraverso l’interlocutore con i
potenziali ascoltatori (o lettori). Comunque, se
questo è il gioco facciamo un’altra puntata.
Credo anche io che porti sfiga.
Anche se sia Nardone, sia Bettoni erano alla
fine del secondo mandato e chi li ha attaccati
era un poco “Maramaldo” (come quel tale che
uccise un uomo morto).
Comunque parliamo
sul serio: mi dispiace che percepite i miei
sforzi dialettici come “tentativo di
ridicolizzarvi”. Può darsi che io non sia più un
“compagno”, ma cerco sempre di avere rispetto
per le persone e le posizioni (soprattutto per i
miei vecchi “compagni”). Quindi se vi ho offeso
vi chiedo sinceramente scusa. Se posso, e lo
permettete, la prossima volta la birra ve la
offro io per farmi perdonare.
Una divagazione:
qualche anno fa ebbi a parlare con il vescovo
Tommasiello di Teano di un progetto industriale
che lui osteggiava. Il vescovo, come spesso sono
gli uomini di chiesa era gentilissimo e molto
colto, conversare con lui un vero piacere;
tuttavia quando si entrava nel merito era un
vero muro. Dopo molta discussione, scavando
nella sua e mia posizione, si è arrivati al
punto di fondo (a questo serve discutere): il
modello di sviluppo, o meglio, lo stile di vita
e la relativa cultura e valori. Il vescovo
sosteneva fondamentalmente che la società
industriale, secolarizzata e senza Dio, andava
superata. Non faceva bene ai suoi assistiti (la
popolazione di Teano e dintorni) perché li
allontanava dalla terra, da uno stile di vita
più modesto, equilibrato ed appropriato,
generava impulsi ed istanze che conducevano
inevitabilmente alla fuga dalla chiesa e
all’ateismo.
Una posizione che
io allora ho capito benissimo (avendo letto,
come lui, Max Weber) ma che leggevo esattamente
al contrario: come libertà, società aperta,
ampliamento delle possibilità di scelta anche
dal “catalogo dei valori”, possibilità di
incontro dell’Altro e del Diverso, etc…
In quella bella
conversazione (che ricorderò a lungo con
piacere) ci siamo capiti benissimo, ma non
eravamo d’accordo. Ci siamo lasciati con una
bella stretta di mano ed un sorriso. Ognuno ha
continuato a fare ciò che credeva giusto.
Un simile esito
della nostra bella conversazione sarebbe
altrettanto soddisfacente per me.
Proviamo ora a
parlare nel merito. Quando definite il “vostro”
(perdonatemi, ma è anche un poco mio. Io mi
sento italiano e l’Italia è il “mio”
paese) “territorio” caratterizzato dalla sua
agricoltura, salubrità e bellezza paesaggistica
mi sembra lo considerate in modo riduttivo. Gli
occupati in agricoltura nella vostra provincia
sono ca. il 10 %, per intenderci, gli occupati
nell’istruzione sono il doppio, nella sanità
sono di più, nella pubblica amministrazione
oltre il doppio (sommandoli fanno quasi il 50 %
degli occupati), trasporti e comunicazioni ca.
la metà, il commercio pesa leggermente di più,
costruzioni ed attività manifatturiere una volta
e mezzo, le attività professionali ed
imprenditoriali sono deboli ma comunque fanno
ca. 1/3 degli occupati in agricoltura.
Siete sicuri che
la vostra identità desiderata (cioè non solo
quello che siete ma anche dove volete andare
come ci insegna Charles Taylor) sia terra,
turismo e casa?
Io che sono
figlio di un dirigente di industria, ho sempre
vissuto in città di oltre un milione di
abitanti, salvo una breve parentesi, e sempre in
palazzi di molti piani da una parte capisco che
sia bello un modello “terra e casa” (il turismo
mi attrae meno anche perché fa parte delle cose
da indebolire, non credete?) dall’altra non lo
desidero. A me sta a cuore una società più
aperta e vitale, dove si possa incontrare
facilmente chi proprio non la pensa come me e
dove si possa scegliere percorsi umani e
professionali diversi ed articolati nel quale
sia possibile la “serendipity”.
Certo questo non
deve impedire che chi lo vuole resti alla terra;
tranquillo nella sua casa e faccia buona
accoglienza ai turisti. Soprattutto che resti
sano e tranquillo. Su questo torniamo dopo.
Visto che lo
avete fatto anche voi continuiamo, piuttosto, a
parlare del modello di sviluppo (parola
problematica, ma tra i suoi molti significati si
può rintracciare anche qualcuno più largo del
mero sviluppo del conto in banca).
