19 agosto 2005
La prova di Sharon
da l'unita.it segnalazione di Ezio Esposito

 

 

19 -08 -2005 - Segnalazione di Ezio Esposito

Amici di ViviTelese, vi mando questo "pezzo" di Furio Colombo che, mi sembra, fa un flash interessante sulla figura di Sharon in questo importante momento storico. Se ritenete opportuno pubblicatelo. Ezio.

22 -08 -2005 - Commento di Michael Spensieri:

E` giusta l'osservazione che, numericamente, la popolazione si e` spaccata in due. Ma, come ha detto lo stesso Sharon "we are numerically divided but politically united".

Per la prima volta esiste una coalizione politica e soprattutto un "consensus" di opinione dove veramente conta, nelle diaspore Ebraiche del Nord America e EU.

 Basta pensare che a New York City in solo due giorni furono raccolti abbastanza fondi per pagare in contanti ai coloni Israeliani il valore delle serre e altre infrastrutture agricole in modo che ai Palestinesi venissero consegnate in buona condizione e funzionanti.

Il mondo Ebraico e` finalmente pronto a fare questo passo ed ecco perche` si sta` materializzando.

 

Michael Spensieri -Staten Island NYS


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La prova di Sharon
di Furio Colombo

Se Ariel Sharon riuscirà in questa prova, la più dura della sua vita di ex militare e di leader politico, Israele e i Palestinesi saranno più vicini alla pace, forse più vicini di quanto in queste ore molti, tra quei due popoli e nel resto dell’opinione del mondo, abbiano il coraggio di sperare. Infatti, così come ci sono eventi, anche apparentemente minori che possono scatenare sequenze violente che spingono alla tragedia, allo stesso modo è possibile che lo sgombero di Gaza (che era apparso fino a ora troppo pericoloso, troppo difficile) rimuova un primo grandissimo ostacolo al percorso di pace. Il fatto è che Sharon, proprio Sharon considerato il falco dei falchi e - da militare - un comandante deciso a tutto pur di proteggere la sua parte, adesso si espone alla impopolarità.

Si espone al rischio politico, (il suo partito si è spaccato, molti alleati lo hanno abbandonato) al rischio fisico (nessuno ha dimenticato il prezzo del coraggio di Itzak Rabin), va avanti senza esitazioni nella sua decisione impossibile e inevitabile: lo sgombero dei coloni dai territori che sono o saranno parte dello Stato Palestinese. Certo, Sharon ha una controparte, Abu Mazen, che sembra sapere quanto difficile sia l’impegno assunto da Sharon. Ma la parte più dura si svolge in casa, riguarda Israele, tocca a Sharon, coinvolge la sua vita personale e il suo destino politico.

In questo momento Sharon appare come un fatto raro, praticamene senza uguali nella vita politica del mondo. È un leader che vede la strada da seguire e ostinatamente la segue perché in fondo a quella strada intravede per il suo Paese la pace, o almeno più pace. Nel farlo, riconosce un diritto ai Palestinesi e dà inizio alla possibilità che quei territori diventino lo Stato non del nemico ma del vicino.

Il caso Sharon consiste in questo: si gioca tutto il suo prestigio e il suo capitale politico accumulato a destra, per essere il leader di tutto il suo Paese. Si scontra con chi lo ha scelto ed eletto, diventa agli occhi di una parte della sua destra impopolare e odiato, ma non cede e non si spaventa. Va a cercare i suoi avversari politici per condividere con loro (li rappresenta Shimon Peres) un progetto che contiene tutto il rischio, tutto il pericolo e tutta la speranza.

Ciò che sta accadendo (e che, a quanto pare, sta accadendo senza incidenti importanti e senza pericolosi contraccolpi su un versante o sull’altro dei due delicatissimi contenitori, Israele e i Palestinesi), può sembrare a prima vista un episodio minore. C’è chi ti spiega che c’è ben altro da sgombrare, che il percorso è lungo, e che non bisogna confondere i simboli, per quanto buoni, con i fatti risolutivi di questo lunghissimo stato di tensione che può sempre sbocciare in un nuovo conflitto.

C’è chi si preoccupa di ricordarti che Sharon non è un uomo buono, e che dunque sta facendo quello che sta facendo per necessità e non per principio. C’è chi preferisce rievocare le imprese del generale, come se fosse più importante riportare su quella terra e su quei due popoli umori di guerra invece che speranze di pace.

È più serio e più utile guardare a ciò che effettivamente accade in queste ore. In Israele è la prova di un grande leader che sa essere impopolare, che osa mettersi contro la parte dura del suo elettorato. Qualcuno può fare un altro esempio, indicarci qualcuno, in qualche altro Paese democratico, dove si esiste soltanto con il favore e col voto, che possa essergli messo accanto in questa prova impossibile?

Tra i Palestinesi questo coraggio, che è di pace invece che di guerra, e dunque il contrario di ciò che i leader del mondo di solito vogliono dimostrare, ha attratto per forza attenzione. Neppure il cumulo di pregiudizi contro quel celebrato e odiato ex nemico può fare velo alla sua determinazione e al senso di ciò che sta facendo. Nel mondo la politica di Sharon in questi giorni ha un’importanza grandissima. Spezza le propagande, interrompe i luoghi comuni, mostra che è sempre possibile, anche nelle situazioni più incredibili, anche quando la controparte è la propria gente, intraprendere il compito di fare la pace.

Ricordate le tante discussioni sul terrorismo? Ci vogliono gli eserciti o ci vuole la politica? Ecco, è toccato a Sharon, considerato il falco degli eserciti, dire e mostrare come funziona la politica al posto delle armi. Sharon dà in queste ore un colpo al terrorismo più forte dell’intervento di un esercito. Sta abbattendo, anche per gli avversari, l’argomento che la lotta armata è l’unica strada.

Israele, il Paese del mondo più ferito e dilaniato dal terrorismo disumano delle bombe umane, sta negando la guerra di civiltà che piace tanto in certe retrovie italiane. Dimostra che ciò che ognuno di noi ha in comune con gli altri è il desiderio (ma anche il bisogno) di fare pace e di vivere accanto. Dimostra, ai suoi e agli altri, che questo desiderio grande e legittimo, si paga con il rispetto reciproco.

Dicono che a sinistra molti negano che tutto ciò stia accadendo o che abbia un senso o che possa essere opera di un politico come Sharon. Ma la natura, l’istinto, il Dna di chi sceglie di stare a sinistra è solidarietà e pace. Non c’è solidarietà con i Palestinesi se non c’è solidarietà con Israele. E non c’è pace senza chi ha il coraggio di farla.

Ora che Ariel Sharon, insieme a tanti israeliani, (e al prezzo di dispiacere a molti altri) si è assunto quel compito, che riverbera effetti di pace nel mondo, si può far finta di non vedere il senso di ciò che sta accadendo e il peso storico di chi lo fa accadere?

furiocolombo@unita.it

 

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