Chiarisco subito un concetto che deve costituire
un punto fermo e inamovibile: il nuovo attentato
terroristico che ha devastato Londra rappresenta
un orrendo crimine commesso contro l’intera
umanità, soprattutto contro la parte più umile e
indifesa del genere umano.
Voglio urlare con forza il mio sdegno morale
contro atti che rivelano soltanto una ferocia
assassina ed una raccapricciante efferatezza, e
non sono certo utili alla causa degli oppressi o
dei diseredati del pianeta, anzi non è
ravvisabile alcun vantaggio per i più deboli e
miserabili. Caso mai vi si annidano gli
interessi affaristici e miliardari di qualche
oscuro centro di potere sovranazionale.
Comunque, per comprendere simili fenomeni non
servono analisi di carattere dietrologico, ma
occorre sforzarsi di compiere una valutazione il
più possibile lucida ed obiettiva dei fatti e
delle conseguenze. Occorre chiedersi: cui
prodest, a chi giova tutto ciò?
A
chi giovano, dunque, queste azioni criminali e
stragiste che, per la loro tipologia, mirano a
colpire in modo indiscriminato le masse
popolari, non certo bersagli ben precisi e
individuati, tanto meno i sedicenti ”decisori”
superblindati del G8.
Uno degli effetti più immediati è stato quello
di stravolgere l’agenda politica del summit
scozzese, ponendo al primo punto il tema della
sicurezza e della “guerra al terrorismo”, così
da ridare fiato e slancio alla strategia della
“guerra preventiva” (o “guerra globale
permanente”) imposta dall’intellighenzia
neoconservatrice che ispira l’amministrazione
nordamericana. Una strategia che ormai
attraversa una grave crisi di consensi a livello
internazionale, e spera in una ripresa e in un
recupero di immagine e di risorse finanziarie.
La
priorità più urgente della politica mondiale
torna ad essere la cosiddetta “emergenza
terrorismo”, a cui vengono subordinate e
sacrificate tutte le altre questioni di cui si
era tanto cianciato (anche durante il “Live 8”,
ricordate?): il bisogno di sicurezza prevale ora
sul blando sentimento di solidarietà e
fraternità suscitato dall’iniziativa
mega-spettacolare di Bob Geldof e dell’apparato
ideologico-propagandistico costruito intorno ai
mega-concerti del “Live 8”.
Tutto il resto non conta più. Conta solo la
questione della sicurezza, ossia la sicurezza
dell’occidente, rispetto alle insidie
provenienti dal terrorismo globale. Questa
“emergenza” viene ora nuovamente anteposta sia
alla tragedia della povertà estrema e del debito
economico che affligge e debilita le popolazioni
africane, sia ai pericoli derivanti dai
mutamenti climatici terrestri e, di conseguenza,
al punto concernente il protocollo di Kyoto.
Ebbene, tutto ciò è passato rapidamente in
secondo piano: questo è un primo dato di fatto
assolutamente innegabile.
In
tal senso, una conseguenza degna di rilievo è
stata l’intensificazione delle misure di
sicurezza nel mondo, soprattutto nelle metropoli
occidentali, compresa l’Italia, apertamente
minacciata da Al Qaeda. La circostanza che
deriva da tale “incombente e permanente
minaccia” è una drastica riduzione delle libertà
individuali, che vengono sacrificate sull’altare
della “sicurezza generale”. Rinunciare alla
libertà per ottenere in cambio più sicurezza:
questo è lo slogan trito e ritrito che è stato
rapidamente adottato da diversi ambienti
politici, nazionali ed internazionali.
Un
altro effetto immediato è riconoscibile in
un’operazione di isolamento e ghettizzazione che
ha coinvolto il movimento “noglobal”, al fine di
indebolire ed affossare le istanze, le lotte e
le vertenze anticapitaliste che sono portate
avanti in questi giorni attraverso iniziative ed
incontri “anti-G8”, una sorta di “summit
alternativo” in cui i protagonisti non sono più
otto individui che si arrogano il diritto di
decidere e condizionare il destino dell’intera
umanità, bensì centinaia di migliaia di persone,
di attivisti, di esperti, di studiosi, di
semplici cittadini, che si mobilitano e si
risolvono a partecipare concretamente ad un
convegno, ad un’assemblea, ad una
manifestazione, per dare voce a sé e a chi non
riesce a far sentire la propria.
