Intervento riferito a: Inceneritore, il comitato civico risponde a Visalli

 

 

14 giugno 2009
Replica di Visalli al Comitato contro l'Inceneritore
Alessandro Visalli

 

 

 

Per conversare

Alessandro Visalli

13 giugno 2009

 

Questo nostro piccolo dibattito provoca in me un sentimento ambiguo: da una parte mi diverte e interessa discutere con persone (certo, non solo con le signore) così stimolanti come voi; da un’altra mi sembra che abbiamo pochissimo terreno comune e una divergenza così profonda di interessi da rendere difficile un dialogo reale. Io non mi sono mai posto molto il problema della (mia) identità: sono nato e ho sempre vissuto in grandi città, vengo da una famiglia della piccola borghesia urbana, risalendo di tre generazioni la città più piccola che incontro è Messina (le altre Roma, Milano, Napoli). Mio padre era dirigente di una primaria industria metalmeccanica coinvolta con il ciclo del petrolio, mia madre un funzionario dello Stato. Io ho fatto parte di una comunità religiosa da adolescente, sono stato militante studentesco nei collettivi politici di architettura dal 1985 al 1990 (tra cui due occupazioni della facoltà) e successivamente nelle mobilitazioni dei “verdi arcobaleno” e dintorni, nel frattempo ho fatto ricerca in urbanistica fino al conseguimento di un dottorato di ricerca su temi inerenti la decisionalità e la programmazione, dopo ho fatto il professionista.

Voi mi direte certamente: che ce ne importa di quello che hai fatto? Ci interessa solo quello che vuoi fare ora.

Va bene, ho speso otto righi e ca. quindici secondi del vostro tempo (me ne scuso) solo perché in effetti non ci capiamo e forse dipende da quello che siamo stati e da quello che facciamo. Io, infatti non credo che tra i desideri e le credenze ci sia una frattura così netta.

D’altra parte noi discutiamo tramite un mezzo che è visibile da tutti. Anche il luogo del dibattito rende la cosa difficile. Ognuno di noi parla attraverso l’interlocutore con i potenziali ascoltatori (o lettori). Comunque, se questo è il gioco facciamo un’altra puntata.

 

Credo anche io che porti sfiga. Anche se sia Nardone, sia Bettoni erano alla fine del secondo mandato e chi li ha attaccati era un poco “Maramaldo” (come quel tale che uccise un uomo morto).

Comunque parliamo sul serio: mi dispiace che percepite i miei sforzi dialettici come “tentativo di ridicolizzarvi”. Può darsi che io non sia più un “compagno”, ma cerco sempre di avere rispetto per le persone e le posizioni (soprattutto per i miei vecchi “compagni”). Quindi se vi ho offeso vi chiedo sinceramente scusa. Se posso, e lo permettete, la prossima volta la birra ve la offro io per farmi perdonare.

 

Una divagazione: qualche anno fa ebbi a parlare con il vescovo Tommasiello di Teano di un progetto industriale che lui osteggiava. Il vescovo, come spesso sono gli uomini di chiesa era gentilissimo e molto colto, conversare con lui un vero piacere; tuttavia quando si entrava nel merito era un vero muro. Dopo molta discussione, scavando nella sua e mia posizione, si è arrivati al punto  di fondo (a questo serve discutere): il modello di sviluppo, o meglio, lo stile di vita e la relativa cultura e valori. Il vescovo sosteneva fondamentalmente che la società industriale, secolarizzata e senza Dio, andava superata. Non faceva bene ai suoi assistiti (la popolazione di Teano e dintorni) perché li allontanava dalla terra, da uno stile di vita più modesto, equilibrato ed appropriato, generava impulsi ed istanze che conducevano inevitabilmente alla fuga dalla chiesa e all’ateismo.

Una posizione che io allora ho capito benissimo (avendo letto, come lui, Max Weber) ma che leggevo esattamente al contrario: come libertà, società aperta, ampliamento delle possibilità di scelta anche dal “catalogo dei valori”, possibilità di incontro dell’Altro e del Diverso, etc…

In quella bella conversazione (che ricorderò a lungo con piacere) ci siamo capiti benissimo, ma non eravamo d’accordo. Ci siamo lasciati con una bella stretta di mano ed un sorriso. Ognuno ha continuato a fare ciò che credeva giusto.

 

Un simile esito della nostra bella conversazione sarebbe altrettanto soddisfacente per me.

