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-08 -2005 - Segnalazione di Ezio Esposito
Amici di ViviTelese, vi mando questo "pezzo" di
Furio Colombo che, mi sembra, fa un flash
interessante sulla figura di Sharon in questo
importante momento storico. Se ritenete
opportuno pubblicatelo. Ezio.
22
-08 -2005 - Commento di Michael Spensieri:
E` giusta l'osservazione che, numericamente,
la popolazione si e` spaccata in due. Ma,
come ha detto lo stesso Sharon "we are
numerically divided but politically united".
Per la prima volta esiste una coalizione
politica e soprattutto un "consensus" di
opinione dove veramente conta, nelle
diaspore Ebraiche del Nord America e EU.
Basta
pensare che a New York City in solo due
giorni furono raccolti abbastanza fondi per
pagare in contanti ai coloni Israeliani il
valore delle serre e altre infrastrutture
agricole in modo che ai Palestinesi
venissero consegnate in buona condizione e
funzionanti.
Il mondo Ebraico e` finalmente pronto a fare
questo passo ed ecco perche` si sta`
materializzando.
Michael Spensieri -Staten Island NYS
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La prova di
Sharon
di Furio Colombo
Se Ariel Sharon riuscirà in questa prova, la più
dura della sua vita di ex militare e di leader
politico, Israele e i Palestinesi saranno più
vicini alla pace, forse più vicini di quanto in
queste ore molti, tra quei due popoli e nel
resto dell’opinione del mondo, abbiano il
coraggio di sperare. Infatti, così come ci sono
eventi, anche apparentemente minori che possono
scatenare sequenze violente che spingono alla
tragedia, allo stesso modo è possibile che lo
sgombero di Gaza (che era apparso fino a ora
troppo pericoloso, troppo difficile) rimuova un
primo grandissimo ostacolo al percorso di pace.
Il fatto è che Sharon, proprio Sharon
considerato il falco dei falchi e - da militare
- un comandante deciso a tutto pur di proteggere
la sua parte, adesso si espone alla
impopolarità.
Si espone al rischio politico, (il suo partito
si è spaccato, molti alleati lo hanno
abbandonato) al rischio fisico (nessuno ha
dimenticato il prezzo del coraggio di Itzak
Rabin), va avanti senza esitazioni nella sua
decisione impossibile e inevitabile: lo sgombero
dei coloni dai territori che sono o saranno
parte dello Stato Palestinese. Certo, Sharon ha
una controparte, Abu Mazen, che sembra sapere
quanto difficile sia l’impegno assunto da Sharon.
Ma la parte più dura si svolge in casa, riguarda
Israele, tocca a Sharon, coinvolge la sua vita
personale e il suo destino politico.
In questo momento Sharon appare come un fatto
raro, praticamene senza uguali nella vita
politica del mondo. È un leader che vede la
strada da seguire e ostinatamente la segue
perché in fondo a quella strada intravede per il
suo Paese la pace, o almeno più pace. Nel farlo,
riconosce un diritto ai Palestinesi e dà inizio
alla possibilità che quei territori diventino lo
Stato non del nemico ma del vicino.
Il caso Sharon consiste in questo: si gioca
tutto il suo prestigio e il suo capitale
politico accumulato a destra, per essere il
leader di tutto il suo Paese. Si scontra con chi
lo ha scelto ed eletto, diventa agli occhi di
una parte della sua destra impopolare e odiato,
ma non cede e non si spaventa. Va a cercare i
suoi avversari politici per condividere con loro
(li rappresenta Shimon Peres) un progetto che
contiene tutto il rischio, tutto il pericolo e
tutta la speranza.
Ciò che sta accadendo (e che, a quanto pare, sta
accadendo senza incidenti importanti e senza
pericolosi contraccolpi su un versante o
sull’altro dei due delicatissimi contenitori,
Israele e i Palestinesi), può sembrare a prima
vista un episodio minore. C’è chi ti spiega che
c’è ben altro da sgombrare, che il percorso è
lungo, e che non bisogna confondere i simboli,
per quanto buoni, con i fatti risolutivi di
questo lunghissimo stato di tensione che può
sempre sbocciare in un nuovo conflitto.
C’è chi si preoccupa di ricordarti che Sharon
non è un uomo buono, e che dunque sta facendo
quello che sta facendo per necessità e non per
principio. C’è chi preferisce rievocare le
imprese del generale, come se fosse più
importante riportare su quella terra e su quei
due popoli umori di guerra invece che speranze
di pace.
È più serio e più utile guardare a ciò che
effettivamente accade in queste ore. In Israele
è la prova di un grande leader che sa essere
impopolare, che osa mettersi contro la parte
dura del suo elettorato. Qualcuno può fare un
altro esempio, indicarci qualcuno, in qualche
altro Paese democratico, dove si esiste soltanto
con il favore e col voto, che possa essergli
messo accanto in questa prova impossibile?
Tra i Palestinesi questo coraggio, che è di pace
invece che di guerra, e dunque il contrario di
ciò che i leader del mondo di solito vogliono
dimostrare, ha attratto per forza attenzione.
Neppure il cumulo di pregiudizi contro quel
celebrato e odiato ex nemico può fare velo alla
sua determinazione e al senso di ciò che sta
facendo. Nel mondo la politica di Sharon in
questi giorni ha un’importanza grandissima.
Spezza le propagande, interrompe i luoghi
comuni, mostra che è sempre possibile, anche
nelle situazioni più incredibili, anche quando
la controparte è la propria gente, intraprendere
il compito di fare la pace.
Ricordate le tante discussioni sul terrorismo?
Ci vogliono gli eserciti o ci vuole la politica?
Ecco, è toccato a Sharon, considerato il falco
degli eserciti, dire e mostrare come funziona la
politica al posto delle armi. Sharon dà in
queste ore un colpo al terrorismo più forte
dell’intervento di un esercito. Sta abbattendo,
anche per gli avversari, l’argomento che la
lotta armata è l’unica strada.
Israele, il Paese del mondo più ferito e
dilaniato dal terrorismo disumano delle bombe
umane, sta negando la guerra di civiltà che
piace tanto in certe retrovie italiane. Dimostra
che ciò che ognuno di noi ha in comune con gli
altri è il desiderio (ma anche il bisogno) di
fare pace e di vivere accanto. Dimostra, ai suoi
e agli altri, che questo desiderio grande e
legittimo, si paga con il rispetto reciproco.
Dicono che a sinistra molti negano che tutto ciò
stia accadendo o che abbia un senso o che possa
essere opera di un politico come Sharon. Ma la
natura, l’istinto, il Dna di chi sceglie di
stare a sinistra è solidarietà e pace. Non c’è
solidarietà con i Palestinesi se non c’è
solidarietà con Israele. E non c’è pace senza
chi ha il coraggio di farla.
Ora che Ariel Sharon, insieme a tanti
israeliani, (e al prezzo di dispiacere a molti
altri) si è assunto quel compito, che riverbera
effetti di pace nel mondo, si può far finta di
non vedere il senso di ciò che sta accadendo e
il peso storico di chi lo fa accadere?
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