Lettera al Direttore di
“Liberazione” Piero Sansonetti.
Gentile Direttore,
abbiamo letto, con non poco sconcerto, le
considerazioni che Lei ha sostenuto
nell'editoriale del 14 settembre scorso dal
titolo “Campagna di stampa contro i
palestinesi” a proposito del rogo delle
sinagoghe a Gaza dopo l'abbandono degli
insediamenti nella Striscia di Gaza.
Nel suo editoriale Lei non descrive
ciò che è accaduto, ma si limita ad
analizzare testi, titoli e parole di altri
giornali, in funzione di un solo fine:
osservare che nei confronti dei Palestinesi
c'è un pregiudizio. Noi proponiamo un
giudizio su quell'atto, non abbiamo letto il
suo.
Si può discutere di molte cose e del
modo in cui sono riportate le notizie, si
può ironizzare e fare dei distinguo
filologici (come Lei ha proposto ai suoi
lettori), ma non si può dire che un gatto è
un cono gelato: all'indomani dell'abbandono
di Gaza da parte degli israeliani, gesto che
va nella direzione della pace, alcune folle
palestinesi hanno bruciato le sinagoghe che
le autorità religiose israeliane hanno
vietato di abbattere ai militari. Alcuni
militari palestinesi hanno difeso altre
sinagoghe, è un buon segno, ma non può
permetterci di tacere il resto. Sarebbe come
se sul suo giornale per descrivere la
società politica israeliana si parlasse solo
degli atti della sinistra pacifista
israeliana e non della destra che si è
opposta alla scelta di Sharon.
Da un millennio bruciare sinagoghe
fa parte di una precisa simbologia politica.
E' per questo che quell'atto ha colpito
l'immaginario di tanti.
Questo atto appartiene alla prassi di una
cosa che universalmente si chiama
antigiudaismo. Non solo all'interno
dell'antisemitismo razzista del XX secolo.
E' vero, è consuetudine dei
movimenti di emancipazione e di liberazione
esprimere la raggiunta libertà in gesti e in
atti anche violenti. Se ne può capire il
loro valore simbolico (solo simbolico e non
culturale programmatico) se quel gesto è
anche accompagnato da atti politici che
dicono di una nuova e vera libertà.
Ma, le chiediamo: distruggere una
sinagoga (una moschea, una chiesa) è come
distruggere un edificio o un monumento
simbolo di un'oppressione? È come
distruggere una sede politica o militare,
una caserma, una postazione di polizia, un
carcere ? Come avrebbero reagito i giornali
che lei accusa di razzismo, se gli
israeliani nella Striscia di Gaza avessero
bruciato una moschea, anche abbandonata.
Tutto il mondo avrebbe messo sotto accusa
Israele.
Noi non siamo per facili paralleli:
quei roghi non ci hanno fatto pensare alla
tragedia nazista ma certo ci hanno riportato
alla memoria (anche personale) dei roghi
delle sinagoghe, delle case e delle officine
degli ebrei nei paesi arabi, ad una lunga
storia di antisemitismo promosso dal
nazionalismo panarabo che ha causato la fuga
di quasi un milione di ebrei da quelle
terre.
Rivedere folle (non individui)
bruciare un luogo di culto ha messo in moto
la memoria di milioni di ebrei che hanno
trovato rifugio in Israele, la memoria
nostra di ebrei italiani e di sinistra:
francamente ci meraviglia che non abbia
mosso la sua.
All'indomani della fuoriuscita da
Gaza, il rogo delle sinagoghe non parla agli
israeliani di un futuro dialogo.
All'indomani della fuoriuscita da Gaza i
palestinesi hanno l'urgenza di esprimere una
politica, chiara, che prefiguri la società
politica che sorgerà, che anticipi
l'ordinamento statale, che chiarisca quale
democrazia politica saranno in grado di
costruire. E il tempo non è infinito.
Se sulla scena rimangono solo le
fiamme delle sinagoghe, il programma e il
profilo della "società che verrà" ci
sembrano almeno discutibili, se non
preoccupanti. Tutto il mondo sa che
sopratutto a Gaza si giocherà il confronto
più duro tra l'intransigenza guerrafondaia
di Hamas e il governo di Abu Mazen,
impegnato nel dialogo con Sharon. Noi ci
auguriamo che vinca la linea del dialogo,
quella che ha ordinato ai poliziotti
palestinesi di difendere le sinagoghe.
L'esercizio dell'ironia, l'accusa di
razzismo a chi non ha gradito vedere quei
roghi, e la mancanza di senso critico per
gli atti compiuti dalla dirigenza o dalla
società palestinese, non ci sembrano né lo
strumento più adeguato per capire né l'aiuto
di cui i palestinesi abbiano ora più
bisogno.
David Bidussa, Emanuele Fiano,
Claudia Fellus, Victor Magiar
L'articolo di cui si parla è già
presente in vivitelese alla url:
L'Editoriale
IL RITIRO DA GAZA E I NUOVI RAZZISMI
di Piero Sansonetti
apparso su Liberazione del 14 Settembre 2005
I giornali italiani, quasi
tutti, sono impegnati in una campagna politica
molto seria contro i palestinesi. Il Corriere
della Sera, la Stampa, l'Unità, Libero, il
Giornale. E' una campagna studiata bene e
costruita in gran parte su notizie manipolate,
corrette, mutilate, rovesciate. Ieri sulle prime
pagine di ciascuno di questi quotidiani, in
bella vista, campeggiava un titolo indignato
contro la ferocia antisemita delle "folle" arabe
che avevano dato fuoco alle sinagoghe. Si
evocavano scenari di stragi e di terrorismo, si
giungeva persino - lo ha fatto l'Unità - a
paragonare gli abitanti di Gaza ai nazisti di
Hitler.