 

Proviamo ora a parlare nel merito. Quando definite il “vostro” (perdonatemi, ma è anche un poco mio. Io mi sento italiano e l’Italia è il “mio” paese) “territorio” caratterizzato dalla sua agricoltura, salubrità e bellezza paesaggistica mi sembra lo considerate in modo riduttivo. Gli occupati in agricoltura nella vostra provincia sono ca. il 10 %, per intenderci, gli occupati nell’istruzione sono il doppio, nella sanità sono di più, nella pubblica amministrazione oltre il doppio (sommandoli fanno quasi il 50 % degli occupati), trasporti e comunicazioni ca. la metà, il commercio pesa leggermente di più, costruzioni ed attività manifatturiere una volta e mezzo, le attività professionali ed imprenditoriali sono deboli ma comunque fanno ca. 1/3 degli occupati in agricoltura.

Siete sicuri che la vostra identità desiderata (cioè non solo quello che siete ma anche dove volete andare come ci insegna Charles Taylor) sia terra, turismo e casa?

Io che sono figlio di un dirigente di industria, ho sempre vissuto in città di oltre un milione di abitanti, salvo una breve parentesi, e sempre in palazzi di molti piani da una parte capisco che sia bello un modello “terra e casa” (il turismo mi attrae meno anche perché fa parte delle cose da indebolire, non credete?) dall’altra non lo desidero. A me sta a cuore una società più aperta e vitale, dove si possa incontrare facilmente chi proprio non la pensa come me e dove si possa scegliere percorsi umani e professionali diversi ed articolati nel quale sia possibile la “serendipity”.

Certo questo non deve impedire che chi lo vuole resti alla terra; tranquillo nella sua casa e faccia buona accoglienza ai turisti. Soprattutto che resti sano e tranquillo. Su questo torniamo dopo.

 

Visto che lo avete fatto anche voi continuiamo, piuttosto, a parlare del modello di sviluppo (parola problematica, ma tra i suoi molti significati si può rintracciare anche qualcuno più largo del mero sviluppo del conto in banca).

Dato che non ho più quindici anni da oltre trenta, non voglio certo “salvare il mondo”. Mi accontento di fare ciò che posso e di cercare di non sbagliare troppo, se posso. Mi dispiace che diate così poco credito alla mia convinzione -comunque come avrei detto molti anni fa, “solo Dio può giudicare il cuore degli uomini” (non lo possiamo fare neppure per noi stessi) quindi rinviamo la conclusione su questo punto a quando ci ri-incontreremo (speriamo) in un più alto tribunale-, ma non ho mai detto che l’energia prodotta da fonti rinnovabili può garantire gli stessi stili di vita e livelli di consumo attuali. Mi sembra un discorso complesso per il quale nessuno di noi ha le necessarie competenze (ammesso che qualcuno le abbia), comunque in sintesi io credo che cambiare le priorità dallo sviluppo per se stesso a una società ed economia coerente con le capacità di rigenerarsi delle risorse (come già Bob Kennedy aveva prospettato) renda necessario incorporare quelle che in economia si chiamano “esternalità”. Non solo produrre energia senza petrolio (anche se questo già sarebbe qualcosa).

Farlo significherebbe, ad esempio, alzare enormemente i costi di trasporto non necessari (tra cui quelli per turismo) per tenere conto degli effetti delle emissioni sul sistema climatico ma non solo, eliminare i contributi fossili alla produttività agricola e ridurre la meccanizzazione non indispensabile, eliminare quelle norme come il prezzo unico nazionale dell’energia elettrica (art. 3, comma 2 della legge 481/1995) che fanno sì che zone del paese senza adeguata produzione elettrica importino ciò che gli serve dalle altre zone accollando il relativo costo (per infrastrutture e dispersioni di rete) su tutti, etc.

Sulla questione della fame vi invito a riflettere e anche a prestare attenzione a chi parla: molte accuse contro le biomasse o i biocarburanti vengono abbastanza chiaramente dalla lobby petrolifera o da organismi come la FAO certamente non sospettabili di essere impermeabili ad interessi e lavoro di lobbies (ad esempio della carne). Ad esempio un famoso rapporto di un paio di anni fa fu scritto da un nobel per la chimica il cui dipartimento non era certo immune da interessi nel ciclo del petrolio (tutta la chimica inorganica è petrolio). Se si guarda bene, molte proteste ed esagerazioni nascono dalla paura che mais e altre culture di massa possano aumentare il prezzo -non certo per i poveri del terzo mondo (che hanno poca voce)- per l’industria che oggi ne consuma i tre quarti: quella della carne rossa.

Le difficoltà, anche se si legge direttamente e con attenzione il rapporto FAO, vengono dal cambiamento climatico che riduce la fertilità dei suoli e non da 3-4% di suoli utilizzati per colture energetiche. Ciò detto è chiaro che bisogna passare dalla I alla II, III e IV generazione per aumentare l’efficienza e ridurre l’impiego di suolo. Ora, quello di Vocem è già di II generazione (la I è la produzione di biodiesel da oleaginose o di bioetanolo da zuccherine o di energia da legna in “short rotation forest”; la II è da scarti, la III è bio-olio o etanolo da cellulosa; la IV alghe e altre tecniche ancora più efficienti) e quindi è più virtuoso, non meno.

