“...quando in un cesto di frutta c’è una mela
marcia tra tante buone, non si può pretendere
che queste ultime la curino. E’ necessario
togliere la mela marcia”. E’ questo il pensiero
di Gianni Rivera sul problema dei disordini che
caratterizzano sempre più spesso gli incontri di
calcio e riassume anche la fiducia che l’ex
calciatore nutre sulla efficacia delle leggi
contro la violenza che esplode in queste
occasioni. Si riferisce probabilmente anche
all’obbligo, per chi è interdetto dall’accesso
agli impianti agonistici, di presentarsi più
volte al posto di polizia nel corso della
giornata in cui si disputa l’ incontro di
calcio.
In
realtà, alla luce degli ultimi eventi, i
provvedimenti legislativi del 2001 e del 2003,
pur innovativi e particolarmente penalizzanti,
non sono sembrati del tutto sufficienti tanto
che sono state impartite di recente altre
disposizioni ancora più drastiche, riportate da
tutti i giornali.
Bisognava aspettarselo, visto che il mixer di
cronaca sportiva e cronaca nera è diventato una
costante di queste ultime settimane. Le pagine
dei giornali ed i servizi televisivi ci
descrivono o ci offrono immagini di violenza e
di distruzione che con la loro cadenza festiva o
prefestiva ci lasciano sgomenti. L’indecoroso
spettacolo degli scontri tra tifosi o tra tifosi
e forze di polizia è ormai diventato il
condimento dei nostri pranzi e delle nostre
cene. Si recita ogni volta, su teatri diversi,
un rituale copione scenografico all’esterno e
all’interno degli stadi, nelle stazioni
ferroviarie, negli autogrill, sui treni, sugli
autobus destinati a navetta da e per lo stadio.
Gli scontri, vere scene da “guerriglia”, non
hanno alibi e ci sarebbe da chiedersi se il
tutto rientra in un piano ideologizzato e
preordinato da manovratori occulti.
Le
ultime misure di emergenza sul divieto di far
iniziare la partita o sull’obbligo di
sospenderla, se non più sicura, rappresentano
una decisione non invidiabile per chi dovrà
assumerla - forze di polizia e/o l’arbitro -
nell’ambito delle rispettive competenze.
Non è facile immaginare cosa potrà succedere ove
si decidesse di non far iniziare la partita o
quale potrebbe essere la reazione in caso
venisse sospesa.
E’
certo che ogni settimana circa 8.000 uomini in
divisa sono distolti da altri compiti
istituzionali e destinati a diventare bersaglio
di una violenza rabbiosa e gratuita priva di
qualunque giustificazione sportiva e di
difficile interpretazione sociologica.
I
rischi per l’incolumità personale di chi opera
sono molto alti, con centinaia e centinaia di
feriti che restano fuori servizio, nella
migliore delle ipotesi, per giorni e giorni. Da
non sottovalutare, nella crisi finanziaria che
ci caratterizza, i costi economici visto che sul
bilancio dello Stato gravano mediamente, ogni
settimana, miliardi di lire. Sono da calcolare
infatti diverse voci, come i danni alle
strutture, agli automezzi di servizio, le
indennità di ordine pubblico, di servizio
festivo, di missione al personale comandato
fuori sede, di ore ed ore di lavoro
straordinario senza calcolare i riposi non
fruiti che vanno recuperati o monetizzati.
Con la speranza che la follia domenicale sfumi,
per un auspicabile rinsavimento dei protagonisti
e per il valore deterrente delle misure di
sicurezza adottate, è opportuno dare una breve
spolverata al codice penale e richiamare
all’attenzione di eventuali interessati alcuni
reati di cui si può essere chiamati a
rispondere.
Uno dei primi è sicuramente la violenza e la
minaccia a pubblico ufficiale, prevista dall’art.336
codice penale che punisce con la reclusione da
sei mesi a cinque anni chiunque usa, appunto,
violenza o minaccia a P.U. e tale è,
naturalmente, chi è comandato in servizio di
ordine pubblico. Perché ci sia violenza è
necessario che ci sia stato impiego della forza
fisica, che è quella posta in essere quando si
spinge, si spintona,si mettono le mani addosso.
Per non parlare di quando si usano strumenti
atti ad offendere (sassi, bastoni, tabelle
stradali, sampietrini, pali in ferro, corpi
contundenti, artifizi pirotecnici). E’
necessario che la violenza o la minaccia sia
posta in essere per costringere il pubblico
ufficiale a fare qualcosa di diverso da quello
che invece il suo dovere gli avrebbe imposto di
fare.
