13 dicembre 2005
Bertinotti, ma mi faccia il piacere!
Fulvio Del Deo

 

 

Su Repubblica del 12 dicembre a pagina 11 è apparsa un'intervista a Fausto Bertinotti in visita in Cina.
(nel riquadro in basso, allego l'intero articolo).
 
 
 
Il giornalista chiede conto al segretario del PRC ragguagli sulla situazione dei diritti umani. E lui che cosa risponde? 
 
«No, non li rispettano. Io non ci vivrei in un Paese così. Ma non dipende dal tipo di regime ma dalla dipendenza dal mercato capitalistico».
 
 
Ah, questa è bella! A parte lo scempio della grammatica, il furbacchione vuol farci credere che ai tempi di Mao, quando il capitalismo non si sognava neanche di sfiorare la Cina, erano tutte rose e fiori.
 
 
Caro Faustino, questa sciocchezza valla a raccontare a qualcun altro, ccà nisciuno è fesso! Ma ti sei accorto che in Italia non siamo più tutti poveri e ignoranti, che ormai sappiamo leggere e documentarci? E sappiamo bene quel che accadeva in Cina prima dell'avvento del capitalismo ("mostro" da te tanto odiato). E sappiamo che le cose andavano molto peggio di oggi. Hai mai sentito parlare di Rivoluzione Culturale? quella cosa orrenda che stravolse la società cinese devastandola, compromettendone irrimediabilmente i rapporti umani e l'equilibrio psichico generale; quella sorta di alveare umano in cui l'individuo non contava più nulla, se non come cellula di un unico immenso organismo; quella prigione a cielo aperto dove anche la denuncia di un figlio di 5 anni poteva mandare al patibolo i genitori per "comportamento antirivoluzionario". Neanche George Orwell nei suoi peggiori incubi ha saputo immaginare nulla di simile!
 
 
«Non dipende dal regime» e già, ma ci hai presi proprio per cretini? E allora spiegami come mai in tutti i Paesi che avevano un regime come quello della Cina accadeva suppergiù la stessa cosa? E dimmi, carino, cosa succede tutt'oggi a Cuba, paradiso caraibico non ancora ammorbato dal "mostro capitalista"? Lì c'è rispetto dei dirittti umani? Tu ti diverti a parlare delle prigioni USA a Guantanamo, ma hai mai dato un'occhiata ai GULAG del regime castrista?
«Ma mi faccia il piacere!», direbbe Totò.
 
 
Poi, il nostro frizzante uomo politico s'è fatto coraggio e ha posto una domanda imbarazzante al numero quattro del regime, Jia Qinglin:
 
«Se davvero, come dite, ponete al centro il valore dell’uomo, perché voi e gli Stati Uniti non rinunciate alla pena di morte?»
 
 
A questo punto il signor Qinglin avrà pensato: ma questo ci fa o ci è? E' davvero così sprovveduto da credere che si possa porre al centro il valore dell'uomo a discapito del Partito?
 
Così, il povero Bertinotti si dice sorpreso:
 
«Niente. Sempre sorridente, gentilissimo. Si è confrontato su tutto il resto ma quella domanda è come se non fosse mai esistita, come se non l’avessi mai formulata».
 
 
Ma non lo sapevi che in tutti i regimi comunisti c'è stata sempre la pena di morte? O te l'eri scordato? Nessuno faceva eccezione, sai? nemmeno la pacifica e civilissima Ungheria. Non te lo ricordi più? La vecchiaia fa brutti scherzi, eh!
 
In Cina la pena di morte c'è e non si tocca. In Cina non c'è un vero processo prima dell'esecuzione capitale: dall'arresto alla condanna, a volte passano poche ore. I processi sono semplici farse e diritti per l'imputato non ci sono; quelli che per noi sono "diritti sacrosanti" lì non esistono, per legge. Tra la condanna del tribunale e l'esecuzione capitale passano pochi giorni, al massimo una settimana.
Non dirmi che non lo sapevi!
 
 
Infine, il nostro prode Fausto ha fatto una gita in campagna e, giusto in quel momento, è avvenuta la strage di contadini che protestavano contro gli espropri forzati.
 
 
«Il potere costituito è così dappertutto. La stessa repressione contro i manifestanti anti-Tav, contro le proteste per le centrali nucleari in Francia o gli inceneritori nel sud d’Italia».
 
 
La stessa repressione???? Certo, davvero la stessa! Come no! Nella protesta anti-TAV la repressione è stata talmente violenta che ha mandato all'ospedale anche un bel numero di carabinieri e poliziotti!
 
