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In uno dei miei precedenti
interventi (Uno
strano esodo di Ferragosto)
chiedevo: "Ma chi sono
questi Palestinesi cui
riserviamo sempre un
trattamento di favore
nonostante abbiano infestato
il pianeta coi peggiori
terroristi, tra i quali
anche il capo di Al Qaeda in
Iraq, Al Zarqawi?"
|
Attraverso le pagine di
questo sito, proverò
oggi a dare una
risposta. Con questa,
non ho alcuna
presunzione di
esaustività, ma spero
serva almeno a far
vacillare qualcuna delle
troppe certezze, presso
cui non di rado si
annidano i pregiudizi.
Ovviamente eviterò di
scivolare in facili
generalizzazioni,
conscio del fatto che
ogni essere umano è un
individuo a sé con la
sua storia e le sue
esperienze. Scacciare
pregiudizi alimentandone
degli altri è ben lungi
dalle mie intenzioni e
dal mio modo di essere.
Per cominciare, è
necessario ricordare
che, prima
dell'indipendenza dello
Stato d'Israele (1948),
erano definiti
"Palestinesi" gli Ebrei
di quella regione,
mentre gli attuali
Palestinesi erano detti
semplicemente "Arabi".
Per arrivare all'uso
odierno del termine,
dobbiamo aspettare il
1967: da quella data in
poi, sono "Palestinesi"
i cittadini arabi della
Cisgiordania, quelli di
Gaza, la stragrande
maggioranza della
popolazione della
Giordania.
|
|
Etimologia
Il nome "Palestina"
deriva dal Greco "Phalaistine"
e sta a indicare la
terra dei "Filistei",
popolo indoeuropeo
proveniente dall'area
egeo-balcanica, che si
stabilì nel tratto
costiero da Gat a Gaza
all'inizio del secolo
XII a.C., fondando
cinque città sulle quali
dominò fino al VII
secolo a.C., quando
perse la sua
individualità politica
ed etnica, fondendosi
con altri popoli.
Il
nome Palestina fu
rispolverato dai Romani
molti secoli più
tardi quando,
dopo la repressione
della seconda rivolta
ebraica nel 135 d.C.,
rinominarono la terra
d'Israele provincia
romana di "Syria
Palestina"; alla
città di
Gerusalemme imposero il
nome di "Aelia
Capitolina" e fu
vietato agli Ebrei di
entrarvi,
allo scopo di cancellare
dalla regione ogni segno
della loro presenza. |
Brevi cenni storici
|
Caduto l'Impero
Ottomano, le regioni da
cui era composto
finirono sotto
l'amministrazione di
Potenze Mandatarie,
o furono colonizzate
dagli Stati europei. Nel
contempo, ciascun popolo
di quel variegato mondo
cercò l'indipendenza
nella creazione di un
proprio Stato nazionale.
Da ciò scaturì la
necessità di tracciare
nuove frontiere, il che
comportò in molti casi
lo spostamento di grandi
masse umane entro
confini che fino ad
allora non esistevano
(giusto per fare un
esempio, circa 6 milioni
di Greci furono
costretti a lasciare le
coste dell'Asia Minore.) |
|
Il Mandato Britannico di Palestina |
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Il
territorio
del
Mandato
Britannico
di
Palestina
era
suddiviso
in
due
parti
dal
corso
del
fiume
Giordano
che
sarebbe
dovuto
diventare
il
confine
fra
i
due
futuri
stati: |
|
Transjordan
Arab
Land
(Giordania),
con
popolazione
a
larga
maggioranza
araba,
oltre
che
beduina
ashemita; |
|
Palestine
Jewish
National
Home
(Israele),
con
popolazione
a
maggioranza
ebraica,
oltre
che
una
consistente
minoranza
araba,
beduina,
drusa,
circassa,
ecc.. |
|
|
 |
La suddivisione del
territorio di Palestina
fra Ebrei e Arabi
(figura in alto) non
avrebbe comportato
alcuno spostamento
umano, ma si sarebbe
limitata a inserire una
frontiera di Stato lungo
il corso del fiume
Giordano. La Storia ci
racconta che poi le cose
sono andate molto
diversamente. Il confine
della zona araba venne
spostato dagli Inglesi,
sotto ricatto
petrolifero, sempre più
verso il mare, fino ad
arrivare al piano di
spartizione proposto
dall'ONU nel 1947 che
proponeva uno Stato
ebraico minuscolo e
spezzettato in tre
tronconi, di cui il più
esteso formato dal
deserto del Neghev. Tale
suddivisione (figura a
lato) fu ugualmente
accettata dagli Ebrei,
senza riserve; però non
fu accettata dagli
Arabi, i quali non
soddisfatti di allargare
i propri confini ben
oltre il fiume Giordano,
pretendevano il possesso
dell'intera regione.
