In questi giorni di un’estate che volge
ormai al termine, in varie parti del mondo
si svolgono le tristi commemorazioni legate
ai 60 anni trascorsi dalle terribili
giornate del 6 e del 9 agosto 1945, quando
gli americani gettarono senza pietà le prime
bombe atomiche della storia a spese delle
città di Hiroshima e Nagasaki, che
vennero rase
totalmente al suolo. Soltanto nei primi mesi
successivi alla deflagrazione nucleare i
morti furono oltre 200 mila.
Secondo stime
attendibili, fino ad oggi le vittime
accertate sarebbero almeno 350 mila.
Quelle dell’agosto del 1945 sono state le
uniche volte (per fortuna) in cui le armi
nucleari sono state impiegate in un
conflitto bellico contro popolazioni civili
ed inermi, sterminando intere generazioni e
annichilendo intere
città.
E’ bene ricordare che la responsabilità e la
paternità storica di tali massacri (veri e
propri crimini contro l’umanità, come
qualcuno li ha giustamente definiti) vanno
ascritte agli Stati Uniti d’America, che non
hanno esitato un attimo ad usare armi di
distruzione totale per vincere la guerra. In
modo particolare, occorre riflettere sulla
seconda bomba atomica, sganciata su
Nagasaki.
Secondo molti storici si è trattato di un
atto criminale assolutamente inutile ed
evitabile, eppure è stato ugualmente
compiuto per due ragioni fondamentali. La
prima, di natura scientifica, era che la
bomba lanciata su Nagasaki, essendo composta
di plutonio, e non di
uranio arricchito come quella gettata
su Hiroshima, aveva bisogno di essere
sperimentata (naturalmente, tale
ragionamento è totalmente cinico e
spregiudicato). Il secondo motivo era
di ordine
strategico-politico,
nella misura in cui la seconda bomba era
davvero inutile per vincere la guerra contro
il Giappone, un Paese ormai stremato,
affranto e prostrato, completamente alla
mercé dei
vincitori, per cui apparve subito chiaro un
diverso scopo della seconda esplosione
nucleare, ossia un atto in funzione
palesemente antisovietica. In tal senso, le
bombe su Hiroshima e Nagasaki, pur essendo
le ultime della seconda guerra mondiale,
furono considerate come le prime della
“guerra fredda”.
Negli anni successivi al 1945, ossia nel
secondo dopoguerra, le armi atomiche furono
adottate da tutte le principali potenze
mondiali: l’Unione Sovietica l’ottenne nel
1949 (grazie soprattutto alla decisione
di alcuni
scienziati che avevano concorso alla
realizzazione della bomba nucleare per il
governo nordamericano, al fine di
ristabilire un giusto e provvidenziale
equilibrio tra le parti avverse), la Gran
Bretagna nel 1952, la Francia nel 1960, la
Cina nel 1964.
In questo periodo, segnato da una prima
proliferazione degli armamenti atomici, si
determinò un clima che
venne definito di “GUERRA FREDDA”,
nel quale i due blocchi politico-militari
contrapposti (la NATO, tuttora esistente e
che fa capo agli U.S.A.,
e il Patto di Varsavia, che ruotava intorno
all’Unione Sovietica) erano coscienti di
annientarsi vicendevolmente con il solo
impiego delle armi atomiche. Questa era la
teoria della “distruzione mutua assicurata”,
alla base del cosiddetto “EQUILIBRIO DEL
TERRORE”, ossia della strategia della
deterrenza
nucleare che, in qualche occasione, riuscì a
scongiurare il rischio di un conflitto
termonucleare totale.
Tale “equilibrio del terrore”, benché utile
deterrente sul piano strategico, tuttavia
non impedì un’enorme proliferazione degli
arsenali atomici sia ad Ovest
che ad Est. Al
contrario, le armi nucleari divennero sempre
più numerose, ma soprattutto più
sofisticate e
complesse, quindi più potenti, al punto che
confrontate con quelle successive le bombe
gettate su Hiroshima e Nagasaki apparivano
come “giocattoli”.
Gli arsenali atomici a disposizione dei due
blocchi avversari (Est e Ovest: nemici più
sulla carta, ma nella realtà complici
rispetto alla spartizione economica e
ideologica del mondo) erano potenzialmente
in grado di disintegrare il nostro pianeta,
non una, ma
decine di volte!
