Ecco due prove che Gesù Cristo non è mai
esistito
Lettera-denuncia di Luigi Cascioli ai ministri
della Chiesa
VITERBO – “In seguito alla mancata risposta da
parte dei tre ministri della Chiesa, don Enrico
Righi, cardinale Biffi e il vescovo Carraro,
alle mie ripetute richieste con lettere aperte,
pubblicate anche da giornali a diffusione
nazionale, di una testimonianza confermante
l’esistenza storica di Cristo, ho preso la
decisione di essere io a portare a loro le prove
della sua non esistenza…” Comincia con questa
frase a firma di Luigi Cascioli il
documento-saggio-lettera-aperta (sotto
riportato) dello studioso e autore dello
straordinario libro-denuncia “La favola di
Cristo - Inconfutabile dimostrazione della non
esistenza di Gesù". Ricordiamo che Cascioli il
13.09.2002 ha sporto querela contro il parroco
don Righi, quale rappresentante dei ministri
della Chiesa, per abuso di credulità popolare e
sostituzione di persona.
www.LuigiCascioli.it
Le
prime due prove della
non esistenza di Gesù Cristo
di
Luigi Cascioli
In
seguito alla mancata risposta da parte dei tre
ministri della Chiesa, don Enrico Righi,
cardinale Biffi e il vescovo Carraro, alle mie
ripetute richieste (vedi “PROCESSO” su
www.luigicascioli.it/1querela_ita.php ) con
lettere aperte, pubblicate anche da giornali a
diffusione nazionale, di una testimonianza
confermante l’esistenza storica di Cristo, ho
preso la decisione di essere io a portare a loro
le prove della sua non esistenza anche se, per
escluderlo dalla storia, sarebbe più che
sufficiente il solo fatto che nessun documento
contemporaneo parla di lui.
Riassunto telegrafico della situazione
politico-religiosa della
Palestina sotto l’occupazione romana:
Nel -63 Pompeo, istallatosi a Damasco dopo la
conquista della Siria, decise, prima di
rientrare a Roma, di dare un ordine sociale e
politico a tutti i possedimenti dell’Asia
compresa la Palestina che è era stata annessa
all’Impero in qualità di protettorato. In
Palestina c’era un conflitto tra i due fratelli
Aristobulo II e Ircano II che si contendevano il
trono di Gerusalemme quali appartenenti alla
casta degli della stirpe degli Asmonei sedicente
discendente della stirpe di David. Pompeo,
eletto arbitro della contesa, ritenendo
Aristobulo II non affidabile per certe sue
amicizie pericolose per Roma, decise in favore
di Ircano II. I sostenitori di Aristobulo II
organizzarono una rivolta armata contro Ircano
II. Pompeo pose termine ai disordini entrando in
Palestina con le sue legioni.
I
partigiani di Aristobulo II furono sconfitti,
Gerusalemme occupata, i legionari entrarono nel
Tempio con conseguente profanazione del Sancta
Sanctorum che generò in tutti gli ebrei un odio
feroce contro i romani. Pompeo, riconfermato
Ircano II al trono di Gerusalemme, ma sotto la
sorveglianza di un controllore di sua fiducia
nella persona di un certo Antipatro, nella
certezza di aver ristabilito in maniera
definitiva l’ordine, partì per Roma lasciando
una sola legione a Gerusalemme. Alla morte di
Aristobulo II, i suoi successori riprendono la
lotta armata contro Ircano II.
È
in questa rivendicazione che appare la figura di
un certo Ezechia nella parte di capo del
movimento armato contro Ircano II e i romani
suoi sostenitori. (vedi Favola di Cristo pag.
87). Gabinio, proconsole di Siria (55-57 a.C.)
intervenne con le legioni e dopo duri scontri
riuscì a riportare l’ordine. Giulio Cesare,
succeduto a Pompeo, riconfermò Ircano II al
trono di Gerusalemme ma con sempre accanto
Antipatro nella sua carica di controllore (47
a.C.). Antipatro ha un figlio di nome Erode il
quale, per realizzare l’ambizione di prendere
lui il posto degli Asmonei sul trono di
Gerusalemme, si schiera al fianco dei Romani
nella lotta di repressione contro i rivoltosi di
Ezechia. Morto Ezechia in uno scontro armato
contro una pattuglia comandata dallo stesso
Erode (44 a.C.), il suo posto di pretendente al
trono di Gerusalemme viene preso da suo figlio
Giuda, detto il Galileo nel significato che
aveva questo appellativo di “rivoluzionario”
perché era in Galilea che si trovava la più
importante organizzazione rivoluzionaria. Ircano
II, intanto, venne fatto prigioniero nella
guerra che la Palestina stava conducendo contro
i Parti.
Approfittando della cattura di Ircano II, Erode
s’istallò sul trono di Gerusalemme facendosi
eleggere dai Romani re della Palestina. (-40).
Rientrato Ircano II dalla prigionia, Erode fece
uccidere lui e tutti i suoi discendenti degli
Asmonei che avrebbero potuto contestargli il
regno, compresa sua moglie... e i due figli che
aveva avuto da lei. È da questi eccidi che fu
costruita quella strage degli innocenti
riportata dai vangeli, che in realtà non è mai
esistita.
