Su Repubblica del 12 dicembre a
pagina 11 è apparsa un'intervista a
Fausto Bertinotti in visita in Cina.
(nel riquadro in basso, allego
l'intero articolo).
Il giornalista chiede conto al
segretario del PRC ragguagli sulla
situazione dei diritti umani. E lui
che cosa risponde?
«No, non li rispettano.
Io non ci vivrei in un Paese così.
Ma non dipende dal tipo di regime ma
dalla dipendenza dal mercato
capitalistico».
Ah, questa è bella! A parte lo
scempio della grammatica, il
furbacchione vuol farci credere
che ai tempi di Mao, quando il
capitalismo non si sognava neanche
di sfiorare la Cina, erano tutte
rose e fiori.
Caro Faustino, questa sciocchezza
valla a raccontare a qualcun altro,
ccà nisciuno è fesso! Ma
ti sei accorto che in Italia non
siamo più tutti poveri e ignoranti,
che ormai sappiamo leggere e
documentarci? E sappiamo bene quel
che accadeva in Cina prima
dell'avvento del capitalismo
("mostro" da te tanto odiato). E
sappiamo che le cose andavano molto
peggio di oggi. Hai mai sentito
parlare di Rivoluzione
Culturale? quella
cosa orrenda che stravolse la
società cinese devastandola,
compromettendone irrimediabilmente i
rapporti umani e l'equilibrio
psichico generale; quella sorta di
alveare umano in cui l'individuo non
contava più nulla, se non come
cellula di un unico immenso
organismo; quella prigione a cielo
aperto dove anche la denuncia di un
figlio di 5 anni poteva mandare al
patibolo i genitori per
"comportamento
antirivoluzionario". Neanche George
Orwell nei suoi peggiori incubi ha
saputo immaginare nulla di simile!
«Non dipende dal regime»
e già, ma ci hai presi
proprio per cretini? E
allora spiegami come mai in tutti i
Paesi che avevano un regime come
quello della Cina accadeva suppergiù
la stessa cosa? E dimmi, carino,
cosa succede tutt'oggi a Cuba,
paradiso caraibico non ancora
ammorbato dal "mostro capitalista"?
Lì c'è rispetto dei dirittti
umani? Tu ti diverti a parlare delle
prigioni USA a Guantanamo, ma hai
mai dato un'occhiata ai GULAG del
regime castrista?
«Ma mi faccia il piacere!»,
direbbe Totò.
Poi, il nostro frizzante uomo
politico s'è fatto coraggio e ha
posto una domanda imbarazzante al
numero quattro del regime, Jia
Qinglin:
«Se davvero, come dite,
ponete al centro il valore
dell’uomo, perché voi e gli Stati
Uniti non rinunciate alla pena
di morte?»
A questo punto il
signor Qinglin avrà pensato: ma
questo ci fa o ci è? E' davvero così
sprovveduto da credere che si possa
porre al centro il valore dell'uomo
a discapito del Partito?
Così, il povero Bertinotti si dice
sorpreso:
«Niente. Sempre
sorridente, gentilissimo. Si è
confrontato su tutto il resto ma
quella domanda è come se non fosse
mai esistita, come se non l’avessi
mai formulata».
Ma non lo sapevi che in tutti i
regimi comunisti c'è stata sempre la
pena di morte? O te l'eri scordato?
Nessuno faceva eccezione,
sai? nemmeno la pacifica e
civilissima Ungheria. Non te lo
ricordi più? La vecchiaia fa brutti
scherzi, eh!
In Cina la pena di morte c'è
e non si tocca. In Cina non
c'è un vero processo prima
dell'esecuzione capitale:
dall'arresto alla condanna, a volte
passano poche ore. I processi sono
semplici farse e diritti per
l'imputato non ci sono; quelli che
per noi sono "diritti sacrosanti" lì
non esistono, per legge. Tra
la condanna del tribunale e
l'esecuzione capitale passano pochi
giorni, al massimo una settimana.
Non dirmi che non lo sapevi!
Infine, il nostro prode Fausto ha
fatto una gita in campagna e, giusto
in quel momento, è avvenuta la
strage di contadini che protestavano
contro gli espropri forzati.
«Il potere costituito è
così dappertutto. La stessa
repressione contro i manifestanti
anti-Tav, contro le proteste per le
centrali nucleari in Francia o gli
inceneritori nel sud d’Italia».
La stessa repressione????
Certo, davvero la stessa! Come no!
Nella protesta anti-TAV la
repressione è stata talmente
violenta che ha mandato all'ospedale
anche un bel numero di carabinieri e
poliziotti!
Vi
confesso che sono profondamente
avvilito dalla presenza nella
Sinistra italiana di persone come
queste. Ogni loro uscita, ogni loro
iniziativa, ogni loro mossa mi
lascia davvero disgustato.
Come si fa a pensare di andare a
votare, quando nell'unica coalizione
a cui vorresti dare il tuo voto c'è
gente così?
