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Da "Il
Tempo"
Stefano
Gelsomini
COLLEFERRO
L'ex
presidente
di Consorzio
Gaia,
Roberto
Scaglione, è
stato
rinviato a
giudizio
ieri dal Gup
della
Procura di
Bolzano
nell'inchiesta
«Gaia waste
connection»
per un
presunto
giro di
tangenti di
oltre 2
milioni e di
consulenze
per il
termovalorizzatore
di
Colleferro.
A giudizio è
stato
rinviato
anche
Pierangelo
Moroni,
membro del
cda di
Pianimpianti
(società che
ha costruito
il
termovalorizzatore)
mentre hanno
patteggiato:
Francesco
Call, legale
rappresentante
della
società Isos,
tre anni e
15 giorni e
200 mila
euro di
risarcimento;
il
lussemburghese
Jean
Francois
Rizzon,
responsabile
settore
vendite
della Lurgi
(società di
costruzione
di parti di
ricambio per
termovalorizzatori)
3 anni di
reclusione;
Alberto
Jampaglia,
presidente
Pianimpianti,
e Luigi
Valeriani,
direttore
sezione
energia di
Pianimpianti,
un anno. È
stato
assolto,
invece, il
tedesco
Theodor
Risse,
presidente
cda di Lurgi.
Il
magistrato
punta a far
recuperare
allo Stato 7
milioni.
Scaglione
era stato
arrestato
nel 2005 con
l'accusa di
corruzione,
truffa
aggravata ai
danni
dell'ente
pubblico,
emissione e
utilizzazione
di fatture
per
operazioni
inesistenti:
il Gip di
Bolzano,
Isabella
Martin, su
richiesta
del pm Guido
Rispoli,
emise due
ordini di
custodia
cautelare
nei
confronti
suoi e di
Francesco
Call,
albergatore
di San
Vigilio di
Marebbe.
L'indagine
era partita
durante i
controlli
della
Guardia di
Finanza di
Brunico
(Bolzano),
che
avrebbero
accertato
nella
contabilità
di due
aziende
facenti capo
a Call, la «Isos»
di Brunico e
la «Ecoplanet»
con sede in
Lussemburgo,
e di una
terza
società, la
«Tecnical
Associates»,
registrata a
Dubai,
fatture
false per un
importo di
un milione e
mezzo di
euro, che si
sospetta sia
stato
distratto
per pagare
tangenti per
l'aggiudicazione
dell'appalto
da 32
milioni per
la
costruzione
del
termovalorizzatore
di
Colleferro,
realizzato
dalle
società «Pianimpianti»
e dalla
tedesca «Lurgi»,
che ha già
patteggiato
4 milioni di
risarcimento
e 2 milioni
per
Consorzio
Gaia, per
eventuali
ulteriori
danni che
emergessero
durante il
processo. |
lunedì 09 marzo 2009 |
Roma, rifiuti tossici
bruciati nell'inceneritore:
tredici arresti |
|
Un
termovalorizzatore
modello costretto a
ingoiare e bruciare
di tutto. È questa
l'accusa di fondo
per cui stamane i
carabinieri del
Nucleo operativo
ecologico di Roma
hanno eseguito 13
ordini di custodia
cautelare degli
arresti domiciliari,
emessi dal gip del
tribunale di
Velletri, nelle
province di Roma,
Latina, Frosinone,
Napoli, Avellino,
Bari, Foggia,
Grosseto e Livorno.
I reati contestati a
vario titolo sono di
associazione per
delinquere; attività
organizzata per
traffico illecito di
rifiuti; falsità
ideologica commessa
dal privato in atto
pubblico; truffa
aggravata ai danni
dello Stato;
favoreggiamento
personale;
violazione dei
valori limiti delle
emissioni in
atmosfera e
prescrizione delle
autorizzazioni;
accesso abusivo a
sistemi informatici.
A finire nei guai il
direttore tecnico e
responsabile della
gestione dei rifiuti
degli impianti di
termovalorizzazione
di Colleferro, Paolo
Meaglia; un
dirigente dell'Ama;
soci e
amministratori di
società di
intermediazione di
rifiuti e di
sviluppo di
software, chimici di
laboratori di
analisi. I militari
oggi hanno
provveduto anche a
notificare 25
informazioni di
garanzia. Le
indagini dei
carabinieri sono
durate circa un anno
e sono passate
attraverso «servizi
di osservazione dei
luoghi», «ispezioni
e controlli agli
impianti». Al centro
della questione e
della stessa
inchiesta del pm
Giancarlo Cirielli,
della Procura di
Velletri, c'è stata
la verifica della
qualità e
consistenza del
combustibile da
rifiuti (Cdr) che
veniva immesso nei
cicli gestionali
degli impianti di
termovalorizzazione
di Colleferro, alle
porte della
Capitale.