Erode muore nel 4 a.C. lasciando una successione
complicata tra i suoi quattro figli. Alla morte
di Erode, Giuda il Galileo, figlio di Ezechia,
quale Asmoneo pretendente al trono di
Gerusalemme, con un esercito formato da
esseno-zeloti, attacca la legione romana di
stanza a Gerusalemme generando una vera e
propria guerra che termina dopo ben tre
interventi da parte di Quintilio Varo,
proconsole in Siria. La repressione da parte dei
romani è feroce; la crocifissione di duemila
rivoltosi genera un aumento di odio verso i
Romani da parte degli ebrei.
Cesare Augusto, subentrato a Giulio Cesare, per
rendere più controllabile la Palestina la divide
in quattro tetrarchie affidandone ciascuna ad
uno dei quattro figli di Erode. La più
importante, quella della Giudea con capitale
Gerusalemme, l’affida ad Archelao quale
primogenito. Questa conferma da parte di Roma a
mantenere i discendenti di Erode al comando
della Palestina, genera nuove rivolte da parte
dei rivoltosi guidati da Giuda il Galileo.
Cesare Augusto, stanco dei continui disordini
causati da tutte queste lotte di successione,
decide di occupare militarmente la Palestina
passandola da protettorato, quale era, a
provincia dell’Impero Romano e toglie dal trono
di Gerusalemme ogni pretendente di razza ebraica
per sostituirlo con un procuratore romano a cui
accorda ogni autorità, compresa quella di
emettere condanne a morte (6 d.C.).
Come conseguenza del passaggio da protettorato a
provincia, la Palestina viene sottoposta ad un
censimento a fini fiscali che genera un fermento
generale del quale ne approfitta Giuda il
Galileo per organizzare un’ulteriore rivoluzione
contro i romani, rivoluzione alla quale
partecipa tutto il mondo ebraico di religione
biblica in una maniera particolarmente sentita
perché oltre al sentimento di ribellione contro
l’imposizione delle tasse che sarebbe derivata
dal censimento, esso vedeva nella sostituzione
di Archelao con un procuratore romano al trono
di Gerusalemme quell’avvenimento che avrebbe
annunciato l’imminente avvento del Messia
secondo quanto aveva predetto il profeta
Giacobbe: «Il tempo dell’attesa si compirà
quando lo scettro di Davide passerà nelle mani
di uno straniero».
La
partecipazione del popolo fu così massiccia e
sentita da trasformare la rivolta in una vera e
propria guerra che durò oltre due anni mettendo
spesso in difficoltà le legioni romane venute
dalla Siria. Morto Giuda il Galileo in questa
guerra, il suo posto nelle rivendicazioni al
trono di Gerusalemme fu preso dal primogenito
Giovanni e dagli altri suoi sei figli Simone,
Giacomo il Maggiore, Giuda (non l’Iscariote),
Giacomo il Minore, Giuseppe e, l’ultimo, Menahem,
che morirà nella guerra giudaica del 66-70 dopo
essere stato acclamato dagli esseno-zeloti,
durante l’assedio di Gerusalemme da parte delle
legioni romane, re dei Giudei.
Fatta questa breve ricapitolazione per far
comprendere quale importanza ebbero i
discendenti della casta degli Asmonei nelle
rivoluzioni messianiche, passiamo ora ad
analizzare, attraverso una documentazione
storica, questa squadra di combattenti Jahvisti,
formata dai figli di Giuda il Galileo, per
trarre da essa quelle che sono le prime due
prove della non esistenza storica di Gesù
Cristo.
Prova numero uno.
Secondo una prassi già seguita dai Maccabei
nella loro rivolta contro gli Ellenisti (167 a.C.),
i guerriglieri del movimento rivoluzionario
messianico continuarono ad usare gli appellativi
per quell’anonimato di cui hanno bisogno tutti i
partigiani di questo mondo di proteggere se
stessi nella loro latitanza e le proprie
famiglie dalle ritorsioni che potrebbero subire
dalle polizie nemiche, quali loro parenti.
Come i cinque figli del loro antenato Mattatia
(Giovanni, Simone, Giuda, Eleazzaro e Gionata
che furono chiamati rispettivamente Gaddi,
Tassi, Maccabeo, Auaran e Affus - I Mc. 2- 2),
anche i figli di Giuda il Galileo,
autonominatisi Boanerghes, cioè figli della
vendetta, adottarono dei soprannomi personali
oltre a quelli che gli furono attribuiti in
forma generica, quali quelli Qanana e Zelota,
che rispettivamente significano “rivoluzionario”
(il primo in aramaico, il secondo in greco), e
quello di “Galileo”, che veniva dato ai
guerriglieri del nord perché era in Galilea che
si accentrava una forte componente
rivoluzionaria, come risulta da antichi
documenti aramaici, greci e latini (Novum
Testamentum Graece et Latine).