Se
invece è utilizzata per opporsi ad un pubblico
ufficiale mentre compie un atto di ufficio o di
servizio (sgomberare una piazza, un settore
dello stadio, etc.), scatta il reato di
resistenza a pubblico ufficiale, punito con la
reclusione da sei mesi a cinque anni.
La
Cassazione ha definito “resistenza” l’uso di
spintoni ed urti per impedire l’arresto altrui,
l’opporsi all’intervento di agenti intervenuti
per sedare una lite, capeggiare più persone
scalmanate per impedire agli agenti di fare il
proprio dovere.
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Le pene sono aumentate se la violenza o
la minaccia è commessa con armi o da più
persone riunite, tra le quali non è
necessario che ci sia stato un
preventivo accordo, essendo sufficiente
anche una riunione occasionale, con un
accordo immediato, istantaneo, tacito,
come è solito avvenire negli scontri che
stiamo esaminando. |
La legge 205/1999 ha abrogato invece l’art.341
del codice penale, oltraggio a pubblico
ufficiale, che costituisce ora un’ipotesi
aggravata del reato di ingiuria ed è perseguita
a querela della persona offesa.
La situazione peggiora se a seguito degli
scontri si arriva alle lesioni, punite
nella forma più lieve da tre mesi a tre anni
(art.582 codice penale) fino ad arrivare ad una
reclusione da tre a sette anni per i casi più
gravi.
Non meno grave è l’interruzione di un servizio
pubblico, previsto dall’art.340 dello stesso
codice, punita con la reclusione fino ad un
anno. Colpevole è chiunque cagiona una
interruzione o turba la regolarità di un
servizio pubblico o di pubblica necessità e
punisce i capi, i promotori e gli organizzatori
con la pena più grave da uno a cinque anni. Si
pensi ai disordini nelle stazioni che
determinano il blocco o il ritardo della linea
ferroviaria o ai danneggiamenti dei treni
speciali o degli autobus ad opera di “tifosi”,
con soppressione o ritardi delle corse.
Un
rilievo particolare assume l’arresto fuori di
flagranza, esteso anche a chi lancia corpi
contundenti o artifizi pirotecnici (il cui
semplice possesso comporta la reclusione da sei
mesi a tre anni). Ove non sia possibile
procedere nell’immediatezza dei fatti, per
impossibilità di identificare subito i
protagonisti o anche per evitare che
dall’arresto possano scaturire più gravi
reazioni e disordini, la legge consente il
riconoscimento anche a mezzo delle riprese
televisive e il differimento dello stato di
flagranza entro le 36 ore successive all’evento
incriminato. Anche l’invasione di campo è punita
penalmente con l’arresto fino a sei mesi o con
l’ammenda da 200.000 lire a due milioni. Il
cocktail domenicale per rovinarsi la fedina
penale e l’avvenire non può non concludersi con
l’accusa di danneggiamento, che all’art.635
prevede la reclusione da sei mesi a tre anni se
il fatto è commesso su edifici pubblici o
destinati ad uso pubblico.
Bisogna rilevare, comunque, che ancora una volta
ad un inasprimento delle sanzioni penali non
corrisponde la riduzione del fenomeno che si
vuol colpire o contenere. In questo caso basti
pensare che negli ultimi tre campionati gli
incidenti più o meno importanti sono passati dal
28 al 97%.
La
situazione è grave, come ha fatto capire il
Ministro dell’Interno, e nessuno più è disposto
a tollerarla. Non riusciamo ad immaginare quali
potranno essere le prossime scelte ma viste le
misure attuali non potranno che essere ancora
più drastiche fino ad arrivare a stadi chiusi o
blindati, ipotesi questa che allontana sempre
più dai cancelli gli appassionati di questo
sport. Probabilmente il ridimensionamento del
mondo del calcio e una radicale campagna di
educazione alla legalità nelle scuole e sulle
reti televisive potrebbe essere d’aiuto
sopratutto se lo stesso obiettivo venisse
perseguito da certa stampa specializzata, con
una minor enfatizzazione dei toni, delle
partite, dei risultati e dei pettegolezzi da
spogliatoio. Le società di calcio, i dirigenti e
gli stessi calciatori – ove lo volessero -
potrebbero risollevare le sorti di questo sport
per riscattarlo dalla violenza, che non ci può
lasciare indifferenti perché in un modo o
nell’altro il conto settimanale lo paghiamo
tutti.
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