L’episodio che vi
racconto è accaduto nelle Terme di Telese,
dint’’e
Goccioloni”, verso la fine degli anni
50.
Ero in compagnia
del mio amico Franco D’Angicco, al secolo Frank,
e stavamo spaparanzati al sole, ma con l’occhio
sempre vigile a scrutare quello che succedeva
intorno a noi.
In particolare
osservavamo una ragazza: avera più o meno la
nostra età e indossava un costume intero di
lanetta peraltro in disuso in quei tempi.
Prima di
proseguire nel racconto, per poter meglio far
comprendere quello che successe in seguito, è
necessario precisare che il fondo della piscina
Goccioloni è composto da sassi sferici levigati,
per consentire all’acqua di sorgere. Col tempo,
benché a quei tempi la piscina venisse pulita
accuratamente, sui sassi si depositava un po di
mamma d’acqua che li rendeva scivolosi.
All’intrasatte
la ragazza si alzò e si tuffò in
acqua, dando, come si dice in gergo, na’
bella panzata. Nuotando, restò con la testa
sotto finché riuscì a resistere. Quando tentò di
riemergere, scivolò e andò con la testa sotto
un’altra volta.
Presa dal panico,
tentava continuamente di riemergere ma
continuava a scivolare e a finire sott’acqua. Un
po allarmato il mio amico mi disse : Vuó vedé
ca chesta anneja dint’’a mmiezu metro ‘e acqua?
E così ci tuffammo per andarle in soccorso.
Il
fatto è che a causa di quel continuo entrare e
uscire dall’acqua, le si era abbassata una
spallina del costume e, in pratica,
ll’era asciuta na’ zizza ‘a fore.
Quando la
raggiungemmo lei era completamente in preda al
panico e, la prima cosa che fece, gettò le
braccia attorno al collo di Franco
avvinghiandosi con le gambe attorno alla sua
vita.In questa maniera, per una semplice ragione
anatomica, la parte scoperta della ragazza venne
a trovarsi sulla faccia del mio amico.
E’ incredibile
come anche in momenti difficili, la mente va per
conto suo e, a quella età, sempre da una parte.
Sarà che in realtà non avevo mai pensato che
quella ragazza potesse veramente affogare
dint’’e Goccioloni, fatto sta che la prima
cosa che pensai fu:
- Pecché nun songo
arrivato primm’io, accussì sta’ sciorta m’attuccava
a mme!?
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Anche questo
episodio avvenne più o meno nello stesso
periodo.
Ritornavo dalle
Terme percorrendo Via Marcarelli, oggi Via
Cristoforo Colombo. Qualche metro più avanti,
camminava un ragazzo che conoscevo, di un paio
d’anni più grande di me, del quale non ricordo
il nome.
Nel frattempo
sopraggiunse un altro ragazzo su una bicicletta,
un bell’imbusto che appena riconobbe chi mi
camminava davanti, si catapultò dalla bicicletta
e raggiuntolo, cominciò a picchiarlo a tutto
spiano. Pare che tra i due ci fosse un problema
di donne.
Per descrivere al
meglio la scena che si sviluppò, ho preso in
prestito una strofa de - Lo Guarracino - una
canzone anonima napoletana del 1768:
<Tu mme lieve la
nnammorata,
e pigliatella sta
mazziata>
Tuffete e taffete
a miliune,
lle deva paccare a
secazzune,
schiaffe, ponie e
perepesse,
scoppolune,
fecozze e connesse,
scerevecchiune e
sicutennosse,
e l’ammacca osse e
pilosse.
Corsi in soccorso
del malcapitato e, dopo breve colluttazione,
riuscii a sottrarlo dalle grinfie
dell’assalitore il quale, rimontò sulla
bicicletta e allontanandosi gli strillò:
-
E chesto è niente,
‘e vedé quanno t’acchiappo!!
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Mentre ce stavamo facevamo nu’ tressettiello
annanz’’o bar ‘e Clevenice,
passò dentro una FIAT 1100 un signore di
Cerreto che, di professione, faceva il
trasportatore.
Lo conoscevo
perché a quei tempi lavoravo presso una ditta di
Cerreto Sannita che produceva laterizi e quella
persona, insieme al fratello, si occupava
dell’approvvigionamento del carbone che serviva
per cuocere i laterizi.
Alti ambedue oltre
il metro e ottanta, avevano una stazza che
incuteva timore solo a guardarli.
All’improvviso
sopraggiunse l’unico taxi di Telese, (dopo lo
storico taxi FIAT 1400 Diesel ‘e Ntonio
Monti) che bloccò la 1100 del trasportatore
Cerretese mettendoglisi davanti di traverso.
Si catapultò dal
taxi e si avventò contro il 1100 gridando:
-
Arape nu’ poco stu’
finestrino, ca t’aggia parlà nu’ poco!
Appena
quest’ultimo l’ebbe tirato giù, abbiaje a
lle vuttà cazzotti addó coglio-coglio pè dint’’o
finestrino. Sorpreso e incuriosito, quel
signore ‘o guardava ‘a capa a piede e ‘a
piede a capa e mentre s’’o squadrava,
sembrava pensare quella famosa frase del grande
Totò:
-
I’ penzavo tra me
e mme, chi sa questo stupido dove vuole
arrivare? –
Dopodiché, diede una spallatina allo sportello
della sua auto e uscì, non senza fatica data la
sua mole. Mani ai fianchi si parò davanti al
proprietario del taxi
che era sicco-sicco comm’’a nu’ chiuovo e àuto
massimo nu metre e cinquantacinque. Parevano
Davide contro ‘o gigante Golìa.
-
I’
penzavo: Mamma d’’o Carmine, chisto mó lle
chiava nu’ par’’e cazzotti ncapa e ‘o ‘ncasa
sano-sano dint’’asfalto!
-
E invece l’autista
di Cerreto, dopo avergli dato un’ultima occhiata
indagatrice, sconsolato gli chiese:
-
Dimme na’ cosa… i’
mó… secondo te… addó t’avessa vàttere!? –
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