Gli accertamenti del
Noe hanno permesso
di raccogliere
chiari elementi di
responsabilità - si
spiega - a carico
dei soggetti che
conseguivano
ingiusti profitti,
rappresentati dai
maggiori ricavi e
dalle minori spese
di gestione dei
rifiuti che venivano
prodotti e
commercializzati
come Cdr pur non
avendone le
caratteristiche. In
gran parte invece,
l'impianto doveva,
era costretto, a
trattare rifiuti
speciali anche
pericolosi e quindi
non utilizzabili nei
forni dei
termovalorizzatori
per il recupero
energetico. Il modus
operandi era chiaro.
Prima si allestivano
uomini e mezzi
(impianti di
trattamento e
recupero,
intermediari,
laboratori
d'analisi, gestori
di rifiuti), che
conferivano ingenti
quantitativi di
rifiuti urbani non
differenziati ai
termovalorizzatori,
classificandoli come
Cdr benchè privi
delle
caratteristiche
previste dalla
legge.
Il passaggio
successivo era la
falsificazione e
predisposizione di
certificati di
analisi redatti da
liberi
professionisti
(chimici) che
attestavano
falsamente dati
sulla natura,
composizione e
caratteristiche
chimico-fisiche dei
rifiuti, che hanno
consentito la
classificazione
degli stessi come
Cdr. La truffa ai
danni dello Stato
ammonterebbe a oltre
60 milioni di euro.
Grazie
all'ottenimento di
incentivi statali,
previsti dal CIP
6/1992, e non dovuti
e nel dichiarare al
Gestore Servizi
Elettrici consumi di
gas metano per uso
generazione
elettrica inferiori
a quelli effettivi.
Inoltre agli
indagati, in
concorso, è
contestata anche
l'alterazione dei
dati relativi ai
valori fuori limite,
attraverso
l'introduzione nei
sistemi informatici
destinati al
controllo dei fumi e
delle emissioni
inquinanti, alla
gestione e
conservazione dei
relativi dati e la
trasmissione degli
stessi agli
organismi di
controllo.
E se c'era qualcuno
che si opponeva,
all'interno degli
impianti, bisognava
procedere con
«contestazioni
disciplinari e
sospensioni
lavorative, al fine
di evitare la
collaborazione degli
stessi con
l'autorità
giudiziaria». I
militari ritengono
significativo, in
tal senso,
l'episodio che
riguarda la
combustione di gomme
intere di veicoli
all'interno del
termodistruttore,
nonostante le
rimostranze e i
dubbi posti da
alcuni operai verso
i responsabili
dell'impianto;
oppure la
combustione di altro
materiale non
idoneo, che veniva
annotato dagli
operai sulla
documentazione e
registri di
accettazione con
diverse diciture
quali 'munezzà,
'pezzatura grossà o
'scadentè. Il gip di
Velletri Alessandra
Ilari ha disposto il
sequestro preventivo
degli impianti di
termovalorizzazione
di Colleferro,
autorizzando
comunque la
continuazione delle
attività, sotto la
vigilanza del
personale del Noe di
Roma.
Il giudice ha anche
disposto il
campionamento
giornaliero
dell'Arpa sul Cdr in
entrata, sui rifiuti
prodotti ed analisi
dei fumi dei camini.
entro 90 giorni,
comunque, ci dovrà
essere il rilascio
dell'Aia,
autorizzazione
integrata
ambientale).Era
tutto proibito nei
due impianti di
Colleferro che
avrebbero dovrebbero
trattare solo
combustibile
derivato da rifiuti.
E l'immondizia
«tossica» proveniva
anche dalla
Campania, da
un'azienda di
Serino, in provincia
di Avellino. Dopo
gli avvisi di
garanzia emessi
nelle scorse
settimane i
provvedimenti di
arresti domiciliari
eseguiti oggi dai
carabinieri del Noe,
chiudono una
ricostruzione dei
fatti che copre
l'attività dei
termovalorizzatori
per almeno tre anni.
Era stata la
denuncia di un ex
dipendente a far
partire le prime
indagini. Il
capo-turno si
presentò con un
campione di rifiuti
da analizzare,
estratto da una
vasca per il
trattamento dei
rifiuti che
presentava picchi
anomali di XCl
(acido cloridico) e
SO2 (biossido di
zolfo). Il campione
sotto forma di
cilindro è stato poi
fatto analizzare
dall'Arpa di
Frosinone che non lo
ha repertato come
«materiale non
identificabile come
cdr» bensì «rifiuto
speciale e
pericoloso per la
presenza di
idrocarburi». I
carabinieri del
Nucleo ecologico di
Roma diretti dal
capitano Pietro
Rajola Pescarini,
nelle scorse
settimane hanno
sequestrato
documentazione e
computer nella sede
legale del consorzio
Gaia a Colleferro.
