Dopo aver letto il bellissimo quadretto del
Natale tradizionale in Casa Forlani, mi
sono chiesto: com'era invece il Natale in
Casa Del Deo? Non tradizionale, ovviamente,
almeno secondo la comune concezione della
tradizione natalizia; ma comunque
"tradizionalissimo", secondo la particolare
tradizione laica di famiglia.
Uhm, ora cerco di ricordare... una città
bagnata dietro vetri perennemente appannati
e più giù il mare agitato nel porto.
Raramente, il cappuccio bianco sul Vesuvio.
In casa, l'odore untuoso della stufa a
kerosene.
Ecco! Poi mi viene in mente la mamma che, in
quanto maestra, prendeva le ferie pari pari
con noi bambini; questo faceva sì che in
casa in quei giorni si respirasse
un'atmosfera rilassata e di totale disordine
che ricordava l'estate, con la differenza
che era inverno. Ci svegliavamo tardi,
andavamo a letto tardi, giocavamo spaziando
in un tempo che sembrava infinito,
aspettando con ansia i nuovi giochi che
sarebbero arrivati solo il 6 gennaio, con la
Befana. Babbo Natale da noi non esisteva,
era roba da film; al massimo, parlavamo di
un certo Papà Natale, come di una specie di
sciacquino della Befana. Essendo cinque
figli con una differenza di nove anni, era
piuttosto scontato che la più piccina fosse
a conoscenza del trucco fin dalla più tenera
età. Ovviamente, stava lo stesso al gioco
per paura che la magia potesse svanire e
portar via i regali.
L'ALBERO
In genere si comprava quello con le
radici, con la vana speranza che
sopravvivesse, illudendosi di farlo
diventare bello e gigantesco, da tenere
su in terrazza. L'addobbo avveniva con
la chiusura delle scuole ed era un
momento di creatività collettiva,
nonché di numerose schegge di vetro sul
pavimento. Mio padre era addetto
all'illuminazione: all'epoca si
compravano i pisellini colorati, il filo
verde sottile e il nastro isolante dello
stesso colore. Le serie si
confezionavano in casa e, quando si
trattava di elettricità, a me piaceva
molto aiutare.
All'età di cinque anni, la mia sorellina
più piccola disegnò un bell'albero di
Natale e sul retro compose
un'interminabile poesia che fece crepare
dal ridere tutti noi. Cominciava così:
Natale Natalino / non rompere le palle /
se no poi sull'albero / che ci mettiamo?
Inutile dire che col passare dei
giorni il povero albero si faceva sempre
più spoglio, sia per gli aghi che
andavano seccandosi al calore della
casa, sia per le numerose cadute di
palline dai rami più bassi, a portata
delle piccole mani nostre e delle zampe
dei gatti sempre più numerosi.
IL PRESEPE
Ricordo solo un presepe, fatto di colla
di farina e carta di giornale, tinto con
la terra d'ombra e ricoperto di muschio
vero. Un paesaggio tipicamente nostrano
modellato da mio padre con "l'aiuto di
noi maschi"; un Vomero antico direi, con
tanto di torrente e grotta nel tufo. Io
ci avrei messo anche il mio trenino
scala N... Alcuni dei pastori erano
bellissimi, in terracotta, forse
dell'epoca in cui noi 5 distruttori
ancora non eravamo venuti al mondo. Il
Bambinello, che noi chiamavamo
Gesubbambino, era invece un po' misero e
in plastica, era tutt'uno con la
mangiatoia e veniva piazzato lì fin dal
principio. Solo da grande ho scoperto
che c'è chi lo mette a mezzanotte del
25. C'era poi un pastore che
dormicchiava, che io pensavo fosse
ritardato mentale, di nome "Benino". In
seguito, ho scoperto che in altre case
si chiamava Benito, ma da noi quel nome
maledetto non veniva mai pronunciato. Da
piccoli, per dire "Mussolini" o
"fascista", avevamo inventato un termine
onomatopeico che riproduceva il suono
dello scaracchio: "craippù".
Le più belle comunque erano le pecore
che, essendo di plastica, potevano
pascolare col nostro aiuto per tutta la
casa liberamente e senza pericolo .
IL NATALE
Da noi "Natale" non era un giorno o una
sera in particolare, era un intero
periodo, un po' come l'estate.