Nel corso
degli anni Ottanta, il dialogo tra
Reagan e
Gorbaciov
condusse alla stipulazione dei trattati
START I e START II, che sancivano una
graduale riduzione degli armamenti atomici
posseduti dalle due superpotenze.
In quegli anni, esattamente nel 1985, uscì
un film intitolato “War
games” (tradotto in italiano “Giochi
di guerra”) che racconta
la storia di un brillante e geniale
ragazzino di Seattle che, giocando col suo
computer, riesce ad inserirsi nella rete
informatica della difesa nucleare
statunitense, provocando (ovviamente, nella
finzione cinematografica) il pericolo di un
conflitto termonucleare totale, pericolo poi
scongiurato. Cito questo film per far
comprendere come in quegli anni la
percezione della gravità dei rischi di un
conflitto atomico che avrebbe potuto causare
l’autodistruzione totale del genere umano,
era molto maggiore di
oggi.
Eppure
la situazione odierna è molto più pericolosa
di quella che ho appena descritto e che si
riferisce al periodo della “guerra fredda”.
Attualmente, gli
Stati che dichiarano di possedere armi
nucleari e dunque fanno ufficialmente parte
del cosiddetto “Club dell’atomo” sono
esattamente otto: Stati Uniti d’America,
Russia, Cina, Regno Unito, Francia, Israele,
India e Pakistan.
Invece, gli unici Paesi al mondo che hanno
pubblicamente e intenzionalmente rinunciato
a programmi di riarmo nucleare sono: il
Sudafrica, probabilmente il Brasile, e
alcune repubbliche dell’ex-U.R.S.S.,
ossia Ucraina,
Bielorussia e
Kazakistan.
Inoltre, la possibilità (non
solo teorica) che
alcune armi atomiche come le cosiddette
“bombe sporche” (che non costano come le
armi atomiche vere e proprie e non esigono
particolari competenze scientifiche, se non
quelle, alquanto diffuse, che servono a
costruire una bomba tradizionale) possano
cadere nelle mani di gruppi terroristici,
può forse offrire una vaga idea dell’elevata
pericolosità dell’odierna situazione
internazionale, avvolta in quella che è
stata convenzionalmente chiamata “la spirale
guerra-terrorismo”, ossia una realtà
caratterizzata da crescenti tensioni e
contraddizioni, da enormi conflittualità,
aggravate dalla politica della cosiddetta
“guerra preventiva”
made in U.S.A. che, di fatto,
alimenta e rafforza ulteriormente le spinte
e le tendenze oltranziste ed estremiste in
ogni angolo della Terra.
L’odierna situazione planetaria è dunque
molto più insidiosa del passato, soprattutto
dopo il crollo del muro di Berlino avvenuto
nel 1989 e dopo il disfacimento dell’Unione
Sovietica e del suo “impero”, ma soprattutto
dopo l’11
settembre 2001, quando sono state rilanciate
la ricerca e la produzione di nuove
generazioni di bombe nucleari più piccole e
più facili da utilizzare.
Nonostante ciò, la consapevolezza del
pericolo rappresentato dagli arsenali
atomici da parte dell’opinione pubblica
mondiale, si trova ad un livello
molto più basso
rispetto agli anni della “guerra fredda”.
Anni in cui l’equilibrio
tra le due superpotenze (U.S.A. e U.R.S.S.)
esercitava un potentissimo effetto
deterrente. Oggi
quell’equilibrio non esiste più (è
rimasto solo il “terrore”, scusate la
battutaccia). Anzi, la situazione è
profondamente squilibrata, caotica ed
instabile, e gli U.S.A. non sono in grado di
gestirla da soli attraverso un ruolo di
gendarmeria planetaria che si
sono
auto-attribuiti con arroganza e che li ha
condotti all’isolamento più totale ed
infausto.
Oggi assistiamo ad un insidioso rilancio
della ricerca nucleare per fini militari,
che vede una responsabilità ed un
coinvolgimento anche del nostro Paese. Basti
pensare che all’aeroporto militare di
Ghedi (Brescia)
e nella base americana di
Aviano sono
pronte all’uso almeno 90 testate nucleari!
Per far capire l’estrema pericolosità
derivante dall’odierno scenario
internazionale, voglio ricordare il 2002,
quando India e Pakistan (che già nel 1998
avevano condotto alcuni test nucleari) si
trovarono sull’orlo di un conflitto per il
controllo del Kashmir (una terra al confine
tra i due Stati, famosa per un tessuto
morbido e leggero di lana omonima, ricavata
da una particolare razza di capre che vive
in quella regione), una contesa che avrebbe
potuto condurre all’uso
di armi nucleari. Esistono alcune
micro-potenze
regionali, quali la
stessa Israele, l’India e il
Pakistan, che detengono arsenali atomici ed
assumono atteggiamenti ostili e belligeranti
verso gli Stati confinanti.