Ritenendo troppo lungo soffermarmi a parlare di
tutti e sette i fratelli in questa lettera
aperta, tratterò soltanto di quelli che mi sono
direttamente coinvolti in quella che sarà la
prima prova che porterò per dimostrare la non
esistenza storica di Gesù detto il Cristo, cioè
Simone che ebbe gli appellativi di Barjona, che
in aramaico significa latitante, e Kefas
(pietra), che gli fu dato nel significato
allegorico di roccia per la sua corporatura
muscolosa e massiccia, e Giacomo il Maggiore il
cui nome viene associato nei documenti a quello
di Boanerghe.
La
banda dei Boanerghes (figli della vendetta),
operò come tutte le altre bande esseno-zelote,
sul territorio palestinese per coinvolgere la
popolazione, come era avvenuto nella rivolta del
censimento, in quella che doveva essere a
rivoluzione finale che, liberando la Palestina
dall’occupazione romana, avrebbe rimesso sul
trono di Gerusalemme un discendente della stirpe
di Davide.
Partendo dalla regione della Golanite, cioè dai
confini della Siria, attraverso la Galilea e la
Samaria, era in Giudea, con la conquista di
Gerusalemme, che doveva concludersi quel
programma esseno-zelota che prevedeva la
vittoria del bene contro il male, il trionfo
definitivo degli angeli della luce, sugli angeli
delle tenebre; i primi rappresentati da loro,
sostenitori del monoteismo biblico, i secondi
raffigurati dai seguaci delle divinità pagane.
I
Boanerghes non erano altro che una delle tante
bande, di cui ci parlano gli storici
contemporanei, che, approfittando del
malcontento popolare generato dalle ingiustizie
sociali, praticavano il proselitismo di massa
aizzando, in nome di una morale comunista, i
diseredati contro le classi privilegiate e
contro le istituzioni della Stato, e
terrorizzando coloro che si rifiutavano di
collaborare: «Se queste bande di Galilei non
ricevevano quanto chiedevano, incendiavano le
case di coloro che si rifiutavano e poi li
uccidevano con le famiglie». (Filone).
«Distribuiti in squadre, saccheggiavano le case
dei signori che poi uccidevano, e davano alle
fiamme i villaggi sì che tutta la Giudea fu
piena delle loro gesta efferate». (Giuseppe
Flavio- Guerra Giud.).
“In illo tempore”, cioè nello stesso periodo
messianico, apprendiamo dai Testi Sacri che
un’altra squadra percorse la Palestina del tutto
uguale a quella dei Boanerghes, sia nei nomo dei
componenti che nell’applicazione del programma
seguito per conquistare le masse, cioè quel
programma che veniva eseguito dagli attivisti
nazir esseno-zeloti promettendo alle classi
umili l’eredità della terra e la conquista dei
cieli se li avessero seguiti nel loro precetti,
e terrorizzando coloro che gli si opponevano.
Una combinazione di eventi e di persone che si
potrebbe pure attribuire al caso, come qualche
credente mi ha fatto osservare, se non ci
fossero ulteriori considerazioni che ci
confermano che in realtà una delle due deve
essere esclusa dalla storia. Quale? Quella
formata dai figli di Giuda il Galileo,
confermata dai documenti storici, oppure l’altra
sostenuta dai Testi Sacri?
Le
figure di Simone e Giacomo ci vengono presentate
da Giuseppe Flavio che così ci parla di essi:
«Sotto l’amministrazione del procuratore Tiberio
Alessandro (44-46), si verificarono disordini
che portarono alla cattura di due figli di Giuda
il Galileo: si chiamavano Simone e Giacomo, e
furono entrambi crocifissi; questi era il Giuda
che, come ho spiegato sopra, aveva aizzato il
popolo alla rivolta contro i Romani, mentre
Quirino faceva il censimento in Giudea».
(Giuseppe Flavio -Ant. Giud.-XX, 102 - Classici
UTET).
Se
il Simone e Giacomo dei quali ci parla la storia
risultano essere due figli di Giuda il Galileo
crocefissi nel 44 sotto il procuratore Tiberio
Alessandro con l’accusa di essere dei
rivoluzionari, chi sono il Simone e il Giacomo
dei Testi Sacri?
I
vangeli ce li presentano come due pescatori che
Gesù incontrò mentre passeggiava lungo la riva
del lago di Tiberiade mentre gettavano le reti.
Seguendo quell’ispirazione divina che si trova
alla base di ogni affermazione testamentaria,
Gesù si rivolse a loro invitandoli a seguirlo
sulla promessa che li avrebbe resi “pescatori di
uomini”, ed essi, senza porsi domande, lo
seguono per diventare, così, suoi discepoli.
(Mt. 4,18).
Dopo essere stato dichiarato “figlio di Giona”,
Simone fu prescelto da Gesù come la “pietra”
sulla quale egli avrebbe edificato la sua
Chiesa: «Beato te, figlio di Giona, gli disse
Gesù, tu sei Pietro e su questa pietra
edificherò la mia Chiesa». (Mt. 16,17).
Giacomo ricevette da Gesù, l’appellativo di
Boanerghe: «Gesù diede a Giacomo l’appellativo
di Boanerghe».(Mc. 3,17).