Tutte queste cose sono “rinnovabili”, non solo il solare, l’eolico e l’idroelettrico (tra l’altro ho dato una mano a tutte queste salvo l’eolico), persino il Piano B 3.0 di Lester Brown, con prefazione di Grillo e consiglio per l’acquisto del WWF ha un capitolo sulle biomasse. Leggetelo.

 

La verità è che ogni intervento  reale muove degli interessi, altrimenti non si fa. Quelli che comportano quasi sessanta milioni di euro di investimenti non possono che interessare a qualcuno. Se volete chiamare questo lobbies fate pure. Non mi appassiona più il nominalismo. Il punto è in che direzione va e quali energie e dinamiche attiva. Capisco che volete uscire dal capitalismo, anche io ho letto e ho Marx (14), Engels (3), Bakunin (2), Lenin (16), Kautsky (2), Martov (1), Trotskij (3), Luxemburg (1), Giap (1), Castro (1), Che Guevara (1), Mao Tze Tung (2), per restare ai classici, un giorno vi invito a casa (quando questa storia sarà finita) e facciamo una bella discussione, ma il punto non è questo. Il punto è sempre stato COME. Il difficile è sempre stata la “teoria di transizione”. Io credo, ad esempio, che nel frattempo dobbiamo restare vivi.

Ciò detto la centrale di Vocem non è certo un “megaimpianto” in grado di ”stravolgere interi territori” (per favore non esageriamo, l’impianto non si vede più già a poche centinaia di metri, emette in atmosfera sostanze al limite della rilevabilità, come attesta l’Università di Napoli) ma proprio una piccola centrale, altrimenti quella di Ponte Valentino a gas come la chiamate? Tuttavia è ovvio che non deve inquinare e distruggere l’equilibrio del territorio. Questo è proprio l’oggetto del giudizio esperto che la Conferenza di Servizi è tenuto ad esprimere, per decidere se il diritto di realizzare sul territorio nazionale un progetto legalmente consentito si possa esercitare.

Per il resto avete proprio ragione, sono stato frettoloso, un poco sprezzante e molto ingiusto. La “decrescita” è una rispettabile ipotesi di lavoro. Ho sentito anche il nostro amico Vattimo che ne faceva un bell’elogio.

Non possiamo che essere interessati ad una riduzione “consapevole, serena, intelligente e controllata dei consumi”. Ma anche Pallante, come Latouche, De Benoiste, sono debitori di una “teoria di transizione” credibile come lo erano Marx e Engels. Un teoria di transizione può richiedere di fare dei passaggi da superare per andare oltre (in fondo anche Lenin promosse la NEP). Occorre, però, capire se l’approdo va bene. Se consiste nel buttare anche il bambino della società aperta con l’acqua del consumismo non mi sembra di poter essere d’accordo. In altre parole non credo di poter rinunciare all’illuminismo, pur con tutti i suoi problemi (certo, capisco, Nietszche, Heiddeger, Derrida, Foucault, etc. ho anche quelli).

 

Cambiando argomento e tornando a noi, mentre “auspicate” che manchi il combustibile (cioè i rifiuti) che ne dite, li mettiamo tutti allegramente in discarica? Oppure andiamo direttamente al 100 % di raccolta differenziata? Guardate che proprio in quel caso l’impianto di Vocem lavorerebbe benissimo dato che ha tra l’altro proprio i codici degli scarti da raccolta differenziata (carta e cartone a valle della selezione e legno a valle della selezione, chiaramente quando non è di qualità adeguata per la cartiera e impianti di rilavorazione come “novo legno” ad Avellino, altrettanto chiaramente senza colle e vernici). Oppure andiamo direttamente a “rifiuti zero” senza neppure raccolta differenziata?

 

Per chiudere, non è discutibile che Vocem abbia seguito le procedure di legge, basta leggerle correttamente (non leggete la 152/06 che non era vigente nel 2005). I ricorsi al TAR non dimostrano niente: eventualmente lo faranno le sentenze. Anche le opposizioni politiche di tutte le amministrazioni locali, non dimostrano che siano violate le procedure di legge. È proprio entro le procedure di legge che sono espresse e saranno evidentemente valutate. Non riesco proprio a far cogliere un punto: questa è un’autorizzazione regionale. Significa che la limitazione al diritto di intraprendere un’attività legale, in questo tipo di progetto può venire solo dall’insieme degli interessi pubblici coinvolti sulla scala regionale. Perché i benefici dell’impianto sono regionali (a tal fine ci sono nell’ordinamento autorizzazioni “nazionali”, “regionali” e “comunali”) è in un certo senso stato messo “nel conto” dal legislatore che la dimensione locale potesse vedere prevalere gli svantaggi ed opporsi. Si tratta di un principio di funzionamento elementare della pianificazione sin dai primi tentativi degli anni trenta in Inghilterra ed altrove: ci sono strutture e infrastrutture di interesse generale che vanno decise all’appropriato livello di governo. Per questo la legge italiana prescrive, tra l’altro, che la Conferenza di Servizi si esprima a “parere prevalente” (cioè riconoscendo il prevalente interesse pubblico) e non all’unanimità o, peggio, solo dal punto di vista locale. Se si stabilisse che è sempre la società locale a decidere avremmo un territorio fatto tutto di case, lottizzazioni, supermercati, aree industriali (una per paese), senza strade, ferrovie, centrali elettriche, linee elettriche, ripetitori (quindi senza TV), condotte fognarie, condotte idrauliche, impianti di trattamento rifiuti. Italo Calvino ci si sarebbe divertito.

