Pubblicata sulla Stampa un intervista inedita di
Giovanni Paolo II.
Sei mesi dopo la morte di Giovanni Paolo II è
stata pubblicata sulla Stampa una intervista che
il Papa censuro'. Il pontefice aveva concesso
nell'88 l'intervista a Jas Gawronski,al quale
aveva poi chiesto di non pubblicarla senza
spiegare il suo ripensamento.Nella conversazione
papa Wojtyla si sofferma, tra l'altro, sulle
figure di Hitler e Stalin, su nazismo e
comunismo e sulle prospettive di sopravivenza
del sistema comunista che gia' allora cominciava
a vacillare. Ecco l'articolo comparso oggi su La
Stampa con l'intervista inedita a Giovanni Paolo
II.
di
Jas Gawronski -
Avevo passato tutta la notte a «sbobinare»
l’intervista, ad ascoltare il nastro e
trascriverne il testo per poi mandarlo subito al
giornale: sarebbe stata la prima ampia
intervista politica concessa da Giovanni Paolo
II. Era il 12 ottobre del 1988. Alle 8 in punto
squillò il telefono e lo stesso collaboratore
del Papa che il giorno prima mi aveva invitato a
cena con il Santo Padre mi comunicò che Giovanni
Paolo II «avrebbe preferito che questa nostra
conversazione rimanesse privata». Non ebbi
nemmeno la prontezza di chiedere perché, e
confesso che per qualche istante ebbi la
tentazione di non prendere in considerazione
l'invito del Papa e pubblicare il testo.
L’intervista è rimasta segreta per tutti questi
anni. La conversazione con il Papa iniziò con
un'analisi del sistema comunista, che già
mostrava segni di cedimento, persino nei Paesi
del Terzo Mondo. Giovanni Paolo II così
commentò: «Dai sovietici e dalla loro ideologia
oggi cercano di sbarazzarsi persino i paesi
africani. Non vogliono più saperne della
inefficienza e della improduttività di quel
sistema. E la perestrojka significa proprio
questo: come uscire da quel sistema. Non lo si
dice così apertamente, ma significa proprio
questo».
Ma
forse il sistema continuerà ad esistere, a
sopravvivere in forma diversa: una specie di
marxismo senza Marx. «Certo, ci troviamo di
fronte ad un arretramento rispetto alle
tradizionali posizioni ideologico-politiche, ad
un allontanamento dal leninismo-stalinismo, ma
temo che non sarà un processo che verrà portato
fino alla sua fine soprattutto dove i comunisti
sono al potere. Perché quel
leninismo-stalinismo, come fattore politico del
marxismo, ha dato la sicurezza del potere,
l’inamovibilità dal potere. Loro si sono creati
questo sistema, che si basa sull'idea marxista
della rivoluzione nel nome della dittatura del
proletariato. Poi si sono sbarazzati del
proletariato, lo hanno allontanato dal potere,
ed hanno consegnato la dittatura al partito, o
meglio ad una classe privilegiata all'interno
del partito, e questo dura fino ad oggi. Lungo
un periodo di anni, di decine di anni, ciò ha
creato una nuova classe di potere, come ha
scritto Milovan Gilas, una nuova classe, una
nuova aristocrazia. Ed oggi, per quella gente,
cambiare il sistema politico come sistema di
potere significherebbe auto escludersi...».
Commettere un suicidio politico... «Non lo
faranno mai. Il generale Jaruzelski subito dopo
il colpo militare contro Solidarnosc ha detto:
“Difenderemo il socialismo alla stessa stregua
dell'indipendenza”. Forse lo difenderanno anche
meglio, anche più, dell'indipendenza. Loro sono
sempre stati dei pragmatici: li ho osservati per
decine di anni, ho esperienza in proposito.