Simone difese Gesù al Getsemani, dove, stando al
vangelo, era andato con gli apostoli a pregare,
tagliando con un colpo di spada l’orecchio ad
una guardia del Tempio di nome Malco: «Simon
Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e
colpì il servo del Sommo Sacerdote e gli tagliò
l’orecchio». (Gv. 18,10).
La
biografia evangelica di Simone e Giacomo,
termina con l’incitamento che Gesù gli rivolge,
prima di risalire in cielo, di “andare in tutto
il mondo e predicare il vangelo”. (Mc. 16,15).
La
figura di Simone la ritroviamo negli Atti degli
Apostoli nel ruolo di capo che guida la prima
comunità cristiana di Gerusalemme e la istruisce
fino a quando non viene catturato insieme a
Giacomo per volere di Erode Agrippa (41-44) con
l’ordine che vengano entrambi giustiziati. Ma,
per un miracolo divino, mentre Giacomo fu ucciso
di spada, Simone si salvò perché un angelo lo
liberò dalle catene e lo fece fuggire aprendogli
la porta della prigione: «In quel tempo il re
Erode Agrippa (41-44) cominciò a perseguitare
alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di
spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che
questo era gradito ai Giudei, decise di
arrestare anche Pietro il quale però non venne
ucciso perché mentre era in prigione in attesa
dell’esecuzione, un angelo lo liberò dalle
catene, gli aprì la porta del carcere e lo fece
fuggire». (At.12- 1 e segg.).
È
così, con questa fuga dalla prigione, che
finisce la biografia di Simone secondo le Sacre
Scritture; tutto il resto che riguarda la sua
venuta a Roma e la nomina a primo Papa è stato
aggiunto dai Padri della Chiesa.
Per ciò che riguarda la sua morte nessun
documento testamentario ne parla. Essa è stata
costruita nel IV secolo quando la Chiesa lo
dichiarò primo Papa per dare il primato a Roma
sul cristianesimo. Prima di quella che viene
oggi riconosciuta come vera, nella quale ci
viene presentato nel coraggio di un Papa eroe
che affronta la crocifissione sorridendo dopo
aver assistito impavido al supplizio di sua
moglie, e nell’umiltà di un discepolo che chiede
di essere crocefisso con la testa all’ingiù
perché non si ritiene degno di morire nella
stessa posizione di Cristo, a Simone furono
attribuite altre due morti. In una si diceva che
era morto come un pusillanime che era andato al
patibolo piangente e tirato con forza, e in
un’altra si diceva che era stato crocefisso per
volere di Nerone perché in una sfida di magia
aveva provocato la morte di Simone il Mago
facendolo cadere, con le sue preghiere,
dall’alto mentre volava.
Tre morti differenti ma tutte aventi un preciso
significato. La prima che gli fu data in
relazione al mago Simone, doveva dimostrare la
superiorità dello Spirito Santo su ogni forma di
magia, la seconda, quella che affronta
piangente, doveva confermare il suo carattere
pusillanime che lo aveva portato a rinnegare tre
volte Gesù, e la terza, quella definitiva che
viene sostenuta dalla Chiesa, fu costruita per
confermare la forte personalità di colui su cui
Cristo aveva costruito la sua Chiesa.
Il
fatto della testa all’ingiù fu escogitato dai
padri della Chiesa per evitare che un secondo
crocefisso potesse creare dei problemi nella
catechesi cristiana.
Simone e Giacomo di Giuseppe Flavio sono gli
stessi dei quali parlano i Testi Sacri?
A
chi potrebbe obbiettare che il Simone e il
Giacomo riportati da Giuseppe e dai documenti
scritti in aramaico e greco (obiezione che sono
stati capaci di pormi i più accaniti sostenitori
delle verità evangeliche), non sono gli stessi
di cui parlano i testi sacri, perché nulla ci
vieta di ammettere che possano essere esistite
contemporaneamente due coppie di persone che
avevano lo stesso nome, noi porteremo ulteriori
prove che, tratte dalle falsificazioni che
furono operate dai Santi Padri della Chiesa
(Ireneo, Epifanio, Girolamo ecc.), elimineranno
nella maniera più inconfutabile ogni possibilità
di scappatoia anche in coloro che persistono nel
più irriducibile irrazionalismo della fede.
Esaminiamo gli appellativi che vengono
attribuiti a Simone e Giacomo secondo gli
antichi documenti:
Barjona: Il Barjona dato al Simone dei
Boanerghes, dal significato originario di
“latitante”, che ritroviamo trasformato in
“figlio di Giona” nei Testi Sacri non è che il
risultato di una manipolazione operata sulla
parola nella traduzione dall’aramaico in greco.
Sapendo che in aramaico “bar” significa figlio,
i Padri della Chiesa ricavarono “figlio di
Giona” separando “bar” da “Jona” con
l’accortezza di scrivere bar in lettera
minuscola come un nome comune e Jona in lettera
maiuscola per farlo diventare nome proprio di
persona: Simone Barjiona = Simone bar Jona =
Simone figlio di Jona. (Da Novum Testamentum
Graece et Latine pag. 54, 17).