La prossima volta mi dite dove esattamente la Convenzione di Aarhus dice che bisogna fare un referendum per ogni decisione? Poi non pensate che se così fosse andrebbero prima revocate un poco di leggi? Giusto per non far spendere inutilmente tre milioni di euro ad un’amministrazione pubblica. Così con l’occasione parliamo di Habermas che qui siamo già troppo lunghi (comunque potreste guardare questo link http://www.impattoambientale.it/articoli/Cenni%20sulla%20posizione%20di%20Jurgen%20Habermas.pdf, oppure anche questo che in un certo senso ha a che fare con i nostri discorsi http://www.impattoambientale.it/articoli/ulisse.pdf )

 

Intanto vi chiedo ancora scusa per le “velate minacce”, io non lo farò mai, e per la citazione delle “botte” (anche se Maria Pia lo ricorderà), ma il punto resta: perché ad un’assemblea pubblica non eravate interessati ad ascoltarmi? Era in un luogo pubblico, concesso dal Comune, non a casa vostra. Non vi è sembrata una violazione delle democrazia discorsiva, dialogica, deliberativa? Io non ho nulla contro le assemblee, ho fatto notte in centinaia di esse (tra l’altro ero bravino). So solo che non sono un modello di democrazia; un buon comitato (o una “commissione politica” come la mia ai tempi di architettura) vince quasi sempre. Ma “ottenere ragione”, come diceva Schopenhauer (a proposito rileggete gli stratagemmi 2 sull’omonimia, 28 “ad auditores”, o l’ultimo “ad personam”) non significa averla.

 

Alla fine fate troppo uso di argomenti “ad auditores”, sapete bene che Bettoni parlava dei rifiuti urbani che la Provincia di Bergamo ha già ricevuto nei suoi impianti a Bergamo, non dell’impianto a San Salvatore Telesino. Al massimo era un improprio far presente che la provincia di Bergamo (con la Lega contrarissima) era stata solidale e si sentiva ingiustamente maltrattata.

 

Rispondo alle vostre domande finali:

1-      le scorie e ceneri dell’inceneritore saranno recuperate, con riferimento a quelle “pesanti” recuperate dalle griglie di  combustione (che non sono pericolose), probabilmente da “Abm Valorizzazione” che ha un processo brevettato per l’utilizzo in edilizia in modo da risparmiare le discariche e avvicinarci all’obiettivo “rifiuti zero”; quelle “leggere”, derivanti dai sistemi di trattamento fumi di cui è ampiamente dotato l’impianto, quelle sì pericolose, saranno smaltite in discarica per pericolosi fuori regione o trattate con sistemi ad alta temperatura e vetrificate;

2-      l’acqua di raffreddamento è ricircolata per ridurre il consumo; le acque di processo degli altri sottosistemi hanno un apposito impianto di depurazione a disposizione anche di altri per le proprie necessità;

3-      i rifiuti inceneriti nell’impianto (come vedere dò il loro nome alle cose) provengono dagli impianti di selezione, dalle cartiere, da segherie e altri impianti del ciclo del legno, dalla lavorazione delle conserve alimentari ed altri impianti di lavorazione dei prodotti agricoli, dalla manutenzione del sottobosco, e da tutte le altre fonti elencate dettagliatamente, con tanto di provenienza nello Studio di Impatto Ambientale sin dal 2005; i materiali vergini da colture forestali in rapida rotazione e non certo da una impossibile ed illegale deforestazione;

4-      la Convenzione con il Comune non è stata mai sottoscritta pur essendo stata molte volte sollecitata dalla ditta;

5-      una trasformazione criminale come quella da voi citata non può essere fatta nottetempo, l’impianto non è adatto e andrebbe pesantemente modificato con investimenti di molti milioni di euro e diversi mesi. Comunque io lavoro in Campania da dieci anni nel settore e cerco di difendere me stesso e la mia reputazione. Mi opporrei.

 

 

 

     

 Valle Telesina


Per intervenire: invia@vivitelese.it