Il polo energetico
ambientale della
Valle del Sacco, con
al centro Colleferro,
era un esempio di
realizzazione del
processo di
termovalorizzazione.
In numerosi incontri
e occasioni
pubbliche l'impianto
di Colle Sughereto
era indicato come la
via da seguire.
Nell'ordinanza del
gip Ilari si riporta
come i carabinieri
abbiano fermato
alcuni camion con
all'interno piccoli
radiatori, tubi di
rame, fili
metallici, batterie
e materiale
ceramico. Oltre
addirittura a
pneumatici,
materassi ed
eternit. E per far 'entrarè
quel tipo di rifiuto
nel
termovalorizzatore
non si è avuta
alcuna remora
secondo l'accusa.
Arresti e
sequestri nella
«valle dei veleni»
È l'alba quando la
bufera travolge i
termovalorizzatori
di Colleferro.
Tredici persone ai
domiciliari per
traffico illecito di
rifiuti e violazione
dei limiti delle
emissioni
ambientali. Tra loro
i dirigenti del
consorzio Gaia,
gestore
commissariato degli
impianti, e due
responsabili
dell'Ama, l'azienda
municipale ambiente
della capitale che
lì conferiva cdr
(combustibile
derivato da rifiuti,
ndr). Altri dodici
gli indagati e
soprattutto il
sequestro preventivo
degli inceneritori
alle porte di Roma
da parte dei
carabinieri del Noe
diretti dal capitano
Pietro Rajola
Pescarini. I due
impianti
funzioneranno sotto
il loro controllo e
quello dell'Arpa
Lazio di Frosinone
per i prossimi
novanta giorni, poi
si vedrà. Tutto come
stabilito nelle 142
pagine
dell'ordinanza del
gip di Velletri,
Alessandra Ilari. Un
atto che segue le
denunce di alcuni
operai di Ep Sistemi
e Mobilservice,
società satelliti di
Gaia, e apre un
nuovo caso nella
soluzione della
gestione dei rifiuti
laziali. Dopo la
vicenda Malagrotta,
ora tocca a
Colleferro: i due
termovalorizzatori
sarebbero privi di
autorizzazione da
oltre un anno,
seppur in attesa di
Aia (autorizzazione
integrata
ambientale) da parte
della Regione Lazio
che li ha inseriti
nel nuovo piano
rifiuti. Se non
viene rilasciata
l'Aia e non viene
istituito lo
sportello ecologico
entro tre mesi, si
va verso la loro
chiusura.
LE ACCUSE
Il fulmine prima
della tempesta
appare già a
novembre. «I camion
scaricavano anche di
notte - avevano
raccontato alcuni
lavoratori a l'Unità
- 'Combustibile
derivato da rifiuti
(cdr) certificato'
ci dicevano ma
bruciavamo anche
pneumatici,
materassi, residui
metallici». E
ancora: «Respiravamo
scorie e ceneri, chi
ci dice che non
erano tossiche?
Quando il cdr non
era conforme, il
sistema di controllo
delle emissioni
registrava valori
fuori dalla norma e
tutto finiva
nell'aria. Come mai
queste anomalie non
risultavano nei
registri interni? E
perché gli impianti
non venivano
fermati?». Ora è la
magistratura a
parlare. Traffico
illecito di rifiuti
e violazione dei
limiti delle
emissioni
ambientali, le
principali accuse.
«La pericolosità
criminale degli
indagati è
altissima»,
sostengono gli
inquirenti. Neppure
i controlli del Noe
li hanno fermati e
si tratta di
«attività
inquinante, dannosa
per l'incolumità
pubblica, portata
avanti in modo
sistematico, senza
alcuna remora, con
l'unico miraggio del
profitto». Il gip
Ilari arriva a
ipotizzare
un'associazione per
delinquere nei
confronti di alcuni
degli arrestati.
Uniti, seppur con
interessi diversi:
bruciare nel
termovalorizzatore e
produrre energia da
rivendere per i
dirigenti Gaia,
procurare e smaltire
cdr non conforme per
alcuni responsabili
delle aziende del
ramo trattamento
rifiuti «con
evidente vantaggio
sia di chi lo vende,
sia di chi lo
acquista e con
altrettanto evidente
danno per il gestore
che compra l'energia
prodotta e per la
salute pubblica». E
questo grazie anche
a falsi certificati
d'analisi e alla
manipolazione del
sistema informatico
destinato al
controllo dei fumi e
elle emissioni
inquinanti.
GLI ARRESTI
Ai domiciliari
finiscono Paolo
Meaglia e Stefania
Brida,
rispettivamente
direttore tecnico e
responsabile
gestione rifiuti dei
due
termovalorizzatori.
