23 aprile 2005
Le mele marce
Aldo Maturo

 

 

“...quando in un cesto di frutta c’è una mela marcia tra tante buone, non si può pretendere che queste ultime la curino. E’ necessario togliere la mela marcia”. E’ questo il pensiero di Gianni Rivera sul problema dei disordini che caratterizzano sempre più spesso gli incontri di calcio e riassume anche la fiducia che l’ex calciatore nutre sulla efficacia delle leggi contro la violenza che esplode in queste occasioni. Si riferisce probabilmente anche all’obbligo, per chi è interdetto dall’accesso agli impianti agonistici, di presentarsi più volte al posto di polizia nel corso della giornata in cui si disputa l’ incontro di calcio.

In realtà, alla luce degli ultimi eventi, i provvedimenti legislativi del 2001 e del 2003, pur innovativi e particolarmente penalizzanti, non sono sembrati del tutto sufficienti tanto che sono state impartite di recente altre disposizioni ancora più drastiche, riportate da tutti i giornali.

Bisognava aspettarselo, visto che il mixer di cronaca sportiva e cronaca nera è diventato una costante di queste ultime settimane. Le pagine dei giornali ed i servizi televisivi ci descrivono o ci offrono immagini di violenza e di distruzione che con la loro cadenza festiva o prefestiva ci lasciano sgomenti. L’indecoroso spettacolo degli scontri tra tifosi o tra tifosi e forze di polizia è ormai diventato il condimento dei nostri pranzi e delle nostre cene. Si recita ogni volta, su teatri diversi, un rituale copione scenografico all’esterno e all’interno degli stadi, nelle stazioni ferroviarie, negli autogrill, sui treni, sugli autobus destinati a navetta da e per lo stadio. Gli scontri, vere scene da “guerriglia”, non hanno alibi e ci sarebbe da chiedersi se il tutto rientra in un piano ideologizzato e preordinato da manovratori occulti.

Le ultime misure di emergenza sul divieto di far iniziare la partita o sull’obbligo di sospenderla, se non più sicura, rappresentano una decisione non invidiabile per chi dovrà assumerla - forze di polizia e/o l’arbitro - nell’ambito delle rispettive competenze.

Non è facile immaginare cosa potrà succedere ove si decidesse di non far iniziare la partita o quale potrebbe essere la reazione in caso venisse sospesa.

E’ certo che ogni settimana circa 8.000 uomini in divisa sono distolti da altri compiti istituzionali e destinati a diventare bersaglio di una violenza rabbiosa e gratuita priva di qualunque giustificazione sportiva e di difficile interpretazione sociologica.

I rischi per l’incolumità personale di chi opera sono molto alti, con centinaia e centinaia di feriti che restano fuori servizio, nella migliore delle ipotesi, per giorni e giorni. Da non sottovalutare, nella crisi finanziaria che ci caratterizza, i costi economici visto che sul bilancio dello Stato gravano mediamente, ogni settimana, miliardi di lire. Sono da calcolare infatti diverse voci, come i danni alle strutture, agli automezzi di servizio, le indennità di ordine pubblico, di servizio festivo, di missione al personale comandato fuori sede, di ore ed ore di lavoro straordinario senza calcolare i riposi non fruiti che vanno recuperati o monetizzati.

Con la speranza che la follia domenicale sfumi, per un auspicabile rinsavimento dei protagonisti e per il valore deterrente delle misure di sicurezza adottate, è opportuno dare una breve spolverata al codice penale e richiamare all’attenzione di eventuali interessati alcuni reati di cui si può essere chiamati a rispondere.

Uno dei primi è sicuramente la violenza e la minaccia a pubblico ufficiale, prevista dall’art.336 codice penale che punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque usa, appunto, violenza o minaccia a P.U. e tale è, naturalmente, chi è comandato in servizio di ordine pubblico. Perché ci sia violenza è necessario che ci sia stato impiego della forza fisica, che è quella posta in essere quando si spinge, si spintona,si mettono le mani addosso. Per non parlare di quando si usano strumenti atti ad offendere (sassi, bastoni, tabelle stradali, sampietrini, pali in ferro, corpi contundenti, artifizi pirotecnici). E’ necessario che la violenza o la minaccia sia posta in essere per costringere il pubblico ufficiale a fare qualcosa di diverso da quello che invece il suo dovere gli avrebbe imposto di fare.