Che questa trasformazione sia una il risultato
di una voluta falsificazione e non di un errore
di traduzione ci viene confermato da tre motivi:
a)
La parola aramaica “bar”, non può trovare
nessuna giustificazione in una traduzione
scritta tutta in greco se non in
un’intenzionalità tesa al raggiungimento di uno
scopo.
b)
Il nome proprio Jona, non esistendo in aramaico,
esclude ogni possibilità di attribuire una
figliolanza a qualcuno che non può avere questo
nome.
c)
La parola in “bar”, nel significato di figlio,
si trova sul testo greco soltanto davanti a
“Giona” mentre in tutti gli altri casi viene
giustamente tradotta con “fios”.
Praticamente, in un testo scritto tutto in
greco, i traduttori (falsari) hanno inserito
questa parola aramica bar che, guarda caso,
sparisce poi nella versione latina dove “bar
Jona” viene tradotto con “filius Jonae”. Tutto
questo perché il Simone Barjona latitante in
aramaico, passando per Simone bar Jona nella
traduzione greca, perdendo ogni traccia del
rivoluzionario, possa divenire il pescatore di
anime “Simon filius Jonae” dei vangeli canonici.
E come per Simone, altrettanto furono operate
negli altri componenti la banda dei Boanerghes
quelle manipolazioni necessarie perché gli
appellativi rivoluzionari assumessero un
significato pacifico, come Qananite, che in
Aramaico significa rivoluzionario, che fu
trasformato in Cananeo, cioè oriundo della città
di Cana, e Galileo in abitante della regione
della Galilea.
Kefas: L’appellativo Kefas (cefa), che nel
significato di “pietra” fu dato a Simone per la
sua massiccia corporatura, fu trasformato dai
falsari in quel nome proprio di “Petrus” che, in
senso traslato, sarà usato per indicare in lui
la “pietra” su cui Gesù edificherà la sua
Chiesa. «Beato te, Simone, figlio di Giona... tu
sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia
Chiesa» (Mt. 16- 17 e segg.). Frase che se fosse
stata espressa nel significato originale,
avrebbe suonato: «Beato te, Simone, latitante,
perché sarà su di te, forte come una roccia, che
io edificherò la mia rivoluzione», quella
rivoluzione che gli Asmonei, seguendo il
programma esseno-zelota, stavano preparando
contro i Romani per la liberazione della
Palestina.
Boanerghe e Zelota: Questi due appellativi dati
a Giacomo quale combattente Jahvista
appartenente alla banda dei Boanerghes,
confermati come sono dagli stessi vangeli
canonici non hanno bisogno di ulteriori
documentazioni e commenti per quanto la Chiesa
cerchi di cambiarne il vero significato
rivoluzionario dicendo che Zelota fu dato a
Giacomo nel significa di “zelante nell’amore per
Cristo” e Boanerghe perché era sua abitudine di
parlare a voce alta come un tuono.
Ma
per quanto i falsari abbiano cercato di far
sparire ogni traccia rivoluzionaria nella
trasformazione dei Bohenerges in pacifici
discepoli di Gesù, tanti sono i passi rimasti
nei vangeli che testimoniano la loro originale
natura estremista, quale quello citato da Luca
che “nell’autorizzazione che i discepoli
chiedono a Gesù di incendiare un villaggio
samaritano perché si era rifiutato di
concedergli asilo (Lc. 9,51 e segg.) ci riporta
a quanto gli storici del tempo scrissero di
queste squadre estremiste esseno-zelote: «Se
queste bande di Galilei non ricevevano quanto
chiedevano, incendiavano le case di coloro che
si rifiutavano e poi li uccidevano con le
famiglie». (Filone).
«Distribuiti in squadre, saccheggiavano le case
dei signori che poi uccidevano, e davano alle
fiamme i villaggi si che tutta la Giudea fu
piena delle loro gesta efferate». (Giuseppe
Flavio- Guerra Giud.).
Alla domanda di come sia possibile che nei
vangeli si trovino passi che possano
testimoniare la vera natura zelota nella squadra
di Gesù quando la Chiesa avrebbe avuto tutto
l’interesse di nasconderli, la risposta la
troviamo nel fatto che i quattro vangeli
canonici, scritti tutti nella seconda metà del
II secolo, furono totalmente ricopiati dal
vangelo che i Battisti scrissero, nella seconda
metà del I secolo, per costruire in Giovanni
Battista la figura del predicatore spirituale e
del rivoluzionario zelota secondo i canoni del
movimento esseno-zelota che volevano un Messia
dalla duplice figura, la figura del predicatore
spirituale e la figura del guerriero davidico.
Ma questo fa parte di un capitolo che sarà
trattato a parte.
Dimostrato così che il Simone e il Giacomo dei
Testi Sacri non sono altro che due figure
immaginarie ricavate dal Simone e Giacomo che
Flavio Giuseppe ci presenta come figli di Giuda
il Galileo, tutto ciò che la Chiesa sostiene su
di essi crolla miseramente. Come si può ancora
credere che il Simone Pietro, figlio di Giona,
sia potuto andare a Roma nel 62 ed esservi
eletto primo Papa se è stato crocifisso nel 44
sotto Alessandro Tiberio con l’accusa di
rivoluzionario? Come si può pretendere che tutta
la storia della Chiesa possa reggersi ancora su
una favoletta, quella favoletta dell’angelo che
liberò Simone dalle catene?
