Peppe 'a riccia - 22-02-03 - Riccardo Affinito

 

 

Chissà quanti ricordano che il primo “ pallaio “ a Telese fu realizzato verso la fine degli anni 40 nel cortile del palazzo che si trova “ ncopp’ ‘e curze “, che fu sede del Municipio e, successivamente della Scuola Media.

 

A realizzarlo fu Giuseppe Di Santo, meglio conosciuto con il soprannome di

“ Peppe ‘a riccia “, per il fatto che la mamma era una donna “ nzista “ ed aveva, per l’appunto, i capelli ricci.

 

Qualche anno più tardi ne realizzò un altro in uno spazio adiacente alla proprietà Liverini, collegato al “dopolavoro“ gestito da Eduardo Di Mezza.

 

Infine verso la fine degli anni 50 sempre lui realizzò, “ ncopp’ ‘e  pputechelle “, il famoso  campo Scialone che ha resistito fino alla fine degli anni 60.

 

Attraverso questi tre bocciodromi  si potrebbe raccontare la storia di Telese compresa tra gli anni 40 e 70, ma soprattutto si potrebbe raccontare un pezzo di vita della persona che li ha pensati, realizzati e vissuti, “Zi’ Peppe ‘a riccia”, appunto.

 

Lo ricordo come un uomo austero, autoritario, poco incline alla scherzo, dai modi e dal comportamento del “ capo “; e non c’è alcun dubbio che in quell’ambito, lui era il sovrano assoluto ed incontrastato;  basti pensare che i suoi compagni di gioco non si azzardavano mai ad effettuare una giocata senza il suo assenso.

 

Racchiudeva in se tre doti che ritengo fondamentali per il gioco delle bocce : la passione, l’abilità e la maestria.

 

La passione.

Solo una grande passione può indurti, “dint’ ‘a cuntrora”, a trascorrere  in mezzo al campo intere ore, prima per innaffiare, poi per passare il ferro ed infine per passare lo straccio, per la sola soddisfazione di poter rispondere, a chi gli chiedeva:

-         “ Zi’ Pè, comme è ‘o campo ?”

-         “ E’ una seta!!”

 

L’abilità.

Che si trattasse di accostare o di bocciare, non ricordo di avergli mai visto fallire un colpo, per non parlare poi “d’o patrone e sotto “, quel rituale che si svolgeva alla fine di ogni partita e che serviva a determinare chi doveva disporre della posta in gioco, che era rappresentata da una birra a testa. Tra di noi serpeggiava una massima che recitava così:

 

    -       “ Zi’ Peppe, quanno ‘a sbaglia, fa ‘o sotto”.

 

 

 

 

La maestria. 

Dispensava suggerimenti e consigli a tutti, sia per quanto riguarda la tecnica individuale che per quanto riguarda le strategie di gioco, alcuni dei quali sono ancora impressi nella mia memoria:

 

    -  “Guagliù, si vulite mettere ‘e palle vicino ‘o pallino, v’avite mettere c’ ‘o musso n’terra!”;

   -  “Guagliù, si vulite coglier’ ‘e palle, v’avite chià ncopp’ ‘e ddenocchie”;

   -  “Guagliù, ‘o campo  c’ ‘o sole và ‘e na manèra, e  c’ ‘a luna ‘e n’ata.

 

Tutte cose sacrosante.

 

Dunque la storia boccistica telesina è partita dalla fine degli anni quaranta da un cortile  “ ncopp’ ‘e  curze “,  ed è approdata recentemente nel magnifico bocciodromo realizzato in prossimità del campo sportivo.

 

Per realizzare opere del genere occorrono lavoro, impegno, passione e soprattutto una grande tradizione; e la tradizione bocciofila telesina ha un nome, anzi un nomignolo:                                      

                                                  “ Peppe ‘a riccia “.