27 marzo 2005
I racconti di Affinito: Peppe Arzillo
Riccardo Affinito

 

 

Originario di Casapulla, Giuseppe Arzillo ha vissuto a Telese  fino al 1970; sercitava la professione di appaltatore edile, ed abitava “ dint’’o vico ‘e Clevenice”.

 

Fu sindaco  dal 21/07/1947 al 28/02/1948 e durante il suo mandato ci fu l’istituzione del mercato e la costruzione del campo di calcio sul quale potè svilupparsi quel grande fenomeno di massa che fu l’U.S.Telese Terme.

 

Peppe era un uomo di bell’aspetto, alto e magro, grande amicone e grande simpaticone e per  alcuni aspetti del suo carattere, rimane uno dei maggiori protagonisti dei famosi anni ruggenti.

 

La  caratteristica più singolare era la sua straordinaria capacità di mangiare. Stando alle testimonianze di alcuni suoi amici, è stato in assoluto il più grande mangiatore dell’epoca. Mio zio, Gigino Affinito, diceva di lui:

 

-         Peppe tene ‘o sfùnnolo, cchiù magna e cchiù se fà sicco. Assumiglia ‘a gatta ‘e ¾: Se magnaje nu chilo ‘e carne e quanno ‘a jètteno a pesà, pesava ¾.

 

Come ho già avuto modo di raccontare, le possibilità di svago della Telese degli anni 40/50 erano molto limitate e pertanto la cenetta con gli amici “c’’a chitarra e ‘o mandulino” rappresentava una delle attività più gettonate della gioventù di quel tempo e sicuramente Peppe Arzillo ne fu uno dei maggiori attori.

 

Il teatro più consueto per l’esercizio di queste attività, era il dopolavoro gestito da Eduardo Di Mezza;  fu proprio in una di queste circostanze che potei apprezzare un’altra delle caratteristiche che lo resero famoso: le sue qualità canore.

 

Era una vigilia di Natale di tanti anni fa. Avevo notato che mio padre e mio zio Gigino stavano ammassando una notevole quantità di derrate alimentari; mi resi conto che si stava preparando una delle rituali festicciole tra amici alle quali mi capitava di tanto in tanto di partecipare, una volta perché mi portava mio padre, qualche volta perché mi portava mio zio e spesso perché mi portava Nunziello, grande suonatore “‘e iazz”.

 

Feci tanti di quei capricci finché mio padre si decise, obtorto collo, a portarmi con lui. Quando giungemmo al dopolavoro, la combriccola s’era già bella e composta e, per quello che ricordo, oltre a me, mio padre e mio zio Gigino c’erano: Eduardo Di Mezza, che faceva gli oniri di casa, Peppe Arzillo, Don Bernardo Maietta, Lucariello Viola, Capeppe, Don Vito Volpe, Salvatore Vaporieri, Don Antonio “‘assistente”,  Biase “‘o barbiere” Mario Di Matteo ed altri ancora, che però non riesco a ricordare.

 

Tra le persone  elencate c’erano, in assoluto, le più famose forchette dell’epoca e quello che riuscirono a mangiare e a bere, va al di là di ogni più fervida immaginazione.Quando l’alcool cominciò a produrre i suoi effetti, gli artisti della comitiva, che per la circostanza erano mio zio e Peppe Arzillo, cominciarono a sciorinare il loro repertorio: mio zio favceva “ ‘e macchiette” e cantava “N’accordo in <fa>”:

Fli-ppo…fli-ppo…fli-ppo…fli-ppo…

Fiore di primavera,

La donna tiene i peli sopra il cuore,

e i’ nun mm’’a pigliasse pè mugliera,

nemmeno se me l’ordina il dottore…

Parola mia,

parola mia d’onore…

 

Peppe Arzillo, grande interprete del repertorio napoletano classico-drammatico, cantava : Zappatore, ‘O schiaffo, Brinneso, ma in particolare una canzone che rappresentava una fedele sintesi della filosofia di quegli uomini fieri, che trovavano il loro modo di essere in maniera semplice e simpatica, che si divertivano stando insieme e per il semplice piacere di stare insieme:

                                            

E io canto: Qui fu Napoli,

Nisciuno è meglio ‘e me…

Dimane penzo ‘e diebbete

Stasera so’ nu rre!

 

Un altro aspetto della personalità di Peppe Arzillo, era quella “‘e sfottere ‘a mazzarella“ e, per questa sua naturale inclinazione, si diceva di lui che era peggio “d’’e scosse ‘e terremoto”.

 

Una sera d’ inverno di tanti anni fa, durante le festività natalizie, stavamo tutti ammassati nel circolo sociale che a quei tempi era situato nelle proprietà di Ettore Maturo.

 

Quando era circa mezzanotte, Peppe Arzillo salutò la comitiva e rivolgendosi a me  disse: “Riccà, arretirate ca s’è fatto tarde”. Così ci incamminammo insieme verso casa.

 

Era una notte fredda ed umida e, in particolare c’era una nebbia “ ca se puteva taglià c’’o curtiello”. All’altezza del quadrivio stavamo per dividerci, per raggiungere le rispettive abitazioni, quando vedemmo due ombre nella nebbia che provenivano dalla stazione e procedevano con passo lento e compassato verso di noi.

 

Mano mano che avanzavano, le ombre cominciarono a prendere forma e  scorgemmo delle sagome amiche, benché i visi fossero siminascosti da  sciarpe  di lana. Si trattava di Giovanni Ceniccola e Antimo Tommaselli che tornavano dalla Germania, dove lavoravano a quel tempo, per trascorrere le vacanze natalizie a casa.

 

Il loro equipaggiamento era quello classico degli emigranti che tornavano da un paese freddo, “parevano Totò e Peppino quanno jetteno a Milano : purtavano dduje capputtune che l’arrivavano fino a ncopp’’e scarpe, nu pare ‘e valigiune peròne, nu sciarpone arravugliato nfaccia e na specie ‘e colbacco ncapa, robba ca si ‘e ncuntrave ‘e notte all’intrasatte, sbattive nterra d’’a paura!”

 

“Comme jammo e comme nun jammo…., bentornati e bentrovati….tanti auguri di Buon Natale e felice Anno Nuovo…e pè tremente Peppe Arzillo ‘e  squadrava  d’’a capa ‘o père” e quando si esaurirono i convenevoli,  “scapuzzianno nu poco, c’’a faccia nu poco scunsulata, dicette”:

 

- Certo ca so fetiente ‘e Tedeschi!… guarda nu poco comme l’hanno cumbinate a   

   sti’ poveri guagliune!!

 

E così, in una notte di nebbia di tanti anni fa, un uomo simpatico e di bell’aspetto, con l’abituale lampo di genio, confezionò una battuta che, per la sua pungente orginalità,  merita di essere ricordata.

 

                            

 

 

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Da queste pagine desidero indirizzare un caro saluto a Pinuccio Mainolfi ed Aldo Maturo, due amici che  ho potuto incontrare “virtualmente”, grazie a ViviTelese, ai quali rivolgo un cordiale “benvenuto!”

 

     

La pagina dei ricordi di Riccardo Affinito


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