Sicuramente in quei giorni mia madre
(proprio come in estate) si divertiva a
cucinare cose particolari, avendo tutto
il tempo a disposizione. Ricordo i
ravioli a cui collaboravamo un po'
tutti, chi tagliando cerchi di pasta col
bicchiere; chi mettendo il ripieno di
ricotta, uovo, parmigiano, prezzemolo e
pepe; chi aggiungendo il pezzettino di
mozzarella; chi chiudendo dopo aver
bagnato il bordo con un po' d'acqua; chi
rifinendo la chiusura, merlettando il
bordo con la forchetta.
Solo in seguito ho scoperto che a Natale
nelle altre famiglie (che noi bambini
chiamavamo "laggente") si faceva il
cenone, proprio come nelle commedie di
Eduardo, rimanendo praticamente digiuni
fino a sera. A me sembrava un'usanza
demenziale.
|
«Ma non siete di Napoli?»
era la domanda che
"laggente" più
frequentemente ci poneva,
non solo quando eravamo
bambini, ma anche in
seguito. La cosa buffa è che
fra quelli che conosco sono
uno dei più napoletano di
tutti, essendo uno dei pochi
a poter contare 4 nonni su 4
nati a Napoli (tutti intorno
alla fine dell'Ottocento),
nonché la maggioranza dei
bisnonni.
Da piccoli eravamo soliti
suddividere "laggente" in:
"eleganti", quelli che se la
pensano da schifo, con la
puzza sotto al naso;
"diseleganti", quelli alla
mano, simpatici con cui ci
si può avere a che fare.
Avevamo un vocabolario tutto
nostro, talmente ricco da
permetterci di parlare
liberamente fra di noi senza
farci capire dagli estranei.
Solo agli amici veri
insegnavamo la nostra
lingua. Tutt'oggi è
bellissimo incontrarli dopo
anni e anni e accorgerci
chiacchierando di usare di
nuovo quei termini. |
Succedeva che qualche compagno di scuola
passava da noi il 24 in preda ai morsi
della fame, con la gioia di mia madre
che amava aggiungere posti a tavola: e
più confusione c'è, meglio è. Così,
pranzando insieme a lui, ci facevamo
raccontare il menù della serata, con
pietanze che i miei genitori conoscevano
già, ma che noi ragazzi non avevamo mai
sentito nominare. Quella che mi faceva
schiattare dalle risate era "l'insalata
di rinforzo", perché mi dava l'idea che
a un certo punto ci volessero i rinforzi
militari per buttare giù tutta quella
roba nello stomaco... L'idea di mangiare
serpenti invece mi faceva schifo e mi fa
schifo tutt'oggi. Il capitone!
|
In qualunque giorno
dell'anno, per far felice
mia madre bastava portarle a
casa qualcuno che a lei
sembrasse affamato; subito
lo metteva a mangiare. Non
importava che fossero le più
scalcagnate fra le prime
turiste spagnole del
post-franco che sulle
spiagge italiane s'erano
beccate una micosi integrale
invece della tintarella
integrale; non faceva nulla
se si trattava di un profugo
che non si lavava da un
mese, in fuga dalla
dittatura argentina con in
tasca solo la foto-tessera
di una ragazza bellissima e
nel cuore la preoccupazione
del dolore della sua mamma;
non andava a indagare su
come fosse di nuovo qui da
noi per l'ennesima volta
quel ragazzo di Budapest che
scavalcava la cortina
d'acciaio a Gorizia, per
venire a passeggiare nella
Napoli degli Anni di Piombo
con la polizia inferocita a
ogni angolo, e che si
permetteva anche di
protestare, fra le nostre
risate, dei piatti troppo
abbondanti, in mutande e a
torso nudo: «Signora, io
troppi shpagheti, poi io
fare shkifo!», mettendo in
evidenza fra pollice e
indice un piccolo rotolino
di grasso che gli era
spuntato sui fianchi... |
Non prima dei 10 anni, credo, scoprii
che a mezzanotte, mentre io già ero
int'o meglio d'o suonno, c'era una
moltitudine che pregava nelle chiese.
Mamma mia, uscire con quel freddo! Brr!
Anche i bambini! E perché poi? Il Natale
non è la festa per stare in famiglia?
Uhm, giusto... povero il prete che non
ha famiglia! Davvero un bel pensierino
andare da lui per tenergli compagnia...
bravi, fate così. Ma stonco meglio io
int'o lietto!