Prova numero due dell’inesistenza storica di
Gesù.
La
seconda prova della non esistenza storica di
Gesù ci sarà fornita, netta ed inconfutabile,
mettendo in diretto confronto la figura del
Messia dei Testi Sacri, detto il Nazareno, con
il Messia della Storia, detto il Nazireo,
entrambi pretendenti al trono di Gerusalemme in
qualità di “re dei Giudei”.
Messia dei Testi Sacri.
Il
Messia dei Testi Sacri, al quale la Chiesa ha
dato il nome di Gesù, ci viene presentato
secondo i seguenti dati anagrafici:
a)
Paternità: figlio primogenito di Giuseppe.
b)
Luogo di nascita: Betlemme, anche se Marco e
Giovanni non ne fanno menzione nelle loro
biografie cominciando il racconto della sua vita
da quando aveva trent’anni.
c)
Residenza: Nazaret, perché la città natale di
suo padre Giuseppe, secondo il biografo Dottor
Luca, perché ha dovuto rifuggircisi dal ritorno
dall’Egitto dove si era rifugiato per sfuggire
alla strage degli innocenti ordinata da Erode
che voleva ucciderlo perché ritenuto suo
concorrente al trono di Gerusalemme.
d)
Professione: Rabbi.
e)
Ha due appellativi, quello di Galileo perché
Nazaret si trovava nella regione della Galilea,
e quello di Nazareno che gli viene dalla città
di Nazaret, considerata sua patria per adozione
da Matteo e per discendenza atavica da Luca.
f)
Inizia la sua missione di predicatore formando
una squadra di dodici discepoli, dei quali
alcuni sono suoi fratelli che si chiamano Simone
Pietro, detto Cefa, figlio di Giona, Giacomo il
Maggiore detto Boanerghe, Giuda detto Teudas
(Taddeo), Giacomo il Minore detto Zelota...
degli altri otto, essendo alquanto complicata la
spiegazione dei nomi, ne parleremo in una
prossima lettera aperta. Con questa squadra di
discepoli, partendo dai confini della Siria (Mt.4,23),
dopo un periodo di prediche di durata
imprecisata (tre per i biografi Matteo e Marco,
due per il biografo Dottor Luca e uno soltanto
per il biografo Giovanni), percorre la Palestina
predicando una morale del tutto identica a
quella esseno-zelota, giunge a Gerusalemme
perché è in questa città che, secondo i Testi
Sacri, deve concludersi la sua missione di
evangelizzatore. Prima di entrarvi, ne prevede
la distruzione. (Mt.24,15).
g)
Sotto le feste di Pasqua, dopo aver consumato
una cena nella quale i discepoli vi partecipano
armati di spade, viene arrestato nel Getsemani e
crocefisso sotto l’accusa di aver commesso reati
di natura religiosa e politica; religiosa, per
essersi dichiarato figlio di Dio, e politica,
per aver sostenuto di essere il re dei Giudei
(reato gravissimo per i Romani), di aver tentato
di sollevare il popolo e di avere impedito di
pagare i tributi a Cesare ( Lc. 23 - 1,5).
Giovanni di Gamala secondo la documentazione
storica.
a)
Paternità: figlio primogenito di Giuda il
Galileo.
b)
Luogo di nascita: Gamala, sita nella regione
della Golanite confinante con la Siria.
c)
Residenza: Gamala, città degli Asmonei.
d)
Quale discendente della stirpe di David, viene
ricercato da Erode perché lo considera un suo
rivale al trono di Gerusalemme.
e)
Professione: Rabbi.
f)
Ha due appellativi, quello di Galileo come suo
padre Giuda, anche se di origine Golanite,
perché appartenente al movimento rivoluzionario
che ha sede in Galilea, e quello di Nazireo
perché appartenente alla casta
politico-religiosa dei Nazir alla quale il
movimento rivoluzionario aveva affidato la
propria propaganda secondo i canoni della morale
esseno-zelota.
g)
Inizia la sua missione di propagandista
rivoluzionario costituendo una banda di
guerriglieri, autonominatasi “Boanerghes” (figli
della vendetta), della quale fanno parte i suoi
sei fratelli, i cui nomi sono Simone Barjiona,
detto Cefa, Giacomo il Maggiore, detto Boanerghe,
Giuda, detto Teuda, Giacomo il Minore, detto
Zelota, Giuseppe e Menahem. Con questa banda di
guerriglieri, partendo dalla sua regione
Golanite, che si trova ai confini della Siria,
percorre la Palestina per concludere la sua
missione in Giudea con la conquista di
Gerusalemme.
e)
Sotto le feste di Pasqua (era in questa
ricorrenza che i rivoluzionari organizzavano le
rivolte approfittando della confusione generata
dal forte afflusso di pellegrini) viene
catturato nel Getsemani e quindi crocifisso
sotto l’accusa di promotore di una rivolta.