Se invece è utilizzata per opporsi ad un pubblico ufficiale mentre compie un atto di ufficio o di servizio (sgomberare una piazza, un settore dello stadio, etc.), scatta il reato di resistenza a pubblico ufficiale, punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

 La Cassazione ha definito “resistenza” l’uso di spintoni ed urti per impedire l’arresto altrui, l’opporsi all’intervento di agenti intervenuti per sedare una lite, capeggiare più persone scalmanate per impedire agli agenti di fare il proprio dovere.

Le pene sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa con armi o da più persone riunite, tra le quali non è necessario che ci sia stato un preventivo accordo, essendo sufficiente anche una riunione occasionale, con un accordo immediato, istantaneo, tacito, come è solito avvenire negli scontri che stiamo esaminando.

La legge 205/1999 ha abrogato invece l’art.341 del codice penale, oltraggio a pubblico ufficiale, che costituisce ora un’ipotesi aggravata del reato di ingiuria ed è perseguita a querela della persona offesa.

La situazione peggiora se a seguito degli scontri si arriva alle lesioni, punite nella forma più lieve da tre mesi a tre anni (art.582 codice penale) fino ad arrivare ad una reclusione da tre a sette anni per i casi più gravi.

Non meno grave è l’interruzione di un servizio pubblico, previsto dall’art.340 dello stesso codice, punita con la reclusione fino ad un anno. Colpevole è chiunque cagiona una interruzione o turba la regolarità di un servizio pubblico o di pubblica necessità e punisce i capi, i promotori e gli organizzatori con la pena più grave da uno a cinque anni. Si pensi ai disordini nelle stazioni che determinano il blocco o il ritardo della linea ferroviaria o ai danneggiamenti dei treni speciali o degli autobus ad opera di “tifosi”, con soppressione o ritardi delle corse.

Un rilievo particolare assume l’arresto fuori di flagranza, esteso anche a chi lancia corpi contundenti o artifizi pirotecnici (il cui semplice possesso comporta la reclusione da sei mesi a tre anni). Ove non sia possibile procedere nell’immediatezza dei fatti, per impossibilità di identificare subito i protagonisti o anche per evitare che dall’arresto possano scaturire più gravi reazioni e disordini, la legge consente il riconoscimento anche a mezzo delle riprese televisive e il differimento dello stato di flagranza entro le 36 ore successive all’evento incriminato. Anche l’invasione di campo è punita penalmente con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da 200.000 lire a due milioni. Il cocktail domenicale per rovinarsi la fedina penale e l’avvenire non può non concludersi con l’accusa di danneggiamento, che all’art.635 prevede la reclusione da sei mesi a tre anni se il fatto è commesso su edifici pubblici o destinati ad uso pubblico.

Bisogna rilevare, comunque, che ancora una volta ad un inasprimento delle sanzioni penali non corrisponde la riduzione del fenomeno che si vuol colpire o contenere. In questo caso basti pensare che negli ultimi tre campionati gli incidenti più o meno importanti sono passati dal 28 al 97%.

La situazione è grave, come ha fatto capire il Ministro dell’Interno, e nessuno più è disposto a tollerarla. Non riusciamo ad immaginare quali potranno essere le prossime scelte ma viste le misure attuali non potranno che essere ancora più drastiche fino ad arrivare a stadi chiusi o blindati, ipotesi questa che allontana sempre più dai cancelli gli appassionati di questo sport. Probabilmente il ridimensionamento del mondo del calcio e una radicale campagna di educazione alla legalità nelle scuole e sulle reti televisive potrebbe essere d’aiuto sopratutto se lo stesso obiettivo venisse perseguito da certa stampa specializzata, con una minor enfatizzazione dei toni, delle partite, dei risultati e dei pettegolezzi da spogliatoio. Le società di calcio, i dirigenti e gli stessi calciatori – ove lo volessero - potrebbero risollevare le sorti di questo sport per riscattarlo dalla violenza, che non ci può lasciare indifferenti perché in un modo o nell’altro il conto settimanale lo paghiamo tutti.

 

 

    

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