|
Spesso si parla
della Palestina come
di una terra fertile
strappata a un
popolo arabo che
viveva lì felice da
secoli. In realtà,
le cose stavano ben
diversamente: sotto
l'Impero Ottomano
(1517-1917), molti
di quelli che oggi
sono fertili campi
d'Israele erano
desolati latifondi
incolti, spesso
inadatti perfino al
pascolo delle greggi
dei pochi nomadi
beduini. Mark Twain
nel 1867 li
descriveva così:
"una silenziosa e
funerea estensione,
una desolazione
(...) Non abbiamo
mai visto un essere
umano sulla strada
(...). Perfino gli
ulivi e i cactus,
quegli amici sicuri
di un terreno
incolto, hanno per
lo più abbandonato
il paese (..). La
Palestina siede su
sacchi di cenere,
desolata e
brutta..." |
|
Alla fine del Mandato Britannico nel
maggio del 1948, truppe arabe
formate da eserciti regolari e da
volontari nazionalisti panarabi,
provenienti da ogni parte,
sferrarono un attacco militare su
tutti i fronti al nascente Stato
d'Israele. Alla fine del conflitto,
la situazione era come nella cartina
in basso, con la striscia di Gaza
annessa dall'Egitto, e la
Cisgiordania inglobata dalla
Giordania insieme a Gerusalemme, a
formare il Regno di Transgiordania.
Questa situazione è durata fino al
1967.
(Fino al 1967, Israele non occupava
i territori palestinesi oggi in
questione, ma subiva ugualmente
attacchi terroristici. I Giordani,
una volta conquistata Gerusalemme,
requisirono molte case agli Ebrei e
vietarono loro di accostarsi al Muro
del Pianto, unico luogo sacro
al mondo per la religione ebraica.)
|
Nel 1967, con la Guerra
dei Sei Giorni, Israele
prese sotto il suo
controllo la
Cisgiordania, Gaza, la
penisola del Sinai e le
Alture del Golan.
"Gerusalemme venne
riunita sotto l’autorità
d’Israele: si iniziò
immediatamente a
ricostruire il quartiere
ebraico della Città
Vecchia e le famiglie
arabe -che avevano
occupato le case degli
ebrei espulsi dagli
arabi nel 1948- vennero
a loro volta fatte
allontanare. Gli ebrei
poterono così tornare a
pregare al Kotel
(il cosiddetto Muro
del Pianto, presso
cui dal 1948 al
1967, gli Arabi avevano
tassativamente proibito
non solo agli
Israeliani, ma a tutti
gli ebrei del mondo di
pregare)" (Santus,
2002).
"In soli sei giorni le
Forze di Difesa
Israeliane avevano
conquistato un’aerea la
cui estensione era tre
volte e mezzo più ampia
dello stesso Stato
d’Israele: fu in questo
momento di trionfo
militare che si fece
largo l’idea di
restituire terra in
cambio di pace. E il 19
giugno, in una riunione
di Gabinetto, lo Stato
ebraico decise che si
sarebbe ritirato dal
Sinai e dal Golan in
cambio di confini
sicuri, ma Il Cairo e
Damasco risposero
negativamente" (Morris,
2001).
"I sei anni che corrono
tra la guerra dei Sei
Giorni e la guerra del
Kippur furono infatti
segnati da un
intensificarsi del
terrorismo palestinese.
Per non fare che qualche
esempio, nel dicembre
del 1968 un aereo
israeliano venne
attaccato all’aeroporto
di Atene provocando
morti e feriti; nel
febbraio del 1969 in un
grande mercato di
Gerusalemme, il
"Supersol", una bomba
provocò più di trenta
vittime. Un aereo della
Swissair in volo verso
Israele nel 1970 esplose
in volo grazie ad un
ordigno a tempo: 47
vittime. Nel giugno del
1970 un commando
dell’OLP seminò la morte
tra un gruppo di
pellegrini turisti in
Israele: 26 morti e 80
feriti. Il 5 settembre
1972 a Monaco, nel corso
delle Olimpiadi, 11
atleti israeliani
vennero trucidati da un
commando palestinese" (Codovini,
1999). |
 |
Tra il 1967 e il 1980,
nei Territori Occupati "il
reddito pro-capite
annuale palestinese
aumentò nella Striscia
di Gaza da 80 a 1700
dollari: in Cisgiordania
il P.i.l. quasi
quadruplicò" (Kimmerling,
Migdal, 1994).
Il numero di automobili
decuplicò, quello dei
telefoni aumentò di sei
volte e quello dei
trattori di nove volte.
L’aumento dei redditi
individuali promosse tra
i palestinesi dei
Territori un notevole
progresso economico, con
una crescita annuale
media del P.i.l. del
12,9% (contro quella del
5,5% degli israeliani).
