“Scusate se parlo al manovratore”.
Vi invio un’ulteriore scritto di quell’ipotetico giornalino mai nato
dell’associazione “Ulisse”.
Questo articolo è nato mesi orsono e faceva parte di quel disegno
culturale che vedeva l’associazione come luogo di proposta e di stimolo
alle forze politiche,economiche e sociali che guidano il nostro paese o
che si proponevano
a farlo.
Grazie, Gino Di Vico
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Telese, a buon diritto, può rappresentarsi come una “città terziaria”,
dove il quadro sociale si è stratificato a vantaggio del ceto medio
impiegatizio che come spesso avviene in molte realtà del sud prive di
insediamenti industriali, costituisce la base economica principale se
non unica, dove la circolazione della moneta mette in moto il mercato in
un circuito economico di tipo circolare.
Stante così la situazione è abbastanza evidente che qualsiasi intervento
non può avere le caratteristiche di un’emergenza atta a tamponare una
situazione immediata ma deve inquadrarsi in un quadro più generale di
una presa d’atto globale dove ai problemi bisogna dare una soluzione
tecnicamente avanzata.
Bisogna mettere in campo idee frutto di
studi, soluzioni frutto di indirizzi precisi, bisogna mettere in campo
un vero e proprio “disegno di civiltà” dove interagiscono le strutture
sociali, politiche, economiche e culturali.
A mio modesto parere, chiunque voglia mettere mano ad una qualificazione
o riqualificazione della “città Telese”, deve mettere nel suo programma:
1) La visione urbanistica.
Telese ha avuto in questi anni uno
sviluppo urbanistico a “macchia di leopardo”, legato spesso più alla
riconversione della rendita agraria in immobiliare, che non ad un piano
urbanistico guidato.
Spesso la nascente espansione non si è caratterizzata secondo una
struttura articolata, ma più come un disegno confuso che rischia di
porsi come un limite a qualsiasi nuova urbanizzazione che non tenga
conto delle reali condizioni generali ed ambientali.
2) Il modello economico.
E’ innegabile che Telese abbia raggiunto dei livelli di benessere
economico che non trovano eguali se paragonati con altre realtà anche
viciniore ma è anche innegabile che legare il modello economico alla
sola espressione della classe media-impiegatizia si presta alle
dinamiche di espansione e recessione socio-economiche a cui essa è
esposta (vedi il caso dell’avvento dell’Euro).
3) Il modello sociale.
L’inserimento di modelli urbani tipici della società dei consumi porta
ad un disfacimento del sistema di relazioni tipico delle piccole realtà
che in generale fondano il loro vissuto sul sistema di coesione sociale.
Producono rapporti di forza tra i gruppi, egemonia di alcuni su altri,
ma soprattutto, se non filtrati ma recepiti acriticamente, producono
malessere sociale che si manifesta in forme di emarginazione che
arrivano a servirsi della violenza contro di sé e gli altri come momento
di autoaffermazione. Telese non ha un vissuto sociale degno di storia, i
tentativi messi in atto nel passato per costruire una comunità (momenti
di aggregazione, feste patronali, sport, ecc.) sono andati perlopiù
vanificati.
Alla luce di quanto detto, credo che sia
prioritario la creazione di spazi di vissuto dove favorire
l’aggregazione, l’incontro e soprattutto bisogna preoccuparsi di
modellare il paese secondo forme che mettono in moto rapporti
sinto-spaziali che favoriscano il benessere psico-fisico (aree di verde
pubblico, aree attrezzate, piazze e luoghi di ritrovo, ecc.)
preoccuparsi anche dell’estetica delle forme urbane (colori, dimensioni,
ecc.) insomma agire sempre tenendo da conto non di uno ma di più agenti
determinanti, lasciando da parte le logiche mercantili ed affaristiche.
Gino Di Vico
Per intervenire:
invia@vivitelese.it
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