Uno degli obiettivi perseguiti da questa
strategia internazionale del terrore, sembra
essere proprio quello di emarginare e
criminalizzare il cosiddetto “movimento dei
movimenti” che contesta il G8 e gli contrappone
un modello alternativo ed antitetico di
discussione e decisione collegiali, di
organizzazione dei rapporti interpersonali e
politici a partire dal basso, ossia dai bisogni
e dalle rivendicazioni concrete della gente,
attraverso forme democratico-dirette e
partecipative, rifiutando la logica autoritaria
e verticistica del summit, per optare a favore
di una costruzione orizzontale, diffusa ed
aperta della prassi politica.
Un
altro importante motivo di riflessione riguarda
il quadro politico mediorientale. Mi spiego.
L’attentato stragista di Lontra sembra aver
ridestato bruscamente l’opinione pubblica
internazionale dallo stato di torpore e di
indifferenza generato da una sorta di
assuefazione alle immagini di guerra, di orrore
e di morte, provenienti tutti i giorni dall’Iraq
e dallo scenario mediorientale.
E’
evidente ed ovvio ormai che, quando simili
vicende terroristiche insanguinano New York,
Madrid o Lontra, anziché Baghdad o i
palestinesi, la comunità occidentale sembra
reagire in modo viscerale ed irrazionale, in
preda agli effetti scioccanti e tramatici della
paura.
Pertanto, chi decide di diffondere il panico e
l’angoscia per favorire il propagarsi di
sentimenti irrazionali, fa il gioco dei
terroristi. In sostanza, il terrorismo giova
anzitutto a chi, prendendo a pretesto lo stato
di inquietudine, insicurezza ed irrazionalità
diffuse tra la popolazione, ne approfitta per
invocare svolte politiche in senso autoritario e
liberticida all’interno delle società
occidentali. Parimenti (come è stato finora
deciso dai vertici dell’establishment
militare-industriale anglo-americano), di fronte
alla spietata recrudescenza del terrorismo si
sollecita una risposta altrettanto cruenta,
ossia un’escalation militare e interventistica,
nella misura in cui le armi continuano ad essere
lo strumento privilegiato di una strategia
neocoloniale condotta su scala globale.
Un
altro punto su cui vale la pena soffermarsi,
concerne la questione palestinese.
Negli anni si è consolidata una verità che ormai
più nessuno osa contestare, cioè che all’origine
della “polveriera” mediorientale, e persino
dietro l’espansione del fondamentalismo
islamico, sta il problema palestinese, quindi il
decennale conflitto arabo-israeliano.
Ebbene, è chiaro a tutti che fino a quando non
si otterrà un’equa soluzione della controversia
arabo-israeliana, che preveda e garantisca una
coesistenza pacifica con lo stato d’Israele, non
si potrà mai sperare in una pacificazione
effettiva dell’area mediorientale, che
continuerà ad essere esplosiva, né si potrà
sperare in un ridimensionamento delle sacche
dell’estremismo e del fanatismo religioso. Basti
ricordare che una notevole parte della
popolazione arabo-palestinese, tradizionalmente
sunnita e non sciita, dunque appartenente alla
corrente moderata dell’Islam, soprattutto dopo
l’aggressione anglo-americana contro l’Iraq e le
successive vicende, si è trasformata in un
terreno fertile dove prosperano le ragioni
dell’integralismo e dell’oltranzismo religioso.
Una simile ipotesi di pace comporta soprattutto
un decisivo cambio di rotta nella politica
dell’occidente, ossia una svolta radicale nella
linea eccessivamente filo-israeliana assunta dal
connubio anglo-americano negli ultimi decenni.
In tale scenario storico si collocano e si
spiegano le infauste vicende degli ultimi anni,
dalla terribile strage dell’11 settembre 2001 al
conflitto bellico in Iraq, trasformatosi in un
teatro di guerriglia permanente.
Se
non si fuoriesce da questa perversa e pericolosa
spirale “terrorismo-guerra-terrorismo”,
difficilmente si potrà sperare in un avvenire di
pace autentica, che è una condizione
assolutamente incompatibile con l’ingiustizia,
specie se cronica e troppo duratura, nella
misura in cui il superamento delle tensioni
internazionali presuppone l’eliminazione delle
loro cause storiche, tra le quali emergono con
prepotenza le pesanti ingiustizie materiali che
schiacciano soprattutto le popolazioni affamate,
sfruttate e depredate dell’Africa, e che stanno
segnando il triste destino del Sud del mondo,
cioè di miliardi di esseri umani.
Lucio Garofalo
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