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Con noi viveva anche una zia
di mia madre, classe 1888.
Morta nel 1970. Non diceva
una sola parola in Italiano.
Parlava un Napoletano che
ormai non si sente più da
nessuna parte, ricchissimo e
raffinato. Con le sorelle e
i fratelli parlava invece in
Maltese, la seconda lingua
della sua famiglia, godendo
del fatto che noi non
potevamo capirla. Parlava
Maltese anche con zio
Fernando, classe 1900,
rimasto scapolo fino a 72
anni, quando ha sposato una
cinquantenne. Colgo
l'occasione per descriverlo,
perché ne vale. Essendo nato
alla Valletta, era cittadino
britannico di Sua Maestà la
Regina Elisabetta, e tale si
sentiva fin nelle ossa.
Andava in giro in bombetta e
ombrello, o col bastone da
passeggio quando c'era il
sole. Portava scarpe di due
colori, crema e marrone
chiaro, e calzini tenuti su
con le giarrettiere. Era
orafo e viaggiava spesso
alla ricerca di pietre
preziose. Un salutista
ottocentesco incredibile, ma
aperto alle innovazioni:
infatti, si fregava
puntualmente le nostre
vitamine Protovit; e, per
sfotterlo, noi facevamo la
spia alla mamma. Finché era
scapolo, era spesso a pranzo
da noi. Quando c'era pesce,
inforcava degli occhialini
tondi per vedere bene le
spine. Dopo il caffè, andava
a fare la pennichella nella
camera di sua sorella. Noi
lo spiavamo attraverso i
buchi della persiana
socchiusa dalla finestra che
dava su un unico lungo
balcone della casa, per
vedere i suoi mutandoni di
lana da vero salutista e
soprattutto per quei
buffissimi reggicalze!
Puntualmente, sentendo le
nostre risate, faceva finta
di arrabbiarsi e chiamava
sua sorella affinché
intervenisse col battipanni. |
La vera festa chiassosa era Capodanno,
con le bollicine dello spumante che mi
uscivano dagli occhi e la testa che
girava... La valanga di fuoco colorato
che scorreva dai balconi di fronte, dai
palazzi dei nuovi ricchi a viale
Raffaello... il rumore assordante, i
boati, i fischi... l'odore acre che
raspava la gola... e le nostre
piccolissime stelline e girandole.
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Una curiosità
Il giorno 25 del mese
ebraico di kislev (che
coincide pressappoco con il
mese di dicembre) inizia una
festa detta Hanukkà, che
vuol dire "inaugurazione".
Dura 8 giorni e ogni sera si
accende una lucina in più e
ogni sera si fa un regalino
ai bambini.
Il giorno 25 del mese di
dicembre (che coincide
pressappoco con il mese di
kislev) inizia una festa
detta Natale, che vuol dire
"nascita". Si accendono
molte lucine e si fanno
molti regali ai bambini.
Dopo 8 giorni c'è l'Anno
Nuovo.
Può mai essere solo una
coincidenza? |
Il Natale negli anni del consumismo sfrenato
è diventato stupido e pacchiano. I regali,
che una volta erano destinati solo ai
bambini da parte dei loro genitori (o al
massimo da parte dei nonni), sono diventati
un obbligo: regali a tutti da parte di
tutti, compresi quelli che si stanno
vicendevolmente sulle palle. I bambini hanno
imparato a scroccare da far paura facendo
leva sui sensi di colpa dei genitori che per
tutto l'anno hanno avuto sempre troppo da
fare, per poter pensare a loro.
C'è chi dice che quest'anno si sta
riscoprendo il lato religioso della festa.
Allora bisogna ringraziare l'economia che va
a rotoli. Su un muro a Napoli c'era una
delle mille scritte "by President" che
diceva: «Dateci più tasse per farci sognare
di più!»
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Al ritorno a scuola dalle ferie
natalizie, arrivava puntuale
come una cambiale il temino su
"come hai passato le feste?"
Ogni anno era la solita solfa e
io non sapevo che cavolo
inventarmi, visto che il nostro
natale non aveva nulla in comune
con quelle descrizioni
stucchevoli che facevano
all'epoca sui libri di testo.
Così mettevo insieme tutti i
luoghi comuni che conoscevo e
sfornavo l'opera... Eccone un
pezzetto del 1969.

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Fulvio Del Deo
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