Dato che non ho
più quindici anni da oltre trenta, non voglio
certo “salvare il mondo”. Mi accontento di fare
ciò che posso e di cercare di non sbagliare
troppo, se posso. Mi dispiace che diate così
poco credito alla mia convinzione -comunque come
avrei detto molti anni fa, “solo Dio può
giudicare il cuore degli uomini” (non lo
possiamo fare neppure per noi stessi) quindi
rinviamo la conclusione su questo punto a quando
ci ri-incontreremo (speriamo) in un più alto
tribunale-, ma non ho mai detto che l’energia
prodotta da fonti rinnovabili può garantire
gli stessi stili di vita e livelli di
consumo attuali. Mi sembra un discorso complesso
per il quale nessuno di noi ha le necessarie
competenze (ammesso che qualcuno le abbia),
comunque in sintesi io credo che cambiare le
priorità dallo sviluppo per se stesso a una
società ed economia coerente con le capacità di
rigenerarsi delle risorse (come già Bob Kennedy
aveva prospettato) renda necessario incorporare
quelle che in economia si chiamano
“esternalità”. Non solo produrre energia senza
petrolio (anche se questo già sarebbe qualcosa).
Farlo
significherebbe, ad esempio, alzare enormemente
i costi di trasporto non necessari (tra cui
quelli per turismo) per tenere conto degli
effetti delle emissioni sul sistema climatico ma
non solo, eliminare i contributi fossili alla
produttività agricola e ridurre la
meccanizzazione non indispensabile, eliminare
quelle norme come il prezzo unico nazionale
dell’energia elettrica (art. 3, comma 2 della
legge 481/1995) che fanno sì che zone del paese
senza adeguata produzione elettrica importino
ciò che gli serve dalle altre zone accollando il
relativo costo (per infrastrutture e dispersioni
di rete) su tutti, etc.
Sulla questione
della fame vi invito a riflettere e anche a
prestare attenzione a chi parla: molte accuse
contro le biomasse o i biocarburanti vengono
abbastanza chiaramente dalla lobby petrolifera o
da organismi come la FAO certamente non
sospettabili di essere impermeabili ad interessi
e lavoro di lobbies (ad esempio della carne). Ad
esempio un famoso rapporto di un paio di anni fa
fu scritto da un nobel per la chimica il cui
dipartimento non era certo immune da interessi
nel ciclo del petrolio (tutta la chimica
inorganica è petrolio). Se si guarda bene, molte
proteste ed esagerazioni nascono dalla paura che
mais e altre culture di massa possano aumentare
il prezzo -non certo per i poveri del terzo
mondo (che hanno poca voce)- per l’industria che
oggi ne consuma i tre quarti: quella della carne
rossa.
Le difficoltà,
anche se si legge direttamente e con attenzione
il rapporto FAO, vengono dal cambiamento
climatico che riduce la fertilità dei suoli e
non da 3-4% di suoli utilizzati per colture
energetiche. Ciò detto è chiaro che bisogna
passare dalla I alla II, III e IV generazione
per aumentare l’efficienza e ridurre l’impiego
di suolo. Ora, quello di Vocem è già di II
generazione (la I è la produzione di biodiesel
da oleaginose o di bioetanolo da zuccherine o di
energia da legna in “short rotation forest”; la
II è da scarti, la III è bio-olio o etanolo da
cellulosa; la IV alghe e altre tecniche ancora
più efficienti) e quindi è più virtuoso,
non meno.
Tutte queste cose
sono “rinnovabili”, non solo il solare, l’eolico
e l’idroelettrico (tra l’altro ho dato una mano
a tutte queste salvo l’eolico), persino il Piano
B 3.0 di Lester Brown, con prefazione di Grillo
e consiglio per l’acquisto del WWF ha un
capitolo sulle biomasse. Leggetelo.
La verità è che
ogni intervento reale muove degli
interessi, altrimenti non si fa. Quelli che
comportano quasi sessanta milioni di euro di
investimenti non possono che interessare a
qualcuno. Se volete chiamare questo lobbies fate
pure. Non mi appassiona più il nominalismo.