Naturalmente sarebbe ipocrita non
riconoscere che la più grave minaccia
proviene da quelle superpotenze mondiali
come gli U.S.A.,
la Cina e la Russia, che mirano ad una nuova
spartizione geopolitica del mondo e che
agiscono in modo aggressivo ed
espansionistico sul terreno
economico-commerciale, entrando spesso in
conflitto tra loro.
Si pensi all’accesa competizione commerciale
tra U.S.A.,
Europa e Cina, oppure alla rivalità
monetaria (una vera e propria guerra
monetaria) tra il dollaro e l’euro.
Certo, dal
1945 ad oggi tutte
le guerre finora combattute ed anche quelle
tuttora in corso (si pensi allo stato di
guerra-guerriglia permanente in Iraq) non
hanno mai visto il ricorso ad armi atomiche,
bensì solo a quelle convenzionali.
Addirittura, in alcuni conflitti etnici sono
stati perpetrati veri e propri genocidi
utilizzando armi primitive e rozze, ad
esempio sono stati commessi spaventosi
massacri a colpi di
machete, che è un pesante coltello
dalla lama lunga e molto affilata.
Finora ho fornito una ricostruzione storica
il più possibile fedele e lineare, in
materia di
armamenti nucleari, provando ad evidenziare
un confronto tra passato e presente, tra gli
anni della “guerra fredda” e la realtà
odierna che, come ho già spiegato, appare
assai più pericolosa, benché la coscienza
della gente comune sia indubbiamente molto
meno diffusa e profonda che in passato.
Pertanto, voglio citare un brano tratto da
un articolo di Giorgio Bocca (apparso nella
rubrica “L’antitaliano”),
nel quale Bocca scrive testualmente:
<<Già nel 1945 avremmo dovuto capire che
l’apocalisse era ormai entrata nella
normalità. Scoppia la prima atomica a
Hiroshima e sui giornali dell’Occidente,
anche sui nostri, la notizia
venne data a una
colonna in basso e non destò particolare
emozione. Aveva ucciso in un colpo 100 mila
persone e ne
aveva avvelenate a morte altrettante. Non se
ne sapeva molto, è vero, ma in breve si capì
che era l’arma della distruzione totale, ma
l’Occidente civile in sostanza non fece
obiezione: la bomba segnava in pratica la
fine della guerra, perché condannarla?>>
In altri termini, il fine (la conclusione
della seconda guerra mondiale) ha
giustificato il mezzo,
ovvero il ricorso alla bomba H, un
terrificante strumento di distruzione
totale.
Oggi, più che nel passato, questa perversa
logica “machiavellica” del “fine che
giustifica i mezzi” non può e non deve più
essere tollerata, ma va respinta con
fermezza e abbandonata in modo definitivo,
pena l’auto-annientamento dell’umanità e la
dissoluzione di quasi ogni forma di vita
presente sul nostro pianeta.
Le cause delle guerre, siano esse
convenzionali o meno, sono fondamentalmente
le stesse: il possesso e il controllo della
terra, dell’acqua, del petrolio o
di altre preziose
materie prime, lo sfruttamento dell’uomo e
l’oppressione di un popolo da parte di un
altro popolo, ecc. Queste sono le ragioni
principali che possono scatenare un
conflitto bellico. Il fatto poi che alla
guerra condotta con armi convenzionali si
sostituisca la
guerra “termonucleare”, non cambia nulla
alle cause, alla natura e al significato di
classe della guerra medesima.
Tuttavia, la differenza più evidente e
innegabile tra guerre tradizionali e
guerra nucleare,
sta nel fatto che le armi atomiche sono
strumenti di DISTRUZIONE TOTALE: un
“dettaglio” che non è certamente
trascurabile o sottovalutabile.
Dunque, voglio
concludere con un appello che, per
quanto possa apparire ingenuo e utopistico,
è più che mai utile e necessario alla
salvezza dell’intera umanità:
BANDIAMO LE ARMI NUCLEARI,
BANDIAMO TUTTE LE ARMI,
BANDIAMO LA GUERRA DALLA NOSTRA VITA!