La rete stradale fu
molto migliorata, le
abitazioni palestinesi -
fino al 1967 quasi
del tutto prive di luce
elettrica - si
collegarono alla rete
elettrica israeliana e
anche l’assistenza
sanitaria migliorò, in
quanto i palestinesi
poterono godere delle
cure offerte dagli
ospedali israeliani. Nel
corso di questi anni
ben dieci università
palestinesi videro la
luce: una a
Gerusalemme, due a Gaza,
una a Nablus, una a
Jenin, una a Betlemme,
una a Birzeit, tre a
Hebron (un’università
islamica, un politecnico
e un’università
scientifico-umanistica).
(Morris, 2001).
|
Il 26 marzo 1979 ebbe luogo lo
storico accordo tra Israele ed
Egitto, ma il terrorismo
palestinese non accennò a diminuire.
Lo stesso leader egiziano Sadat fu
assassinato per aver firmato la pace
con Israele.
Nel 1982 l'intero Sinai fu
restituito, ma non fu restituita
Gaza; o meglio: gli stessi Egiziani
la rifiutarono. Perché?
Probabilmente perché in quella
città, dal 1948 al 1967, sotto la
spinta dell'organizzazione Fratelli
Mussulmani, era andata a
concentrarsi una buona fetta dei
diseredati dell'Egitto, attirati dai
sussidi dall'ONU per i rifugiati e
dalla speranza della "grande
vittoria finale contro i sionisti",
che avrebbe regalato loro la gloria
e una nuova terra.
Per una più chiara e rapida lettura
delle vicende arabo-israeliane:
http://www.conceptwizard.com/itl/con_itl.html
Cos'è la Palestina? Chi sono i
Palestinesi?
|
|
Il Muftì Al Husseini,
zio di Arafat, passa
in rassegna le
truppe del Terzo
Reich |
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Nel 1946, il Professor
Philip Hitti, storico arabo,
dichiara alla commissione di
indagini Anglo-Americana:
"Non esiste nessuna
Palestina nella storia,
assolutamente no". |
 |
|
Edizione palestinese
di "Mein Kampf" di
Adolf Hitler
edizione 1995 |
|
 |
Nel 1956, Ahmed Shukairy,
futuro fondatore dell'OLP,
organizzazione per la
liberazione della
Palestina, di fronte al
Consiglio per la Sicurezza
delle Nazioni Unite, spiega:
"È comunemente noto che
la Palestina non sia altro
che il Sud della Siria." |
|
Insomma, se la Palestina non esiste,
allora questi Palestinesi chi sono?
|
Il 31
marzo
1977, il
giornale
olandese
Trouw
pubblica
un'intervista
con un
membro
del
comitato
direttivo
dell'Organizzazione
per la
Liberazione
della
Palestina,
Zahir
Muhsein.
Ecco le
sue
dichiarazioni: |
|
 |
|
 |
|
"Il popolo
palestinese
non esiste.
La creazione
di uno Stato
Palestinese è
solo un
mezzo per
continuare
la nostra
lotta contro
lo Stato
d'Israele
per l'unità
araba. In
realtà non
c'è
differenza
fra
giordani,
palestinesi,
siriani e
libanesi.
Solo per
ragioni
politiche e
strategiche
oggi
parliamo
dell'esistenza
di un popolo
palestinese,
visto che
gli
interessi
arabi
richiedono
che venga
creato un
distinto
"popolo
palestinese"
che si
opponga al
sionismo.
Per motivi
strategici,
la
Giordania,
che è uno
Stato
sovrano con
confini
definiti,
non può
avanzare
pretese su
Haifa e
Jaffa
mentre, come
palestinese,
posso
indubbiamente
rivendicare
Haifa, Jaffa,
Beer-Sheva e
Gerusalemme.
Comunque,
appena
riconquisteremo
tutta la
Palestina,
non
aspetteremo
neppure un
minuto ad
unire
Palestina e
Giordania". |
|
|
Leggiamo l'opinione di Yasser Arafat:
|
"Il nostro obiettivo è la
distruzione di Israele. Non
ci può essere né
compromesso né
moderazione. No, noi non
vogliamo la pace. Vogliamo
la guerra e la vittoria. La
pace per noi significa la
distruzione di Israele e
niente altro." (Yasser
Arafat su "Esquire", Buenos
Aires, 21.3.1971).
"Nulla ci fermerà fino a
quando Israele non sarà
distrutto. Scopo della
nostra lotta è la fine di
Israele. Non vi sono
compromessi né mediazioni
possibili. Non vogliamo la
pace: vogliamo la vittoria.
Per noi la pace è la
distruzione di Israele e
niente altro. (Yasser Arafat
su "New Republic",
16.11.1974).
