/x-tad-bigger>2.
Sinistra per Israele/x-tad-bigger>
si batte perchè si riconosca che in Medio
Oriente non sono in conflitto un torto e una
ragione, ma due ragioni: il diritto di
Israele a esistere sicuro; il diritto del
popolo palestinese ad una propria patria.
/x-tad-bigger>3.
Sinistra per Israele/x-tad-bigger>
vuole promuovere la conoscenza della realtà
israeliana, intensificare relazioni con la
sinistra e le forze progressiste israeliane
e promuovere solidarietà nei confronti del
"campo della pace" in Israele.
/x-tad-bigger>4.
Sinistra per Israele/x-tad-bigger>
intende combattere i pregiudizi
antiisraeliani che albergano anche in una
parte della sinistra italiana e promuovere
una conoscenza corretta e valutazioni più
equilibrate su Israele e sulle parti in
causa nel conflitto.
/x-tad-bigger>5.
Sinistra per Israele/x-tad-bigger>
non ha alcun timore ad esprimere critica e
opposizione ad azioni dei governi di
Israele, ma si batte perché tali critiche
non si traducano in pregiudizio, in condanne
generalizzate e in boicottaggi a tutta la
società israeliana, l'unica società
democratica e pluralista in Medio Oriente.
/x-tad-bigger>6.
Sinistra per Israele/x-tad-bigger>
combatte fenomeni di antisionismo – presenti
anche a sinistra – che possono nascondere
con troppa facilità una nuova e più sottile
forma di antisemitismo.
/x-tad-bigger>7.
Sinistra per Israele/x-tad-bigger>
considera storicamente sbagliata e
moralmente non accettabile ogni
equiparazione del sionismo al razzismo,
perchè il sionismo ha le stesse radici di
reclamo della patria per un popolo, che ha
avuto il Risorgimento italiano e gli altri
movimenti europei di fondazione e
unificazione nazionale. Lo stesso reclamo di
patria che è adesso la legittima aspirazione
del popolo palestinese.
/x-tad-bigger>8.
Sinistra per Israele/x-tad-bigger>
ritiene il terrorismo è un crimine
inaccettabile, che deve essere condannato
con forza e senza condizioni, e sollecita la
dirigenza palestinese ad assumere
atteggiamenti chiari, espliciti e coerenti
di lotta al terrorismo. E, al tempo stesso,
ritiene che ci si debba ispirare
all'insegnamento di Rabin: "Portare avanti
il processo di pace come se non ci fosse il
terrorismo, combattere il terrorismo come se
non ci fossero trattative".
/x-tad-bigger>9.
Sinistra per Israele/x-tad-bigger>
appoggia le legittime rivendicazioni
nazionali palestinesi e chiede alla
dirigenza palestinese di superare
definitivamente ogni diffidenza verso
trattative di pace con Israele. Rifiuta
atteggiamenti acritici che non distinguano
nel movimento palestinese le componenti
riformatrici che mirano alla costituzione di
uno Stato palestinese accanto allo Stato di
Israele dalle forze estremiste votate alla
sua distruzione.
/x-tad-bigger>10.
Sinistra per Israele/x-tad-bigger>
si batte perché Israele sani le ferite
prodotte dalla costruzione degli
insediamenti in Cisgiordania, dalla barriera
di separazione laddove essa penetra in
profondità nel territorio palestinese e
dagli atti di punizione collettiva che
producono sofferenze e umiliazioni per la
popolazione civile palestinese e auspica,
insieme con molti cittadini e politici
israeliani, il ritiro dagli insediamenti in
territorio palestinese per incoraggiare
condizioni di fiducia reciproca e rendere
perseguibile una comune costruzione di pace.
/x-tad-bigger>11.
Sinistra per Israele/x-tad-bigger>
resta fedele al principio "due popoli due
Stati" e sostiene ogni azione – come
l'Iniziativa di Ginevra e la Road Map –
utile al processo di pace e si batte perchè,
in sede europea e in ogni sede
internazionale, l'Italia agisca per una pace
giusta in Medio Oriente.
/x-tad-bigger>
(libertàEguale, 25 novembre 2005)
/x-tad-bigger>
In questi ultimi anni, con la seconda
Intifada, si è disvelato sotto i nostri
occhi un progetto di distruzione di una
società democratica, quella israeliana, che
si è avvalso prevalentemente di due armi: la
propaganda ideologica e il terrorismo
suicida. Eppure questo disegno di
distruzione non è stato riconosciuto come
tale da gran parte della sinistra. La base
teorica di questo progetto è stata
realizzata in occasione della Conferenza
Mondiale contro il Razzismo promossa dalle
Nazioni Unite a Durban, nel 2001. Da lì è
partita una campagna per la delegittimazione
dello Stato ebraico e, di conseguenza, per
la legittimazione di una aggressione nei
suoi confronti, che era destinata a
registrare un'escalation senza precedenti.
