Qualche tempo fa,
su ViviTelese, Sergio Buttà ha
pubblicato alcune foto, scattate nella
famosa piscina telesina, che ritraevano alcuni
giovani i quali hanno contribuito a scrivere la
storia dei Goccioloni.
Quelle foto mi
hanno riportato indietro di tanti anni…..I
ricordi e le emozioni del tempo passato mi hanno
spinto a scrivere una paginetta per raccontare
come si svolgeva, più o meno, una mattinata in
piscina.
E’ significativo
che lo spunto sia arrivato da Sergio Buttà il
quale, avendo libero accesso a tutte le
strutture termali,vi trascorreva una buona parte
del suo tempo libero e, pertanto, rimane uno dei
più autorevoli testimoni della “bella epoque”.
‘A piramide:
Una delle attività
più spettacolari e pittoresche, era quella di
costruire una piramide umana composta da 11
elementi: 5 formavano la base ed in genere
venivano utilizzati i ragazzi più robusti come
Tonino Tanzillo, Goffredo Macolino, mio fratello
Gino, i fratelli Pescatore, Giovanni Di Mezza,
Lucio Antinori ecc.; 3 elementi al primo settore
composto da pesi medi, come Fausto Marchione,
Alfonso Bosco, Vittore Pascucci, Sergio Buttà
ecc.; 2 pesi leggeri al secondo settore come
Lenuccio Candela, Gigino Cappelletti, Geppino
Colangelo ecc. ed infine un ragazzo per fare la
punta della piramide.
Questa fase di
rifinitura era la più complicata ed anche la più
pericolosa perché, considerando una altezza
media di mt. 1,70, bisognava arrampicarsi,
utilizzando la tecnica “coscie e spalle”,
fino ad una altezza di 5 mt.; in genere i
sacrificati per arrampicarsi in cima a fare la
punta della piramide eravamo io, Pasquale Viola
e Gianfranco Ciabrelli.
Però che
soddisfazione quando la cosa riusciva!
‘O tuffo ‘a copp’’a
seggia:
Questa pratica fu
introdotta da un abilissimo tuffatore di nome
Lucio Giuliani, un giovane di Napoli che
trascorreva spesso le vacanze a Telese, che
compare proprio in una delle foto pubblicate da
Sergio.
Noi ragazzi
normalmente ci tuffavamo dal pavimento della
piscina finché un bel giorno Lucio, prese una
sedia dalla cabina, ci montò sopra e
rivolgendosi ad uno che gli stava vicino
strillò:
-
Mantiene sta
seggia!…e se vuttaje.
Che stile ragazzi!
Era un bel vedere.
Naturalmente dopo
di lui, cominciammo anche noi a tuffarci dalla
sedia ma, quando eravamo diventati abbastanza
pratici, Lucio mise due sedie una sopra
all’altra e rivolgendosi a quelli che gli
stavano vicino strillò:
- Mantenite sti
seggie!….e se vuttaje. E nuje sempe appriesso a
isso.
La competizione
andava avanti e presto le sedie diventarono tre;
ma un giorno Pasquale Viola e Gianfranco
Ciabrelli scrissero la parola “fine” perché
“ se vuttajeno
direttamente d’’o finestrone. Che ne parlammo a
fa!?”
‘A schizzata
generale:
I fratelli
Pescatore, Nazzareno e Lillino, erano ospiti
fissi della piscina. “ Se spaparanzavano ‘o
sole “ e se qualcuno, malauguratamente, nel
fare un tuffo li schizzava appena appena, erano
“mpicci”.
Quando però erano
soddisfatti della tintarella, si alzavano e ci
mandavano segni di intesa cosicché, “a
ntrasatte”, ci buttavamo in acqua tutti
insieme e sbattevamo le braccia e le gambe in
modo da indirizzare gli schizzi verso quelli che
stavano beatamente al sole.
“ Ato ch’‘e
cascate d’’o Niagara! Era ‘o diluvio universale!
Ll’acqua arrivava nzino a ncopp’’o terrazzo. Se
scatenava nu fuje-fuje ggenerale, nu votta-votta
complessivo ch’’a gente nun sapeva cchiù addò
correre! Tanno ferneva ‘a festa, quanno tutt’’e
bagnante erano nfusi comm’’a pucini.
Poco dopo arrivava
puntualmente il bagnino ma, naturalmente,
nessuno sapeva e nessuno aveva visto niente.
‘Ammore int’’e
cabbine:
Non c’è alcun
dubbio che l’attività principe, la più
desiderata e la più ricercata, era quella di
conoscere una ragazza e tentare di amoreggiare
con lei nelle cabine.
Per molti di noi,
la stagione dei primi amori è legata in maniera
indissolubile ai Goccioloni.
Una volta
conosciuta una ragazza ed averla debitamente
corteggiata, quando i tempi sembravano maturi,
l’approccio per condurla in cabina era un
classico della gioventù telesina e veniva
tramandato dai più grandi ai più piccoli
attraverso un corso specifico.
Tutto cominciava così: ci si buttava in acqua a
testa in giù e quando si usciva, naturalmente
con i capelli bagnati ed arruffati, sfoderando
la più grande ingenuità possibile, si chiedeva
alla ragazza:
- Scusa, che per
caso hai un pettine? Il mio l’ho dimenticato a
casa.
- Si, ce l’ho in
cabina, adesso lo vado a prendere.
“ E
lloco te voglio!!”
Lei
andava avanti e noi dietro; entravamo in cabina
insieme senza che lei se ne rendesse conto ed
una volta dentro, con un colpo di tacco
chiudevamo la porta e:
“Ce vuttavamo
ncuollo, a chello che vene vene e, comme và a
fernì, s’arracconta!”
Per quanto mi
riguarda, io fui iniziato a questa pratica da
mio fratello Gino, grande mattatore delle estati
telesine, il quale, per ragione di parentela,
andò ben oltre il corso e mi chiuse
letteralmente dentro la cabina con una ragazza
indirizzandomi, prima di chiudere la porta, il
seguente avvertimento:
- Si jesce a ccà
dinto senza fà niente, t’abbotto ‘e mazzate!
Del resto la
stessa cosa avveniva sulle piste da ballo, con
la variante che anziché chiedere il pettine,
chiedevamo alle ragazze di venire a vedere le
luci psichedeliche sul viale del Cerro.
Queste erano più o
meno le cose che accadevano negli anni ruggenti,
“quanno Berta filava”, e queste ed altre
cose mi hanno ispirato il ritornello finale
dell’Inno a Telese:
Sarrà pecch’’è ‘o
paese addò sì nato,
Sarrà p’’o vaso
d’’a primma nnammurata,
Sarrà pe’ nu
ricordo d’’a primma giuventù,
ma ll’ammore pe’
Telese,
si te piglia, nun
te lassa cchiù.
Allego una foto
fornitami da mio fratello e che ritrae alcuni
dei giovani leoni della piscina telesina:
Dal primo in alto
a sx: Alfonso Bosco, Mimmo Follo, Gino Affinito,
Lenuccio Candela. Seduti: Fausto Marchioni e
Goffredo Macolino.
Ringrazio il mio amico Sergio Buttà per la
collaborazione.
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