Confronto storico-geografico tra Nazaret e
Gamala.
Come si vede dai due estratti sopra riportati,
ci troviamo di fronte a due personaggi che,
tolto qualche dato, come la paternità e la città
da cui provengono, hanno tutto il resto in
comune. Sono entrambi perseguitati da Erode
perché vede in essi dei probabili rivali al
trono di Gerusalemme quali discendenti della
stirpe di Davide, sono tutti e due Rabbi, hanno
lo stesso appellativo di “Galileo”, sono capi di
due squadre composte da seguaci tra cui ci sono
loro fratelli che hanno lo stesso nome, e
iniziano, sia l’uno che l’altro, la loro
missione dai confini della Siria per concluderla
sotto le feste di Pasqua a Gerusalemme, dove
vengono catturati nell’orto del Getsemani per
essere crocefissi sotto l’accusa di rivoltosi.
Lasciando da parte le paternità che non possono
essere discusse su un piano storico perché
quella di Giuseppe, attribuita a Gesù dai Testi
Sacri, non è altro che il risultato di
un’immaginaria elaborazione biblica, passiamo ad
esaminare l’altra differenza che possiamo
affermare essere la sola che si oppone a fare
dei due personaggi la stessa persona, cioè
quella riguardante le due città che vengono
indicate come loro patrie; la città di Nazaret
che viene attribuita a Gesù dai vangeli e la
città di Gamella che viene attribuita a Ezechia,
nonno di Giovanni, da Giuseppe Flavio.
Nazaret.
Lasciando l’annosa discussione riguardo la sua
esistenza al tempo di Gesù che da alcuni è
negata perché nessun documento ne parla prima
del IX secolo, mentre da altri viene
riconosciuta sotto forma di un piccolo
raggruppamento di capanne dai tetti di paglia,
procediamo nella dimostrazione della seconda
prova considerando Nazaret nella sua posizione
geografica leggermente collinare distante circa
trentacinque chilometri dal lago di Tiberiade.
Analizzando i vangeli non si può non restare
sorpresi dal fatto che le descrizioni che essi
fanno della patria di Gesù non hanno nulla a che
vedere con la realtà.
Leggiamo insieme: «Terminate queste parabole,
Gesù partì di là e venuto nella sua patria
insegnava nella Sinagoga. La gente del suo
paese, riconosciutolo, si mise a parlare di lui.
Gesù, udito ciò che dicevano, partì di là su una
barca, ma visto che la gente restava sulla
spiaggia guarì i malati e moltiplicò i pani e i
pesci. Congedata la folla, salì sul monte e si
mise a pregare. Dal monte vide che sotto, nel
lago di Tiberiade, la barca degli apostoli era
messa in pericolo dalle onde generate dal vento
che si era improvvisamente levato». (Mt. 13,2).
Se
la patria di Gesù è Nazaret, come viene
affermato dalla Chiesa, e Nazaret è una città
situata su una zona leggermente collinare e
lontana dal lago di Tiberiade trentacinque
chilometri, vorrei che almeno uno dei tre (don
Enrico Righi, il cardinale Biffi e il vescovo
Carraro), ai quali mi sono rivolto perché mi
dessero una prova, una soltanto, dell’esistenza
storica di Gesù, mi spiegasse come possa esserci
una riva, delle barche e un monte che si erge
sul lago di Tiberiade.
Una vera contraddizione che non può trovare
nessuna giustificazione, anche la più assurda,
dal momento che la troviamo ripetutamente
confermata da tutti gli evangelisti come risulta
dai passi sotto riportati:
«Gesù
si recò a Nazaret dove era stato allevato; ed
entrò, secondo il suo solito, di Sabato nella
sinagoga e si alzò a leggere... all’udire queste
cose tutti furono pieni di sdegno; si levarono,
lo cacciarono fuori della città e lo condussero
al ciglio del monte sul quale la città era
situata per gettarlo giù dal precipizio, ma
egli, passando in mezzo a loro se ne andò». (Lc.
4- 14 e segg.).
«Quel giorno Gesù uscì di casa e, sedutosi in
riva al mare (lago di Tiberiade), cominciò a
raccogliersi intorno a lui tanta folla che
dovette salire su una barca». (Mt. 13- 1,2).
«Sentendo ciò che diceva, una gran folla si recò
da Gesù. Allora egli pregò i suoi discepoli che
gli mettessero a disposizione una barca, a causa
della folla, perché non lo schiacciassero...
salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che volle
andassero da lui... Entrò in casa e si radunò
intorno a lui molta folla, al punto che non
poteva neppure prendere cibo. Giunsero sua madre
e i suoi fratelli e, stando fuori lo mandarono a
chiamare. Dopo aver spiegato chiaramente chi
fossero realmente i suoi parenti, uscito di
casa, Gesù si mise a insegnare di nuovo lungo il
mare»...e come questi, tanti sono ancora i passi
dei quattro evangelisti che, riferendosi alla
città natale di Gesù, escludono nella maniera
più evidente che Nazaret possa essere la sua
patria almeno che non si voglia, e tutto è
possibile alla fede, mettere barche in un paese
che dista trentacinque chilometri dal lago di
Tiberiade e trasformare un pagliaio in una
montagna.
