PROIBIRE IL
PROIBIZIONISMO
Negli ultimi tempi alcuni mezzi
d’informazione di massa hanno riportato alla
ribalta del dibattito politico-istituzionale
il dramma della droga. Probabilmente
si intende
avallare quella proposta legislativa che
reca il nome dell’onorevole Fini, il cui
intento dichiarato è colpevolizzare i
tossicomani, giudicati alla stessa stregua
degli spacciatori, annullando cioè la
“liceità” del consumo personale finora
tollerato.
Come argomentano i fautori della proposta di
legge, la gravità dell’attuale situazione
sarebbe
determinata dal “permissivismo” contenuto
nel concetto di “modica quantità”, un’idea
ispirata e alimentata dall’affermazione,
soprattutto negli anni ’60 e ‘70, della
“cultura della droga”, intimamente sposata
alle cosiddette “culture alternative” o
“controculture”. In effetti, questo è il
ragionamento, rozzo e semplicistico, che
fonda lo spirito della legge Fini.
Invece, è un dato incontestabile che la
causa dei crimini abitualmente perpetrati
nelle aree urbane più degradate, ad esempio
i reati commessi dai giovani tossicomani,
sia proprio nell’esatto contrario del
permissivismo, ossia in quel regime
proibizionista che di
fatto regola e decide la questione.
Un regime che la legge
Fini renderebbe ancora più crudo,
criminalizzando non solo le abitudini di
milioni di consumatori di droghe leggere, ma
penalizzando anche altri comportamenti, fino
a negare e calpestare alcuni diritti sanciti
dalla Costituzione.
Le misure draconiane previste dalla suddetta
legge (non ancora in vigore) mirano a
reprimere il diritto a “farsi”,
ma non ne eliminano le cause reali,
nella misura in cui le ragioni
dell’alienazione giovanile nelle droghe sono
di natura esistenziale, psicologica,
culturale, non giuridica. Inoltre, quelle
norme punitive investirebbero solo i piccoli
spacciatori, ossia gli stessi abituali
consumatori di sostanze narcotiche.
Tale disegno politico cela una perversa
volontà di esasperare il fenomeno della
violenza urbana, specialmente di quella
minorile. L’esperienza storica ha dimostrato
che l’imbarbarimento di una già ferrea
disciplina repressiva non fa altro che
scatenare l’effetto contrario, generando
fenomeni di recrudescenza e l’aumento del
disordine, della rabbia, della disperazione.
Tale proposta di legge costituisce un
ulteriore segnale
che attesta l’involuzione in senso
reazionario di una notevole parte della
classe dirigente italiana, a cui non
corrisponde un pari fenomeno regressivo
nella società civile, che in tal modo si
discosta sempre più dagli ambienti, dagli
umori e dai poteri istituzionali del
Palazzo.
Lucio
Garofalo