"E' nostro diritto avere uno
Stato, e non soltanto sulla
carta, perché questo Stato
sarà uno Stato palestinese
indipendente, che servirà
come trampolino di lancio
dal quale libereremo Giaffa,
Akko (città israeliane, ndr.) e
tutta la Palestina." (1992).
"La fondazione di uno Stato
palestinese in Cisgiordania
e in Gaza sarà l'inizio
della sconfitta dell'entità
sionista. Nella fiducia in
questa sconfitta, noi saremo
in grado di portare a
compimento il nostro
obiettivo finale." (1992).
"La marcia vittoriosa andrà
avanti fino a che la
bandiera palestinese
sventolerà a Gerusalemme e
in tutta la Palestina, dal
Giordano al mare, da Rosh
Hanikra fino a Eilat (città
israeliane, n.d.a.)."
(1992).
"Ci sono due fasi del nostro
ritorno: la prima fase fino
alle frontiere del 1967, la
seconda fino alle frontiere
del 1948 (nel 1948 non
esistevano ancora frontiere:
l'intero territorio, ebraico
e arabo, era sotto mandato
britannico, n.d.a.)."
(1992).
"La riacquisizione dei
nostri territori occupati è
solo la prima tappa sul
cammino della completa
liberazione della Palestina"
(1992).
"Non abbiamo posato il
fucile. Fatah continua ad
avere gruppi armati che
continueranno ad esistere.
Tutto quello che sentirete
[di contrario], serve solo
ed esclusivamente per scopi
strategici." (1992).
"Il nostro primo obiettivo è
il ritorno a Nablus [Cisgiordania],
poi proseguiremo per Tel
Aviv" (1994).
"Noi aspiriamo alla
fondazione di uno Stato che
useremo per la liberazione
dell'altra parte dello Stato
palestinese." (1994).
"La battaglia contro il
nemico sionista non è una
battaglia che riguarda i
confini di Israele, ma
l'esistenza di Israele."
(1994).
"[Il processo di pace] è
soltanto una tregua d'armi
fino al prossimo stadio
della lotta armata. Fatah
non ha mai preso la
decisione di cessare la
lotta armata contro
l'occupazione." (1994).
Lo stesso giorno in cui
Arafat firmò la "Declaration
of Principles" nel giardino
della Casa Bianca nel 1993,
spiegò la sua azione alla TV
giordana. Ecco cosa disse:
"Visto che non possiamo
sconfiggere Israele con la
guerra, dobbiamo farlo in
diverse tappe. Prenderemo
tutti i territori della
Palestina che riusciremo a
prendere, vi stabiliremo la
sovranità, e li useremo come
punto di partenza per
prendere di più. Quando
verrà il tempo, potremo
unirci alle altre nazioni
arabe per l'attacco finale
contro Israele". |
 |
Ora si spiega perché i capi
palestinesi hanno sempre
voluto fare uno Stato unico
nonostante Gaza e
Cisgiordania siano due
entità distinte e separate:
sono interessati a quello
che c'è in mezzo: Israele.
La stessa tattica tentata da
Nasser quando unificò
politicamente Egitto e Siria
sotto il nome di Repubblica
Araba Unita. Lo stesso sogno
delirante: accerchiare
Israele e distruggerlo.
Ecco cos'è per loro la
Palestina: è Israele senza
gli Israeliani. La
cartina qui di lato parla
chiaro: nei loro siti web la
Palestina è così, un Israele
abitato da Egiziani di Gaza
e da Giordani della
Cisgiordania. Forse
caccerebbero via anche i
1.300.000 Arabi-israeliani,
considerandoli traditori,
perché non sono andati a
infognarsi nei campi
profughi dell'ONU come
fecero i 600.000 loro
"parenti" che fuggirono
dalla guerra del 1948 o che
addirittura scelsero di
andar via volontariamente
per combattere e "tornare
vittoriosi", mentre tutto il
mondo arabo si mobilitava
per distruggere l'"entità
sionista" ed estendeva la
sua persecuzione antiebraica
dallo Yemen fino al Marocco,
scacciando i 930.000 Ebrei
che lì vivevano da secoli e
secoli. |
|
Nel 1998, quando gli
accordi di Oslo erano già
stati firmati e il processo
di pace teoricamente in
corso, il Fatah di Arafat
inserì la sua costituzione
sul suo sito internet (http://www.fateh.net/e_public/constitution.htm).
Vediamone alcuni articoli
significativi. |
|
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Principi fondamentali
Articolo 4 - la lotta
palestinese è parte
indissolubile della lotta
mondiale contro il sionismo,
il colonialismo e
l'imperialismo
internazionale
Articolo 6 - I
progetti e gli accordi
dell'ONU, o quelli di
qualsiasi accordo
individuale insidiano i
diritti del popolo
palestinese, sono illegali e
rifiutati.