 

 
Vi confesso che sono profondamente avvilito dalla presenza nella Sinistra italiana di persone come queste. Ogni loro uscita, ogni loro iniziativa, ogni loro mossa mi lascia davvero disgustato. Come si fa a pensare di andare a votare, quando nell'unica coalizione a cui vorresti dare il tuo voto c'è gente così?
  • Gente come Fausto Bertinotti, artefice della caduta del primo governo di sinistra in Italia.
  • Gente come Gianluca Aceto che chiede ai webmaster di ViviTelese di censurare i miei interventi.
  • Gente come Mauro Bertini che cancella i Carabinieri morti a Nassiriya e innalza a eroe Arafat.
  • Gente come Gianluca Serafini che si indigna per un montaggio fotografico, ma trova del tutto benfatto lo scempio di verità e giustizia operato sistematicamente dal suo caro Manifesto.
  • Gente che manifesta continuamente per la pace, ma si sente solidale con la cosiddetta "resistenza irachena" fatta di rapitori, tagliagole e terroristi suicidi che fanno morti ogni giorno.
  • Gente che si dice antirazzista, ma se dovesse essere costretta a muovere un dito in difesa degli Ebrei, lo farebbe solo per cavargli un occhio.
Per la Destra non voterei perché sarebbe contrario ai miei ideali; ma come faccio a pensare di andare a votare per la Sinistra alle prossime elezioni, sapendo che il mio voto andrebbe a finire nello stesso calderone di questi personaggi?
 
 
Fulvio Del Deo
 

 
 
La visita
Il segretario del Prc: “La penadi morte è un tabù”

 
Bertinotti a Pechino
“È la violenza del potere”
DAL NOSTRO INVIATO
UMBERTO ROSSO
 
 
LUOYANG «Sparano contro la gente che protesta. Inammissibile. Però la Cina non è sola nell’orrore, la faccia del potere è uguale in tutto il mondo. Perfino da noi, al G8 di Genova». Lasciandosi alle spalle Pechino per entrare nella Cina meno battuta e più profonda, non cambia la via crucis di Bertinotti nella frontiera del socialismo che non c’epiu. Diritti umani? «No, non li rispettano. Io non ci vivrei in un Paese così. Ma non dipende dal tipo di regime ma dalla dipendenza dal mercato capitalistico». Ha lasciato dunque a Pechino, nella nuova città proibita dei capi del partito, una domanda senza risposta. Tema drammatico, la pena di morte. Quella di Stato. Davanti al numero quattro del regime, Jia Qinglin, che lo riceve nel palazzo dell’Assemblea del Popolo, Bertinotti la questione l’aveva sollevata. Mettendola così, sotto forma di domanda: «Se davvero, come dite, ponete al centro il valore dell’uomo, perché voi e gli Stati Uniti non rinunciate alla pena di morte?. E resta lì sospesa. Nall'indifferenza assoluta di Jia, potente exsindaco di Pechino. Il segretario è rimasto sconcertato. «Niente. Sempre sorridente, gentilissimo. Si è confrontato su tutto il resto ma quella domanda è come se non fosse mai esistita, come se non l’avessi mai formulata». Perché, ragiona Bertinotti, la questione della pena di morte «non deve entrare nell’agenda politica del Pcc, a sfiorare appena l’argomento può scatenarsi uno scontro interno nel partito». Ma 700 chilometri più ad sud, nella regione di Henan, dove il segretario del Prc vola per vedere la Cina più interna e più agricola, il fantasma si ripresenta. Sotto forme di notizie drammatiche che filtrano da Dongzhou. La pena di morte. Stavolta quella inflitta per strada ai contadini espropriati delle terre per la centrale elettrica. Una provincia come questa che Bertinotti sta girando, campagne e fatica. Condanna dura dell’aggressione, «e non basta rimuovere il capo della Polizia locale». «Il potere costituito è così dappertutto. La stessa repressione contro i manifestanti anti-Tav, contro le proteste per le centrali nucleari in Francia o gli inceneritori nel sud d’Italia». Solo che lì l’uso così violento della forza è l’eccezione, «in Cina è la regola usare i fucili della polizia contro le manifestazioni». Cerchiobottista? «La mia condanna sui diritti negati è chiara. Ma questo paese è una bestia difficile, alle prese con una gigantesca sfida al sottosviluppo». Che chiede allora Bertinotti alla nomenklatura di Pechino? «Legittimare il conflitto, riconoscere i contrasti». Ma con un sindacato che non conosce lo sciopero e i contratti di lavoro e invoca «l’armonia» fra imprenditori e operai, come gli hanno spiegato i suoi «colleghi» cinesi, è una strada che si perde all’orizzonte.
 

 

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