Il pm Cirielli aveva
chiesto il carcere
nei loro confronti.
E ancora tra gli
altri: Giuseppe
Rubrichi e Angelo
Botti. Entrambi
dell'Ama di Roma,
proprietaria al 35
per cento di uno dei
due impianti. Il
primo in veste di
procuratore, l'altro
come responsabile
dell'impianto di
Rocca Cencia. Sotto
accusa anche alcune
società sparse in
tutta Italia che
conferivano cdr a
Colleferro. In prima
linea la De.Fi. Am
di Serino, provincia
di Avellino. È da un
suo carico arrivato
alla fine di ottobre
che sarebbe stato
prelevato un
cilindro risultato
«irregolare per
l'umidità e
contenente zolfo e
olii minerali fuori
dai limiti
consentiti». A
consegnarlo ai
carabinieri del Noe,
coordinati dal
colonnello Sergio De
Caprio (il famoso
capitano Ultimo che
arrestò Totò Riina),
è stato il capoturno
Piero Basso. Un mese
fa, non appena
ricevuto il decreto
di notifica del
sequestro, il
consorzio Gaia lo ha
sospeso in via
cautelare. «Mi
vogliono licenziare
perché ho
collaborato con la
giustizia» aveva
denunciato Basso al
nostro giornale. Ora
gli inquirenti
valutano anche
eventuali violenze e
minacce agli operai
da parte della
dirigenza degli
impianti. Su questo
fronte, tra gli
iscritti nel
registro degli
indagati, c'è anche
il commissario
straordinario del
consorzio Gaia,
Andrea Lolli.
09 marzo 2009
Anche eternit
bruciato nei
termovalorizzatori
Pneumatici, residui
metallici,
materassi. E ancora
batterie, radiatori,
tubi di rame,
sembrerebbe persino
eternit. Tutto
entrava in veste di
cdr per essere poi
bruciato nei due
termovalorizzatori
di Colleferro. Prima
i residenti
segnalano la
fuoriuscita di fumo
nero e denso da una
delle canne del
sito. Si chiedono:
sono sostanze
tossiche derivanti
dalla combustione
dei rifiuti? Poi
sono alcuni operai
degli impianti a
lanciare l'allarme.
È il 19 novembre
quando a l'Unità
parlano di «camion
che arrivavano la
notte, a volte non
veniva neppure
chiamato il
capoturno. 'Cdr
certificato' ci
dicevano ma dentro
c'era di tutto».
Chiedono verità e
hanno paura per la
loro salute, oltre
che per quella dei
cittadini.
«Raccoglievamo le
ceneri anche a mano,
con le pale»
raccontano. Le
indagini dei
carabinieri del Noe
di Roma scattano già
nel gennaio di due
anni fa. Ironia
della sorte, proprio
da una denuncia per
diffamazione
presentata da Paolo
Meaglia, direttore
tecnico degli
impianti finito ora
ai domiciliari.
Secondo un
consigliere comunale
della città alle
porte di Roma, il
terminale che
monitorava in tempo
reale le emissioni
dei
termovalorizzatori
veniva oscurato ogni
volte che si
superavano i limiti
di legge. Meaglia lo
aveva denunciato.
Adesso la procura di
Velletri parla di
manipolazione dei
dati del sistema di
controllo, falsi
certificati del cdr
scaricato, false
analisi. Da qui le
accuse di traffico
illecito di rifiuti
e violazione delle
emissioni
ambientali.
La storia degli
inceneritori di
Colleferro è
travagliata. Al pari
di quella del
consorzio Gaia che
li gestisce. Un
tempo era formato da
48 comuni, tutti
uniti per assicurare
la raccolta e lo
smaltimento dei
rifiuti nella
provincia romana.
Doveva essere la
soluzione ai molti
problemi, ben presto
arriva il dissesto
finanziario. Un
inspiegabile passivo
di oltre 100 milioni
di euro scoperto da
un'indagine della
guardia di finanza
che porta la Procura
a emettere 24 avvisi
di garanzia per
corruzione,
bancarotta
fraudolenta,
peculato e truffa
aggravata ai danni
dello Stato. Tra gli
indagati c'è l'ex
presidente della
società Roberto
Scaglione, già
arrestato nel 2006
per un'altra truffa
sempre ai danni del
consorzio: un giro
di fatture false
milionario
utilizzate forse per
pagare tangenti.
Intanto Gaia viene
commissariato. Oggi
sono rimasti 18
comuni, il consorzio
è in vendita. Eppure
difficoltà a parte,
Colleferro e i suoi
impianti continuano
ad avere un ruolo
centrale nel piano
regionale dei
rifiuti.
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