Articolo 7 - Il
movimento sionista è
razzista, colonialista e
aggressivo nell'ideologia,
obiettivi, organizzazione e
metodo.
Articolo 8
- L'esistenza israeliana in
Palestina è un'invasione
sionista con una base
espansionistica e
colonialista ed è un
naturale alleato del
colonialismo e
dell'imperialismo
internazionale.
Articolo 9 - Liberare
la Palestina e proteggere i
suoi luoghi sacri è un
obbligo arabo, religioso ed
umano.
Obiettivi
Articolo 12
- Completa liberazione della
Palestina, sradicamento
dell'esistenza economica,
politica, militare e
culturale sionista.
Metodi
Articolo 17 - La
rivoluzione armata popolare
è il metodo inevitabile per
liberare la Palestina.
Articolo 19 - La
lotta armata è una strategia
e non una tattica e la
rivoluzione armata del
popolo arabo palestinese è
un fattore decisivo nella
lotta di liberazione e nello
sradicamento dell'esistenza
sionista e questa lotta non
cesserà fino a quando lo
Stato Sionista non sarà
demolito e la Palestina
completamente liberata. |
 |
Nel 1999, nel giorno del suo
70° compleanno, Arafat disse
davanti a molti
simpatizzanti [ICEJ News
Service, August 6, 1999]:
"Allah volendo,
continueremo la nostra
battaglia, la nostra Jihad...
e ancora una volta entreremo
nella città di Gerusalemme
come fecero i Musulmani la
prima volta." |
(le citazioni pubblicate in questo
articolo sono tratte da un lavoro di
ricerca realizzato da Barbara Mella e
pubblicato su
www.ebraismoedintorni.it
Poi nel 2000, quando ci si illudeva di
essere a un passo dalla pace, Arafat
sputò sugli accordi di pace e scoppiò la
cosiddetta Seconda Intifada; mentre i
giornali italiani preferivano parlare
delle passeggiate di Sharon.
|
Pubblicisti quali Igor Man e
Michele Santoro, per non
fare che qualche esempio, si
sono più volte scandalizzati
per la passeggiata di Sharon
-il 28 settembre 2000- sul
Monte del Tempio, riferendo
a ciò il fallimento del
processo di pace tra
israeliani e palestinesi, ma
mai hanno riferito che
quella "passeggiata" era
stata preventivamente
autorizzata dal capo del
servizio di sicurezza
palestinese, Jibril Rajub,
il quale aveva garantito che
tutto si sarebbe svolto
senza incidenti (Morris,
2001). Né hanno mai fatto
conoscere ai loro lettori la
posizione di Imad Al Falouji,
ministro palestinese per le
comunicazioni, il quale
-come riportato da
Associated Press e dal
quotidiano palestinese
Al-Ayyam il 6 dicembre 2000-
ha sostenuto che "le
sommosse dell'attuale
intifadah non sono da
mettere in relazione con la
visita di Sharon, poiché
sono state pianificate
dall'Autorità Palestinese
-in accordo con le
istruzioni ricevute da
Arafat- fin dal luglio 2000,
dopo la conclusione delle
conversazioni
israelo-palestinesi di Camp
David" (Santus. 2002) |
Oggi grazie al cielo, Arafat è morto;
Yassin e Rantissi sono stati uccisi
dall'esercito israeliano. Così tante
cose pian piano cominciano a cambiare e
nascono nuove speranze per il popolo
palestinese. Inoltre, Israele ha trovato
il modo di difendersi dal terrorismo
senza essere costretto sempre a
combattere con le armi: ha innalzato una
barriera. Una soluzione banale, brutta,
ma efficacie. Quella barriera varata dal
governo laburista di Barak, in alcuni
tratti è di cemento ed è davvero orrenda
da vedere, però ha ridotto del 90% il
numero di attentati. Purtroppo
questa non è altro che una misura di
difesa, valida soltanto nell'immediato.
Indispensabile, ma non risolutiva.
|
L'unico Palestinese che ho
conosciuto di persona era un
ragazzo arabo di Gerusalemme;
studiava a Napoli perché quello
era il solo modo che la sua
famiglia -pacifica e di buona
cultura- aveva trovato per
allontanarlo dalle cattive
compagnie che tentavano di
fargli il lavaggio del cervello
per instillare nella sua mente
idee di odio e di morte. Era il
1990. Spero che quel ragazzo
oggi sia un uomo maturo, e che
sia felice a dispetto della
cattiva situazione politica in
cui è costretta tutt'oggi a
vivere la sua gente. Spero abbia
numerosi amici: italiani come
me, arabi come lui, ma
innanzitutto spero che abbia
buoni amici israeliani: la
pace nasce dalla reciproca
conoscenza. |
Quali possono essere dunque gli
investimenti a lungo termine per una
pace vera e duratura? Oltre alle
manovre politiche e militari, io credo
che siano importantissime anche le
numerose iniziative come quella
illustrata nell'articolo che segue. Non
sono rare, anche se i nostri media non
ne parlano volentieri, ma partono sempre
da Israele. Fra i Palestinesi c'è ancora
molta paura, perché chi ha contatti
d'amicizia con gli Israeliani spesso è
nel mirino delle bande armate!