Il punto è in che direzione va e quali energie e
dinamiche attiva. Capisco che volete uscire
dal capitalismo, anche io ho letto e ho Marx
(14), Engels (3), Bakunin (2), Lenin (16),
Kautsky (2), Martov (1), Trotskij (3), Luxemburg
(1), Giap (1), Castro (1), Che Guevara (1), Mao
Tze Tung (2), per restare ai classici, un giorno
vi invito a casa (quando questa storia sarà
finita) e facciamo una bella discussione, ma il
punto non è questo. Il punto è sempre stato
COME. Il difficile è sempre stata la “teoria di
transizione”. Io credo, ad esempio, che nel
frattempo dobbiamo restare vivi.
Ciò detto la
centrale di Vocem non è certo un “megaimpianto”
in grado di ”stravolgere interi territori” (per
favore non esageriamo, l’impianto non si vede
più già a poche centinaia di metri, emette in
atmosfera sostanze al limite della rilevabilità,
come attesta l’Università di Napoli) ma proprio
una piccola centrale, altrimenti quella di Ponte
Valentino a gas come la chiamate? Tuttavia è
ovvio che non deve inquinare e distruggere
l’equilibrio del territorio. Questo è proprio
l’oggetto del giudizio esperto che la Conferenza
di Servizi è tenuto ad esprimere, per decidere
se il diritto di realizzare sul territorio
nazionale un progetto legalmente consentito si
possa esercitare.
Per il resto
avete proprio ragione, sono stato frettoloso, un
poco sprezzante e molto ingiusto. La
“decrescita” è una rispettabile ipotesi di
lavoro. Ho sentito anche il nostro amico Vattimo
che ne faceva un bell’elogio.
Non possiamo che
essere interessati ad una riduzione
“consapevole, serena, intelligente e controllata
dei consumi”. Ma anche Pallante, come Latouche,
De Benoiste, sono debitori di una “teoria di
transizione” credibile come lo erano Marx e
Engels. Un teoria di transizione può richiedere
di fare dei passaggi da superare per andare
oltre (in fondo anche Lenin promosse la NEP).
Occorre, però, capire se l’approdo va bene. Se
consiste nel buttare anche il bambino della
società aperta con l’acqua del consumismo non mi
sembra di poter essere d’accordo. In altre
parole non credo di poter rinunciare
all’illuminismo, pur con tutti i suoi problemi
(certo, capisco, Nietszche, Heiddeger, Derrida,
Foucault, etc. ho anche quelli).
Cambiando
argomento e tornando a noi, mentre “auspicate”
che manchi il combustibile (cioè i rifiuti) che
ne dite, li mettiamo tutti allegramente in
discarica? Oppure andiamo direttamente al 100 %
di raccolta differenziata? Guardate che proprio
in quel caso l’impianto di Vocem lavorerebbe
benissimo dato che ha tra l’altro proprio i
codici degli scarti da raccolta differenziata
(carta e cartone a valle della selezione e legno
a valle della selezione, chiaramente quando non
è di qualità adeguata per la cartiera e impianti
di rilavorazione come “novo legno” ad Avellino,
altrettanto chiaramente senza colle e vernici).
Oppure andiamo direttamente a “rifiuti zero”
senza neppure raccolta differenziata?
Per chiudere, non
è discutibile che Vocem abbia seguito le
procedure di legge, basta leggerle correttamente
(non leggete la 152/06 che non era vigente nel
2005). I ricorsi al TAR non dimostrano niente:
eventualmente lo faranno le sentenze. Anche le
opposizioni politiche di tutte le
amministrazioni locali, non dimostrano che siano
violate le procedure di legge. È proprio entro
le procedure di legge che sono espresse e
saranno evidentemente valutate. Non riesco
proprio a far cogliere un punto: questa è
un’autorizzazione regionale. Significa che la
limitazione al diritto di intraprendere
un’attività legale, in questo tipo di progetto
può venire solo dall’insieme degli interessi
pubblici coinvolti sulla scala regionale. Perché
i benefici dell’impianto sono regionali (a tal
fine ci sono nell’ordinamento autorizzazioni
“nazionali”, “regionali” e “comunali”) è in un
certo senso stato messo “nel conto” dal
legislatore che la dimensione locale potesse
vedere prevalere gli svantaggi ed opporsi. Si
tratta di un principio di funzionamento
elementare della pianificazione sin dai primi
tentativi degli anni trenta in Inghilterra ed
altrove: ci sono strutture e infrastrutture di
interesse generale che vanno decise
all’appropriato livello di governo. Per questo
la legge italiana prescrive, tra l’altro, che la
Conferenza di Servizi si esprima a “parere
prevalente” (cioè riconoscendo il prevalente
interesse pubblico) e non all’unanimità o,
peggio, solo dal punto di vista locale. Se si
stabilisse che è sempre la società locale a
decidere avremmo un territorio fatto tutto di
case, lottizzazioni, supermercati, aree
industriali (una per paese), senza strade,
ferrovie, centrali elettriche, linee elettriche,
ripetitori (quindi senza TV), condotte fognarie,
condotte idrauliche, impianti di trattamento
rifiuti. Italo Calvino ci si sarebbe divertito.