Non si è riflettuto a sufficienza sul fatto
che tale conferenza, in cui Israele, unico
fra gli Stati, è stato messo sul banco con
accuse infamanti di apartheid, razzismo e
genocidio, è stato un evento generato da
ambienti progressisti e democratici, dalle
organizzazioni paladine dei diritti umani e
degli oppressi, da quegli ambienti, cioè,
che la sinistra ritiene un suo naturale
bacino di consenso. In quel consesso vi
erano rappresentati decine di regimi
totalitari e dittature sanguinarie che
furono lasciati indisturbati, mentre vennero
utilizzati, senza subire censura, i più
beceri stereotipi antisemiti, incluso la
diffusione da parte palestinese dell'infame
libro dei Protocolli dei Savi di Sion.
Eppure, se si levarono voci di protesta di
progressisti, ebbero troppo toni bassi
nell'assordante clima d'odio instaurato
contro Israele.
Da parte sua la sinistra si rivelò incapace,
o non volle valutare che l'atto di accusa
contro Israele era parte di una strategia
mirata, messa in atto fin dalle conferenze
regionali preparatorie delle Nazioni Unite,
una delle quali si tenne a Teheran. L'Iran
escluse lo Stato ebraico dall'incontro
preparatorio dell'area dei paesi asiatici e
l'Onu non solo non obiettò, ma con tale
premessa si avviò a realizzare la conferenza
contro la discriminazione e il razzismo!
L'Iran che oggi invoca a chiare lettere la
cancellazione dello Stato d'Israele, ha
avuto un ruolo preminente nell'influenzare
gli esiti della Conferenza di Durban. Come
si vede i conti, alla fine, tornano.
La delegittimazione morale d'Israele,
partita da Durban, non sarebbe potuta
avvenire se non avesse preso le mosse da un
ambiente democratico. Da quell'ambiente,
cioè, che nel lontano 1948 aveva appoggiato
la costituzione del nuovo Stato dei kibbutz
e della colonizzazione agricola del deserto,
salutandola come un evento progressista e
visto nel sionismo un movimento di
liberazione ed emancipazione del popolo
ebraico, unico nel novecento, a realizzare
il sogno di uno Stato su basi
socialdemocratiche. L'immagine della società
israeliana lanciata a partire da quel
consesso, di una società guerrafondaia,
dominata dall'integralismo religioso e
razzista, colonialista, avamposto
dell'imperialismo americano, non avrebbe
attecchito così bene nei media e
nell'opinione pubblica europea (ricordate il
sondaggio della Commissione Europea, in cui
Israele era indicato come il maggior
pericolo per la pace nel mondo?) se non si
fosse basata su stereotipi già presenti nel
mondo cosiddetto progressista e della
sinistra. Questo mondo, a Durban, è stato
chiamato a maledire la nascita di una sua
creatura e settori di esso lo hanno fatto,
barattando valori fondanti come il ripudio
dell'antisemitismo, la condanna del
terrorismo, il sostegno alla democrazia, in
nome di una solidarietà acritica alla causa
palestinese che non indagasse sui reali
scopi di essa.
D'altro canto, la delegittimazione morale
d'Israele, la costruzione di un'immagine
odiosa della sua società, è stata la chiave
che ha aperto le porte alle tesi
giustificazioniste del terrorismo suicida.
Contro un paese così agguerrito e
compattamente reazionario, che non lasciava
vie d'uscita ai palestinesi se non l'atto
finale di massima disperazione, non ci
sarebbe stata più alcuna pietà, né alcuna
concessione al diritto di difesa. Nel
disegno propagandistico arabo-palestinese
che accompagna la strategia del terrorismo
suicida, Israele doveva diventare un mostro
indifendibile, soprattutto da parte di quei
settori di mondo dediti alla difesa dei
diritti umani e dei popoli oppressi. E
infatti, nessun corteo di sinistra, dei
sindacati, dei pacifisti e dei no global, ha
manifestato, anche solo semplice solidarietà
umana alle vittime civili delle terribili
stragi terroristiche che in questi ultimi
anni hanno insanguinato Israele.
Eppure, in cinque anni, le occasioni non
sono mancate. Parliamo infatti, di 26.259
attentati avvenuti dal 2000 ad oggi, con
1.060 morti ammazzati, oltre il 75% civili,
fatti esplodere negli autobus e nei bar o
nei supermercati e di 6.089 feriti che
stanno ancora soffrendo negli ospedali e
nelle loro case. In compenso le proteste
anti israeliane si sono moltiplicate,
raggiungendo toni ed espressioni di tale
veemenza, che hanno di gran lunga superato
il legittimo dissenso politico.