-
Gente come Fausto Bertinotti,
artefice della caduta del primo
governo di sinistra in Italia.
-
Gente come Gianluca Aceto
che chiede ai webmaster di
ViviTelese di censurare i miei
interventi.
-
Gente come Mauro Bertini
che cancella i Carabinieri morti
a Nassiriya e innalza a eroe
Arafat.
-
Gente come Gianluca Serafini che
si indigna per un montaggio
fotografico, ma trova del
tutto benfatto lo scempio di
verità e giustizia operato
sistematicamente dal suo caro
Manifesto.
-
Gente che manifesta
continuamente per la pace, ma si
sente solidale con la cosiddetta
"resistenza irachena" fatta di
rapitori, tagliagole e
terroristi suicidi che fanno
morti ogni giorno.
-
Gente che si dice antirazzista,
ma se dovesse essere costretta a
muovere un dito in difesa degli
Ebrei, lo farebbe solo per
cavargli un occhio.
Per
la Destra non voterei perché sarebbe
contrario ai miei ideali; ma come
faccio a pensare di andare a votare
per la Sinistra alle prossime
elezioni, sapendo che il mio
voto andrebbe a finire nello stesso
calderone di questi personaggi?
Fulvio Del Deo
La visita
Il segretario
del Prc:
“La penadi morte
è un tabù”
Bertinotti a
Pechino
“È
la violenza del
potere”
DAL NOSTRO
INVIATO
UMBERTO
ROSSO
LUOYANG
—
«Sparano contro
la gente che
protesta.
Inammissibile.
Però la Cina non
è sola
nell’orrore, la
faccia del
potere è uguale
in tutto il
mondo. Perfino
da noi, al G8 di
Genova».
Lasciandosi alle
spalle Pechino
per entrare
nella Cina meno
battuta e più
profonda, non
cambia la via
crucis di
Bertinotti nella
frontiera del
socialismo che
non c’epiu.
Diritti umani?
«No, non li
rispettano. Io
non ci vivrei in
un Paese così.
Ma non dipende
dal tipo di
regime ma dalla
dipendenza dal
mercato
capitalistico».
Ha lasciato
dunque a
Pechino, nella
nuova città
proibita dei
capi del
partito, una
domanda senza
risposta. Tema
drammatico, la
pena di morte.
Quella di Stato.
Davanti al
numero quattro
del regime, Jia
Qinglin, che lo
riceve nel
palazzo
dell’Assemblea del
Popolo,
Bertinotti la
questione
l’aveva
sollevata.
Mettendola così,
sotto forma di
domanda: «Se
davvero, come
dite, ponete al
centro il valore
dell’uomo,
perché voi e gli
Stati Uniti non
rinunciate
alla pena di
morte?. E resta
lì sospesa.
Nall'indifferenza
assoluta di Jia,
potente
exsindaco di
Pechino. Il
segretario è
rimasto
sconcertato.
«Niente. Sempre
sorridente,
gentilissimo. Si
è confrontato su
tutto il resto
ma quella
domanda è come
se non fosse mai
esistita, come
se non l’avessi
mai formulata».
Perché, ragiona
Bertinotti, la
questione della
pena di morte
«non deve
entrare
nell’agenda
politica del Pcc,
a sfiorare
appena
l’argomento può
scatenarsi uno
scontro interno
nel partito». Ma
700 chilometri
più ad sud,
nella regione di
Henan, dove il
segretario del
Prc vola per
vedere la Cina
più interna e
più agricola, il
fantasma si
ripresenta.
Sotto forme di
notizie
drammatiche che
filtrano da
Dongzhou. La
pena di morte.
Stavolta quella
inflitta per
strada ai
contadini
espropriati
delle terre per
la centrale
elettrica. Una
provincia come
questa che
Bertinotti sta
girando,
campagne e
fatica. Condanna
dura
dell’aggressione,
«e non basta
rimuovere il
capo della
Polizia locale».
«Il potere
costituito è
così
dappertutto. La
stessa
repressione
contro i
manifestanti
anti-Tav, contro
le proteste per
le centrali
nucleari in
Francia o gli
inceneritori nel
sud d’Italia».
Solo che lì
l’uso così
violento della
forza è
l’eccezione, «in
Cina è la regola
usare i fucili
della polizia
contro le
manifestazioni».
Cerchiobottista?
«La mia condanna
sui diritti
negati è chiara.
Ma questo paese
è una bestia
difficile, alle
prese con una
gigantesca sfida
al
sottosviluppo».
Che chiede
allora
Bertinotti alla
nomenklatura di
Pechino?
«Legittimare il
conflitto,
riconoscere i
contrasti». Ma
con un sindacato
che non conosce
lo sciopero e i
contratti di
lavoro e invoca
«l’armonia» fra
imprenditori e
operai, come gli
hanno spiegato i
suoi «colleghi»
cinesi, è una
strada che si
perde
all’orizzonte.
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