Se
avete la pazienza di leggerli, trascriviamo
alcuni dei titoli di questi cinque giornali e
poi vi mostriamo come gli stessi episodi sono
stati raccontati dal New York Times, giornale
che, probabilmente lo sapete, nessuno al mondo
mai ha potuto accusare di essere contro Israele
o addirittura - peccato ancor maggiore - di
essere amico dei palestinesi.
Il
Giornale: "Festa a Gaza: al rogo le sinagoghe".
Libero: "I palestinesi festeggiano: a fuoco le
sinagoghe".
Il
Corriere: "Festa e violenza a Gaza, sinagoghe
bruciate".
L'Unità: "Gaza torna ai palestinesi, la folla dà
fuoco alle sinagoghe abbandonate".
La
Stampa: "Gaza, assalto alle sinagoghe".
Questi titoli (tranne quello di Libero) sono
tutti in prima pagina, in una posizione
centrale, a molte colonne e caratteri molto
grandi. Poi ci sono i titoli interni. Alcuni
raccapriccianti. Per esempio questo (la Stampa):
"Le folle palestinesi irrompono a Gaza: bruciate
le sinagoghe". Cosa vuol dire "le folli
palestinesi irrompono a Gaza"? Evidentemente il
titolista della Stampa non sa che Gaza è in
Palestina e i suoi abitanti sono palestinesi.
Dire che i palestinesi irrompono a Gaza è come
dire: "Folla di romani irrompe a Roma"; oppure:
"Folla di giornalisti della Stampa irrompe alla
Stampa... "
Il
New York Times - giornale sempre attentissimo al
medioriente - tratta la vicenda di Gaza con
minore enfasi. Un titolo piccolo in fondo alla
prima pagina, che dice: "Gli abitanti di Gaza
vengono alla luce e setacciano gli ex
insediamenti israeliani". Nessun riferimento a
Sinagoghe, fuoco, orde (termine usato dal
Giornale in un sottotitolo), folle,
devastazioni, irruzioni, nazisti. Il titolo dice
solo che dopo anni nei quali era loro proibito
avvicinarsi a certi luoghi di Gaza ora i
palestinesi circolano liberamente, si mostrano,
"setacciano" tra i resti dell'occupazione. La
foto pubblicata dal New York Times non è di una
Sinagoga bruciata ma di un edificio abbattuto
dagli israeliani prima del ritiro.
Poi nell'articolo, molto dettagliato (per
l'esattezza, nell'ultima parte dell'articolo) il
giornale americano riferisce anche degli incendi
davanti a due sinagoghe (su 19) e spiega bene
come sono andate le cose: "Israele aveva raso al
suolo tutti gli altri edifici nei "settelementes"
(le colonie occupate) e in accordo con
l'autorità palestinese avrebbe dovuto radere al
suolo anche le sinagoghe, ma all'ultimo minuto
ha scelto di non distruggere le sinagoghe perché
un certo numero di conservatori israeliani aveva
osservato che sarebbe stato sbagliato per degli
ebrei distruggere le sinagoghe. E così sono
state lasciate in piedi ed esposte ai
vandalismi".
Il
New York Times racconta che davanti a due di
esse sono stati appiccati degli incendi, mentre
altre erano circondate dalla milizia palestinese
che ha impedito a gruppi di "combattenti armati"
di avvicinarsi. Le Sinagoghe saranno abbattute
nei prossimi giorni, secondo l'accordo raggiunto
tra israeliani e palestinesi, così come sono
stati distrutti (dagli israeliani) tutti gli
altri edifici costruiti dai coloni per dar via
alla ricostruzione di Gaza.
Vi
sembra appropriato, di fronte a questi fatti,
parlare di terrorismo, o addirittura - con
raccapricciante vena polemica - paragonare gli
incidenti di lunedì alle infamie naziste e agli
anni atroci dell'olocausto? Naturalmente non lo
è. E sarebbe da ciechi non osservare che il
nostro è l'unico paese dell'Occidente con un
fronte di stampa molto ampio e compattamente
schierato su posizioni antipalestinesi, così
faziose, così preconcette, così feroci (basta
leggere l'editoriale di Piero Ostellino
dell'altro ieri, del quale hanno parlato con
grande lucidità ieri Luisa Morgantini sul nostro
giornale e Sandro Viola su Repubblica) da far
temere il crearsi, in Italia, di una vera e
propria area "razzista".
P.
S. Se l'autorità e il popolo palestinese
avessero deciso unilateralmente, a prescindere
dagli accordi con gli occupanti israeliani, di
lasciare in piedi una o due sinagoghe - simbolo
di una religione che è rispettabile come tutte
le altre religioni e che non può essere
identificata con l'esercito invasore o con il
suo governo - avrebbero dato una prova di
tolleranza e di ampiezza di vedute
straordinaria. La maggioranza degli italiani,
però, non lo avrebbero forse mai saputo, perché
non credo che i nostri giornali lo avrebbero
annunciato con rilievo.
questo articolo è
apparso su Liberazione del 14 Settembre 2005