La prossima
volta mi dite dove esattamente la Convenzione di
Aarhus dice che bisogna fare un referendum per
ogni decisione? Poi non pensate che se così
fosse andrebbero prima revocate un poco di
leggi? Giusto per non far spendere inutilmente
tre milioni di euro ad un’amministrazione
pubblica. Così con l’occasione parliamo di
Habermas che qui siamo già troppo lunghi
(comunque potreste guardare questo link
http://www.impattoambientale.it/articoli/Cenni%20sulla%20posizione%20di%20Jurgen%20Habermas.pdf,
oppure anche questo che in un certo senso ha a
che fare con i nostri discorsi
http://www.impattoambientale.it/articoli/ulisse.pdf
)
Intanto vi chiedo
ancora scusa per le “velate minacce”, io non lo
farò mai, e per la citazione delle “botte”
(anche se Maria Pia lo ricorderà), ma il punto
resta: perché ad un’assemblea pubblica non
eravate interessati ad ascoltarmi? Era in un
luogo pubblico, concesso dal Comune, non a casa
vostra. Non vi è sembrata una violazione delle
democrazia discorsiva, dialogica, deliberativa?
Io non ho nulla contro le assemblee, ho fatto
notte in centinaia di esse (tra l’altro ero
bravino). So solo che non sono un modello di
democrazia; un buon comitato (o una “commissione
politica” come la mia ai tempi di architettura)
vince quasi sempre. Ma “ottenere ragione”, come
diceva Schopenhauer (a proposito rileggete gli
stratagemmi 2 sull’omonimia, 28 “ad auditores”,
o l’ultimo “ad personam”) non significa averla.
Alla fine fate
troppo uso di argomenti “ad auditores”, sapete
bene che Bettoni parlava dei rifiuti urbani che
la Provincia di Bergamo ha già ricevuto
nei suoi impianti a Bergamo, non
dell’impianto a San Salvatore Telesino. Al
massimo era un improprio far presente che la
provincia di Bergamo (con la Lega contrarissima)
era stata solidale e si sentiva ingiustamente
maltrattata.
Rispondo alle
vostre domande finali:
1-
le scorie e ceneri dell’inceneritore saranno
recuperate, con riferimento a quelle “pesanti”
recuperate dalle griglie di combustione (che
non sono pericolose), probabilmente da “Abm
Valorizzazione” che ha un processo brevettato
per l’utilizzo in edilizia in modo da
risparmiare le discariche e avvicinarci
all’obiettivo “rifiuti zero”; quelle “leggere”,
derivanti dai sistemi di trattamento fumi di cui
è ampiamente dotato l’impianto, quelle sì
pericolose, saranno smaltite in discarica per
pericolosi fuori regione o trattate con sistemi
ad alta temperatura e vetrificate;
2-
l’acqua di raffreddamento è ricircolata per
ridurre il consumo; le acque di processo degli
altri sottosistemi hanno un apposito impianto di
depurazione a disposizione anche di altri per le
proprie necessità;
3-
i rifiuti inceneriti nell’impianto (come vedere
dò il loro nome alle cose) provengono dagli
impianti di selezione, dalle cartiere, da
segherie e altri impianti del ciclo del legno,
dalla lavorazione delle conserve alimentari ed
altri impianti di lavorazione dei prodotti
agricoli, dalla manutenzione del sottobosco, e
da tutte le altre fonti elencate
dettagliatamente, con tanto di provenienza nello
Studio di Impatto Ambientale sin dal 2005; i
materiali vergini da colture forestali in rapida
rotazione e non certo da una impossibile ed
illegale deforestazione;
4-
la Convenzione con il Comune non è stata mai
sottoscritta pur essendo stata molte volte
sollecitata dalla ditta;
5-
una trasformazione criminale come quella da voi
citata non può essere fatta nottetempo,
l’impianto non è adatto e andrebbe pesantemente
modificato con investimenti di molti milioni di
euro e diversi mesi. Comunque io lavoro in
Campania da dieci anni nel settore e cerco di
difendere me stesso e la mia reputazione. Mi
opporrei.
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