|
Un campo estivo per bambini
aiuta ad abbattere steccati |
Se
è vero che i bambini
imparano pregiudizi e
sfiducia dai genitori, per
la fortuna di israeliani e
palestinesi sembra che vi
siano alcuni ragazzi che non
hanno ereditato il conflitto
dei genitori.
Circa 115 bambini
palestinesi di Gerusalemme,
Jenin, Ramallah e Gerico
hanno avuto la possibilità
di interagire con 115
bambini di Israele l'ultima
settimana di luglio in
occasione dell’apertura del
Children Creating Peace Camp
a Ramat Gan (Israele).
Secondo Shaul Yotkuvitch,
capo del Kaballah Center in
Israele, che ha
sponsorizzato il campo: “Il
primo giorno, dopo pochi
minuti, i bambini già
giocavano insieme”.
Lo scopo del campo è quello
di lasciare che i bambini
vedano i loro coetanei
dell’altra parte come
“vicini, e non come nemici”.
“I bambini palestinesi
vengono da molti luoghi
diversi, ma per lo più
l'unica esperienza che hanno
avuto con giovani israeliani
si riduce a quella con i
soldati nelle strade, e non
è positiva”, spiega
Yotkuvitch.
Yotkuvitch ha pensato di
poter contribuire a far
scomparire le barriere tra i
bambini con provenienza e
background diversi:
“L’atmosfera e l’intenzione
della pace – osserva – hanno
aiutato i bambini a
interagire”.
I bambini con background
diversi avevano timore,
all’inizio, di giocare con i
loro coetanei, ma alla fine
hanno superato la reticenza,
grazie all’atmosfera
positiva. “E’ stato
commovente – racconta
Yotkuvitch – veder cadere
tutte gli steccati, e i
bambini giocare insieme”.
Il campo, un progetto della
Kabbalah Center's
Spirituality for Kids
Foundation, si è svolto
nell’ultima settimana di
luglio al Safari Park di
Ramat Gan, in Israele.
La Spirituality for Kids
Foundation è parte di un
programma mondiale che offre
conforto ai bambini a
rischio in aree violente.
Ambizione del Kabbalah
Center, e del nuovo campo
estivo, è quello di
adoperarsi per trasformare
le emozioni negative in
positive.
(Da: Jerusalem Post,
27.07.05) Nella foto in
alto: Hannah e Nadia al
Peace Camp for Children |
|
Purtroppo nei Territori
Palestinesi lavorano anche
gruppi di volontari stranieri.
Fra di loro abbondano quelli
spinti lì da pregiudizi:
pacifisti a senso unico e nemici
giurati di Israele, che non si
fanno scrupolo di spargere
veleno su veleno. Loro leitmotiv
è che Israele si comporti coi
Palestinesi come la Germania
nazista con gli Ebrei. Loro
specialità è riscrivere la
storia, attribuendo tutti i
torti solo ed esclusivamente a
Israele. Uno fra tutti: la
strage perpetrata dai falangisti
cristiani libanesi a Sabra e a
Chatila, che viene rispolverata
a ogni occasione e di cui viene
attribuita ogni responsabilità a
Israele.
Non si può costruire la pace
con le menzogne. |
 |
|
Dopo lunghi anni di guerra
civile, i libanesi eleggono alla
Presidenza del paese un illustre
combattente cristiano-maronita,
Bashir Gemayel. Prima ancora di
prendere possesso della carica,
quest'ultimo viene assassinato
da terroristi palestinesi. I
falangisti cristiani vendicano
subito l'assassinio del loro
presidente, penetrando nei campi
profughi palestinesi di Sabra e
Chatila e compiendo un vero e
proprio massacro. Quasi mille
palestinesi vengono sgozzati. La
carneficina riempie d'orrore
l'opinione pubblica di tutto il
mondo, che subito punta il dito
contro Israele che controllava
la zona. Il governo
israeliano non esita a nominare
una commissione d'inchiesta che,
dimostrando la sua assoluta
indipendenza, accerta la
responsabilità oggettiva dei
comandi militari, ma anche
quella politica del governo.
I responsabili, riconosciuti
colpevoli di non essere
intervenuti a impedire la
strage, sono tutti esemplarmente
puniti. Il ministro della Difesa
Ariel Sharon è costretto a
dimettersi.
