Ricordo....la mia Telese - 26-04-04 - Gino Di Vico

 

 

Margherita Orfitelli  28-04-04

 

Ringrazio il Sig. Gino Di Vico per  i suoi ricordi.  Non avrei potuto descrivere Telese della mia gioventù in modo migliore.  Mamma che nostalgia!...
 


 

 

Questo scritto nasce per un giornalino mai nato, lo invio volentieri al vostro sito affinché, se ritenete possibile, lo pubblichiate come contributo alla conservazione della memoria storica della nostra cittadina.

 

La mia Telese…………………….

 

A volte, passeggiando di sera lungo le vie del mio paese provo a ricordarmi di chi abitava in questa o l'altra casa. E mi sovvengono i nomi di famiglie, i volti di persone, le voci di ragazzi che ho conosciuto con cui ho giocato che poi un giorno non c'erano più, partiti in cerca di un destino migliore, di una vita diversa. Ne avrebbero fatto a meno ma non potevano, oggi abitano le periferie di qualche città del nord, in qualche lindo paesello di qualche nazione straniera, parlano altre lingue e forse manco si ricordano di dove sono partiti. I loro figli sono nati al nord e fra un po' di tempo cancelleranno ogni ricordo delle loro radici.

 

C’era una Telese piccola, graziosa col suo viale alberato a doppia fila, c'era ogni tanto un campetto dove noi ragazzi giocavamo a pallone e ce n'era uno per quartiere così che si formavano squadrette stracittadine e piccoli campionati di paese. C’era una piccola e graziosa stazioncina ed un quartiere dei ferrovieri, i bambini giocavano nel cortile e le madri sul far della sera li chiamavano a gran voce per il desinare. C‘era una Telese operaia e piccole industrie coi loro comignoli alti verso il celo; nei pressi della stazione l'oleificio "Gaslini” e nell’ "Acqua fetente" l'oleificio Palmieri, il mulino Capasso e il più piccolo mulino Liverini.

 

Molti abitanti erano muratori e costruivano le loro casette un mattone al giorno, spesso lo portavano via dal cantiere di nascosto, il "capo" vedeva ma lasciava fare; del resto sapeva che volerli trattare bene di mattoni gliene doveva rendere molti. Al quadrivio si svolgeva il rito del bar, gli avventori erano persone semplici che consumavano cose semplici, perlopiù bevevano birre e si giocava a carte.

 

Le carrozzelle, dopo che non c'era più il treno, portavano i bagnanti alle terme, d’estate arrivavano famiglie che prendevano alloggio presso improvvisati affittacamere. A volte avevano da presso belle figliole che facevano la gioia dei nostri playboy locali. D' estate si andava al lago ad ogni ora, ad ogni momento del giorno e a volte anche di notte. Più di uno perse la vita in quello specchio d'acqua e sempre, sembrava così strano che si potesse morire in quella pozzanghera che noi continuavamo a bagnarci senza nessuna paura.

 

C’erano le feste, più o meno grandi; dove è ora piazza Padre Pio c'era uno spiazzo detto “Il Lagozzo" dove per un po' si festeggiò Sant' Antonio in devozione di una statuina che faceva bella mostra in una nicchia di una casa sul viale dove alloggiava un signore, sfollato napoletano, che s'era tirato dietro insieme alle sue cose anche quella particolare devozione.

 

Tutt' intorno al viale era ancora campagna, i filari di vite arrivavano fin sulla strada e in ottobre si vendemmiava quasi in giardino. In autunno ci divertivamo a saltare sulle foglie secche per sentirne lo scricchiolio, qualcuno, più audace, prendeva di mira con la sua fionda i passerotti sui platani, poi non contento scendeva lungo le rive del Seneta e tirava alle lucertole infreddolite.

 

L'inverno era più freddo di adesso, o forse eravamo noi più spogli di adesso, raramente cadeva la neve ma quando accadeva era una festa e tutti a riempirne pentole per fare una specie di sorbetto con il succo d'amarena.

 

La gente era più povera e per questo più buona, nessuno aveva niente da invidiare, nessuno aveva niente da farsi invidiare.

 

Gino Di Vico

 


 

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