In questo modo ampi settori della sinistra
hanno potuto semplicemente ignorare il
progetto di distruzione dello Stato ebraico,
continuando ad attribuire alla volontà
d'Israele la mancata nascita dello Stato
palestinese. Ma così facendo la sinistra ha
diseducato se stessa, a favore della
costruzione di uno schema ideologico
interpretativo del conflitto mediorientale
che sembra rinunciare all'analisi della
realtà, dando vita a una posizione
pregiudiziale su Israele che lo colloca
sempre dalla parte del torto. Dalla
leadership palestinese non si è preteso in
modo chiaro e inequivocabile la fine di ogni
atto di terrorismo e della propaganda
antisemita, mentre si è consentito che le
giuste aspirazioni del popolo palestinese a
un proprio Stato e a una vita dignitosa,
continuassero a essere strumentalizzate dal
folle disegno di eliminazione della nazione
ebraica perseguito dal nazionalismo arabo e
dal razzismo islamico.
Se questo seminario iniziò a essere
concepito a seguito degli eventi di Durban,
tuttavia solo ora è stato possibile
realizzarlo perché la storia ha fatto piazza
pulita dell'infame base teorica formulata in
quella sede e spiazzato molte posizioni di
sinistra che su quella teoria si erano
consolidate. La morte di Arafat ha messo in
evidenza ciò che gli israeliani dicevano da
tempo e cioè del dispotismo, ambiguità e
corruzione che caratterizzava il suo regime
e che solo la sua uscita di scena avrebbe
potuto aprire nuove prospettive di dialogo e
di risanamento della società palestinese.
La seconda Intifada, per ammissione degli
stessi leader palestinesi, si è rivelata un
vero disastro che ha immiserito a tutti i
livelli la sua gente. Con lo smantellamento
degli insediamenti a Gaza, l'immagine di
Israele è oggi più vicina ad essere valutata
per quello che realmente il paese è: una
vivace democrazia, costretta a conquistarsi
giorno dopo giorno il diritto alla
sopravvivenza. Il terrorismo suicida ha
oltrepassato le frontiere israeliane per
mostrarsi anch'esso per quello che è: una
megastrategia di attacco alla democrazia e
alla libertà. Così sulla questione
israeliana si è riaperta una finestra di
dialogo a sinistra, e noi ci aspettiamo che
oggi la riflessione faccia un passo avanti
importante.
Riconoscere il diritto all'esistenza
d'Israele e a vivere in sicurezza non basta,
perché questo è un diritto basilare per ogni
nazione. Un diritto che il popolo israeliano
si è comunque assicurato, non solo
sacrificandosi per la sua difesa, ma
soprattutto impegnandosi a fondo nella
costruzione del proprio Stato, che oggi è in
grado di offrire un notevole contributo allo
sviluppo della scienza, della tecnologia,
della cultura e della democrazia. Ed è
quest'ultimo aspetto, più che la forza
militare che, nonostante le cattive teorie,
fa la differenza sostanziale con
l'esperienza politica palestinese, la quale
in 60 anni di lotta non è stata capace di
produrre un risultato positivo duraturo per
il suo popolo. Così oggi, anche lo slogan
"Due popoli, due stati" non basta più,
perché come dice il mio amico Adriano
Mordenti, bisogna elevare l'obiettivo a "Due
popoli, due democrazie" per aiutare i
palestinesi a uscire dal tunnel del
terrorismo.
Sono certa di interpretare il pensiero dei
miei tanti compagni di "Appuntamento a
Gerusalemme" che non è un qualcosa di
formalizzato, ma un'iniziativa politica
bipartisan nata nel 2002 in seno alla
cosiddetta società civile come testimonianza
di solidarietà diretta con Israele e contro
il terrorismo, affermando che è giunto il
momento di riconoscere che vi è stato nei
riguardi dello Stato d'Israele, dei suoi
leader, della sua gente, del suo esercito,
un vero e proprio linciaggio morale che non
è stato riservato a nessun altra nazione al
mondo, neanche alle dittature più feroci.
Linciaggio perpetrato grazie alla complicità
di ampi settori della sinistra, con diverse
responsabilità e livelli di coinvolgimento.
E' necessario che la sinistra restituisca
l'onore a Israele, perché è un atto di
giustizia dovuto. Perché Israele è il centro
spirituale, ideale e territoriale di tutto
il popolo ebraico e merita rispetto. Perché
deve essere chiaro al mondo che la sua
esistenza non va più messa in discussione.
Perché sarebbe un atto di onestà
intellettuale da parte della sinistra che
gioverebbe molto al rinnovamento dei valori
democratici. Perché gli ebrei possano
esprimere liberamente la propria identità
nell'ambito della sinistra e partecipare ai
cortei con le loro kippà e simboli senza
timore di essere aggrediti. Perché gli
attivisti della sinistra che, come me,
sostengono le ragioni d'Israele, non si
debbano più sentire isolati e discriminati.
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(Informazionecorretta, 26 novembre 2005)