(Ora facciamo un parallelo con
un'altra guerra civile. Negli
Anni Novanta, mentre in
Iugoslavia ci si massacrava a
più non posso sotto il naso
delle truppe di vari paesi
d'Europa e dell'ONU, nessuna
commissione d'inchiesta ha
inchiodato davanti alle proprie
responsabilità nessuno, a
parte la ridicola ramanzina ai
caschi blu olandesi a Srebrenica.
Questa è una vera vergogna!)
Comunque, quello di Sabra e
Chatila non è il primo caso di
massacro operato dagli Arabi
nei confronti di profughi
palestinesi: 3.000 secondo la
Croce Rossa, (20.000 secondo
Arafat) furono le vittime della
repressione giordana di una
rivolta, seguita a una serie di
dirottamenti e atti
terroristici, messa in atto dai
fedayn palestinesi, nel
settembre 1970 (Settembre Nero).
Sei anni più tardi, nel luglio
del 1976, a Tal el Zaatar in
Libano, milizie cristiane e
truppe siriane assediarono la
località per due mesi. In quell'occasione,
i palestinesi uccisi furono
13.000. |
Viene da chiedersi perché mai i
Palestinesi abbiano scelto di perseverare
con la guerra e il terrorismo, nonostante
abbiano ricevuto solo e sempre batoste, e
perché ancora non si decidano a deporre le
armi.
In realtà, il popolo non ha avuto
nessuna facoltà di scelta ed è
stato costretto ad adeguarsi a ciò che gli è
stato imposto dalle varie organizzazioni
armate che si sono divise il potere. In
pace, la vita dei Palestinesi sarebbe stata
di gran lunga più felice -inutile dirlo-
e i buoni rapporti con Israele avrebbero
giovato a entrambi i popoli e al mondo
intero. Gaza sarebbe potuta diventare
la Montecarlo del Vicino Oriente, se avesse
investito per il benessere e il progresso la
montagna di soldi ricevuti dalla comunità
internazionale e non l'avesse sprecata in
armi e giubbotti esplosivi. La Cisgiordania
avrebbe potuto diventare la più ricca e
tranquilla provincia della Giordania.
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Chissà perché il sovrano
ashemita Abdallah e la sua
consorte palestinese Ranya,
entrambi di mentalità aperta e
moderna, non ci pensano neanche
lontanamente a riprendersi la
Cisgiordania, magari come
regione autonoma. Evidentemente
nessuno vuole più questa patata
bollente. |
In entrambe le province palestinesi si è
finiti in balìa di persone che, fin dalla
Seconda guerra Mondiale, hanno saputo
sfruttare quel malcontento fisiologico,
tipico di ogni comunità allo sbando, non
come sprone alla promozione dello sviluppo
umano e sociale, ma a beneficio esclusivo
del proprio tornaconto personale e della
propria sete di potere. Così i Palestinesi
si sono trasformati da popolo povero e
pacifico qual era, formato in gran parte da
pastori e contadini, a un'accozzaglia
disumana in cui il livello di violenza è
cresciuto in maniera esponenziale, non in
conseguenza della repressione israeliana
-come si vuol far credere- ma come frutto
di una politica dell'odio ben pianificata,
alla quale è stato lasciato largo margine di
azione dal 1993 in poi. Passando dal
controllo israeliano a quello dell'Autorità
Palestinese, istituzioni quali le scuole non
hanno rappresentato il primo passo verso il
dialogo e la pace, bensì sono divenute
fucine di odio politico-religioso, inculcato
in giovani menti ampiamente ricettive. In
conseguenza di ciò, si assiste oggi a una
nuova generazione palestinese avvelenata più
che mai dall'odio anti-israeliano,
condizionata dal fondamentalismo religioso,
al punto da sacrificare numerosissime vite
alla follia del terrorismo suicida, per il
solo cinico scopo di uccidere quanti più
Israeliani possibile.
Il problema dei Palestinesi non è Israele,
poiché Israele è il primo ad avere interesse
affinché nasca uno Stato palestinese con cui
rapportarsi civilmente.
Il problema dei Palestinesi non è la
presenza di poche migliaia di Ebrei negli
insediamenti: quasi tutti i Paesi al mondo
hanno minoranze etniche o religiose (Israele
ha una minoranza araba di ben 1.300.000
persone).
Il problema dei Palestinesi non è un
territorio spezzettato in due: anche altri
Stati lo sono, ma nessuno si sogna di fare
il terrorista per questo.