Gamala.
Se
la patria di Gesù non è Nazaret, quale è allora
questa città a cui si riferiscono i vangeli? La
risposta ci viene da un passo della “Guerra
Giudaica” nel quale Giuseppe Flavio ci parla di
Ezechia, padre di Giuda il Galileo e nonno di
Giovanni, pretendente al trono di Gerusalemme
quale appartenente alla casta degli Asmonei
discendente della stirpe di Davide:
«Ezechia era un Rabbi appartenente a famiglia
altolocata della città di Gamala che era situata
sulla sponda golanite del lago di Tiberiade.
Questa città non si era sottomessa ai romani
confidando nelle sue difese naturali. Da una
montagna si protende infatti uno sperone
dirupato il quale nel mezzo s’innalza in una
gobba che dalla sommità declina con uguale
pendio sia davanti che di dietro, tanto da
somigliare al profilo di un cammello (gamlà); da
questo trae il nome, anche se i paesani non
rispettano l’esatta pronuncia del nome
chiamandola Gamala. Sui fianchi e di fronte
termina in burroni impraticabili mentre è un po'
accessibile di dietro. Ma anche qui gli
abitanti, scavando una fossa trasversale,
avevano sbarrato il passaggio. Le case costruite
sui pendii erano fittamente disposte l’una sopra
l’altra: sembrava che la città fosse appesa e
sempre sul punto di cadere dall’alto su se
stessa. Affacciata a mezzogiorno, la sua sommità
meridionale, elevandosi a smisurata altezza,
formava la rocca della città, sotto di cui un
dirupo privo di mura sprofondava in un
profondissimo burrone».(Guerra Giud. IV -4,8).
Basta rileggere uno solo dei passi evangeli
citati per renderci conto che la città di Gesù,
corrispondendo esattamente alla descrizione di
Giuseppe Flavio, non è assolutamente Nazaret ma
Gamala.
Ma
come è potuto accadere che gli evangelisti siano
caduti in una simile incoerenza? La risposta è
semplice: il capitolo riguardante la nascita di
Gesù, nel quale viene dichiarata Nazaret come
patria di Gesù, fu aggiunto in Matteo e in Marco
quando i vangeli erano già stati scritti e
pubblicati, cioè nel IV secolo allorché i Padri
della Chiesa decisero di dare a Gesù una
incarnazione attraverso una nascita terrena,
incarnazione che fino ad allora era stata
sostenuto essere avvenuta all’età di trent’anni,
nel momento del battesimo ricevuto da Giovanni,
per dichiarazione di Dio: «Questi è il mio
figlio prediletto, che oggi ho generato».
Perché fu scelto proprio Nazaret, quel paese che
al tempo di Gesù poteva essere tutt’al più
rappresentato da un insignificante villaggio
formato da quattro capanna dai tetti di paglia e
non una città di maggiore importanza come
Cafarnao, Sefforis o altre? Perché dovevano far
sparire quell’appellativo di Nazireo che,
significando “attivista del movimento
rivoluzionario”, avrebbe compromesso la
trasformazione di un combattente Boanerges,
figlio della vedetta, in un predicatore di pace
e di perdono. E, così, ancora una volta, come in
tante altre trasformazioni fatte per nascondere
la natura originaria zelota dei discepoli (vedi
“quananite”, in nativo di Cana, “Ecariot” in
nativo di Keriot, “Galileo” nativo della
Galilea), ricorrendo all’espediente geografico,
trasformarono “Nazireo” in “Nazareno” quale
oriundo della città di Nazaret.
Trasformazione che, secondo gli esegeti, spinge
ad un sorriso di compassione nella sua arrogante
falsità se si considera che gli abitanti di
Nazaret non si chiamano nazareni, ma “Nazaretani”.
Dunque, se la patria di Gesù non è Nazaret ma
Gamala, chi altri, in realtà, egli ha potuto
essere se non quel figlio di Giuda il Galileo
che, quale primogenito di sette fratelli, morì
crocifisso per restaurare il regno di David di
cui lui, quale asmoneo, ne pretendeva il trono?
Queste sono le prime due prove che invio come
risposta al silenzio della Chiesa alla mia
richiesta di una prova sull’esistenza storica di
Gesù, detto il Cristo, per la quale, se mi fosse
fornita, sono pronto a ritirare subito la
querela contro la Chiesa, nella persona di don
Enrico Righi, per abuso di credulità popolare e
sostituzione di persona. Ho detto le prime due
perché altre ne seguiranno.
P.S.
Risponderò ad eventuali obiezioni soltanto se mi
verranno da una delle tre persone sopra nominate
o da chi, prendendo il loro posto, si assuma
tutta la responsabilità della Chiesa nella
qualità di suo ministro. Ogni intromissione di
terzi appartenenti al mondo laico, per quanto
dotti e credenti possano dimostrarsi, sarà
respinta.
Luigi Cascioli
www.LuigiCascioli.it
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citando il nome dell’autore e riportando questa
scritta.
Luigi Cascioli
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