Zolfo o Solfo, Zolfureo o Solfureo, non si sente
più nelle sere uggiose d’inverno quello strano
miasmo che saltava il muro delle terme e
permeava le case, le strade, le persone a
ricordarci che in fondo acqua siamo e acqua
ritorneremo.
Quella incomprensibile puzza che sapeva di uova
marce tanto a schifo ai nostri bei turisti ma
tanto cara nei ricordi di noi piccoli quando
l’acqua antica saltava zampillante sulle mani
poste a “cuoppo” in fondo alla scalinata delle
piccole fontane.
Il
tempo ha consunto lo zolfo, di là dal muro ben
altri miasmi odorosi han preso il sopravvento
nelle calme sere nebbiose d’inverno, scarichi di
auto segnano il passo e riempiono l’aria di
mefistofelici odori.
Forse se ne sta rintanata negli antri nascosti
della terra la sapiente acqua e non vuole più
vedere le luci di questo nostro strano paese
pieno, stracolmo di modernità senza per questo
essere moderno.
Forse ha un po’ in uggia che a volte l’abbiam
trattata male seppellendola sotto colate di
grigio cemento o l’abbiam sporcata con le nostre
miserie.
Ben altro destino forse aveva in mente, di
ritornare un giorno sulla mensa dei suoi
concittadini a lasciarsi bagnare da taralli
nostrani che lasciano in superficie il povero
seme di sesamo solitario alla deriva.
Eppure scava, cerca una via per lasciarci per
sempre, per dirci addio: - “ingrati che oggi di
me non avete pietà!”.
Già sul muro la scritta Terme inizia a
scomparire a diluirsi sotto lo scroscio
dell’acqua piovana, sorella povera che viene dal
cielo, solerti imbianchini corrono in soccorso
ma la vernice non sembra tenere, non lega la
pittura con l’acqua: che forse si sian passate
la voce tutte le acque del mondo?
Gino Di Vico
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