Il problema dei Palestinesi, anzi il loro
dramma, è nell'origine della loro
"nazionalità": ogni popolo è libero
d'inventarsi una qualsivoglia nazionalità e
di far valere il diritto sacrosanto alla
propria autodeterminazione; ma bisogna stare
attenti a chi se ne fa
promotore e a quale scopo. Il
dramma dei Palestinesi è nato quando la
rivendicazione del loro Diritto
all'Autodeterminazione è stata monopolizzata
da una banda di malfattori che aveva a
cuore tutt'altro che l'autodeterminazione
del popolo palestinese, puntando
esclusivamente alla distruzione d'Israele.
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Immaginate se la camorra si
presentasse all'ONU per far valere
il diritto all'autodeterminazione
del Popolo Campano! |
Le cose si sono notevolmente aggravate
quando l'ONU ha abbracciato amichevolmente
la suddetta banda criminale, sotto lo
sguardo benevolo degli sceicchi del petrolio
(e del terrore) e col pieno assenso
dell'Europa petrolio-dipendente e fresca di
sterminio antisemita. La logica della Guerra
Fredda ha fatto poi il resto per decenni,
con l'appoggio delle due contrapposte
superpotenze, ciascuna in sostegno delle due
parti in causa.
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Lo sgombero di Gush Katif con i suoi
8000 abitanti, con le sue scuole, le
sue sinagoghe, le sue produzioni
agricole da 60 milioni di dollari
l'anno, è al centro dei fatti di
questi giorni. Israele, in questo
modo, ha teso nuovamente una mano ai
Palestinesi. L'ultima volta, che
l'ha fatto, nell'estate del 2000 con
Ehud Barak, ha ricevuto in cambio un
morso violento. Oggi la mano è
quella di Ariel Sharon. Sharon è un
uomo coraggioso e determinato, non
ha paura di sperimentare strade
difficili.
Come scrive Furio Colombo sul
Corriere: "In
questo momento Sharon appare come un
fatto raro, praticamene senza uguali
nella vita politica del mondo. (...)
Israele, il Paese del mondo più
ferito e dilaniato dal terrorismo
disumano delle bombe umane, sta
negando la guerra di civiltà che
piace tanto in certe retrovie
italiane. Dimostra che ciò che
ognuno di noi ha in comune con gli
altri è il desiderio (ma anche il
bisogno) di fare pace e di vivere
accanto."
Sostiene Deborah Fait su
Informazione Corretta, che ritirarsi
da Gaza "è stata una decisione
strategica forse geniale di Sharon
che adesso potrà anche decidere e
convincere il mondo che vanno fatti
finalmente dei confini e che, se i
palestinesi li violeranno colla
guerra e il terrorismo, la reazione
di Israele sarà tremenda!" E
constata poi con tristezza che, fra
l'esultanza dei media, nessuno al
mondo si è fatto avanti dicendo:
"adesso tocca ai Palestinesi fare
il prossimo passo".
"E' un prezzo altissimo. In
cambio, che cosa si otterrà?",
mi chiedevo io qualche giorno fa.
Spero tanto di trovare la risposta
nell'invito di Abu Mazen agli
Israeliani che lasciavano in lacrime
le loro case: "Ci potrete
ritornare da turisti!" Parole
che possono suonare strane,
sgradevoli in un primo momento, ma
-pensandoci bene- è il più bell'augurio
che potesse fare. Un tempo anche
in Egitto gli Israeliani non
potevano andare, mentre oggi sono
numerosi fra i turisti.
Con il suo invito Abu Mazen ha
preso un impegno e non può più
tirarsi indietro, non può più
cambiare idea. E vedrà che il
suo invito non sarà disatteso. Lo
auguro agli Israeliani, lo auguro ai
Palestinesi e lo auguro a tutti noi;
perché da quel giorno il mondo
comincerà a essere un posto
migliore. |
Nelle nuove scelte d'Israele personalmente
leggo, a breve termine, nuove possibilità
di non-guerra, ma non ancora
possibilità di pace; vedo una
barriera efficacissima bloccare i
terroristi; vedo poche migliaia di
Ebrei lasciare le proprie case, i propri
villaggi per non essere più bersaglio
privilegiato di missili e attentati.
Ciò che prevale è la logica della
separazione.
Devo prendere atto che forse questa
è l'unica via praticabile per oggi,
poiché intanto vedo ancora "militanti" di
Hamas festeggiare la "liberazione della
striscia di Gaza", e promettere di liberare
allo stesso modo tutto ciò che secondo loro
è "Palestina".
Ma la vita è un continuo divenire e la
Storia richiede tempi lunghi: fra 150 anni,
sul Pianeta non ci sarà più nessuna delle
persone che ci sono adesso. L'unica che
sarà sempre viva sarà la speranza.
Mia speranza -in questo momento- è di non
essere stato troppo prolisso e noioso da
essere letto una riga sì e una no,
e poi frainteso.
Fulvio Del Deo
fd.d@libero.it
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