Prendiamo un esempio concreto: quando si trattò
dopo il 1960 di costruire la prima chiesa a Nowa
Huta, nei dintorni di Cracovia dove era sorta
una enorme acciaieria, ci furono lotte,
manifestazioni, rivoluzioni. Loro promisero che
su un certo terreno, che venne marcato da una
croce, sarebbe sorta la chiesa. Poi cercarono,
con piccole scuse e bugie, di far marcia
indietro. Quando poi, in seguito alle sommosse
popolari, si convinsero che quella chiesa doveva
pur sorgere su quel terreno, e che sarebbero
stati costretti a dare la necessaria
autorizzazione, cominciarono a svolgere dei
precisi e dettagliati sondaggi di opinione, per
sostenere la loro decisione in chiave
scientifica, sociologica, per stabilire che
effettivamente quella era la volontà della
maggioranza della popolazione. A dire il vero,
questo non era il loro metodo fin dall'inizio,
prima c'è stata tutta la brutalità della
rivoluzione staliniana, quei primi anni della
rivoluzione quando agivano senza scrupoli, con
la semplice forza, con l'esilio in Siberia, i
gulag, e l'assassinio di milioni di persone, non
si sa nemmeno quante. Si è già molto parlato
degli stermini hitleriani, oggi si parla sempre
più apertamente degli stermini staliniani...».
Con la differenza che gli stermini di Hitler non
hanno portato a nulla, e quindi vengono
condannati molto più decisamente di quelli
staliniani, che pur nella loro bestialità,
qualche risultato l'hanno prodotto. «Questo è
vero per l'Europa occidentale, ma le assicuro
che fra le popolazioni direttamente interessate
dallo stalinismo la critica di quel sistema è
sempre più evidente e convinta».
Molti storici sostengono che Stalin era un
grande leader, ma non dicono la stessa cosa di
Hitler. «E’ vero, alcuni sostengono che quanto a
capacità di leadership, e non solo quello,
Stalin era più grande di Hitler. Certo, dal
punto di vista morale l'uno e l'altro sono
decisamente condannabili. Se Stalin viene
considerato meglio, forse non è proprio merito
suo, forse è perché semplicemente il comunismo
era un programma più profondo del
nazionalsocialismo tedesco. Il nazionalismo
tedesco, il nazismo, ed il fascismo a lui
collegato erano programmi decisamente antiumani,
e per di più semplici, superficiali. Il
comunismo è sempre stato visto, ed ancora viene
visto come il sistema che può portare ad una
maggiore giustizia, ad un maggiore egalitarismo
sociale. E la gente si è abituata a questo
egalitarismo, anche in Paesi come la Polonia».
Ma
Lei Santo Padre pensa che Gorbaciov ce la possa
fare? «Di questo si preoccupano soprattutto gli
americani».
Tutti ci preoccupiamo... «Effettivamente sarebbe
un grande peccato, se questa sua riforma dovesse
arenarsi. Si possono avere dubbi e riserve sul
suo programma, ma certamente è qualcosa di
nuovo...».
E
anche di importante. «Se lo si paragona con
tutti quelli che l'hanno preceduto nella carica
di primo segretario, bene, la differenza è
enorme».
Molti specialisti americani di cose sovietiche
riconoscono a Gorbaciov solo il 50% di
probabilità di riuscire: se lo fanno fuori,
dicono, si ritorna al punto di prima, e forse
anche a peggio. «Certo, le forze conservatrici,
nel senso sovietico della parola, sono potenti e
profondamente interessate acché la situazione
rimanga tale e quale. Per mantenere il loro
establishment, la loro esistenza sicura e
privilegiata, la cosiddetta nomenklatura».
Qualche mese fa sono stato a Mosca dopo parecchi
anni di assenza. Ne ho tratto due conclusioni:
rispetto a prima c'è un’enorme libertà di
parola, la gente dice tutto quello che vuole, ma
la perestrojka interessa poco alla gente comune.
E così il povero Gorbaciov è ostacolato dai
burocrati, come lei ha detto, ma non è affatto
sostenuto dalla base, dalla massa della
popolazione. «Mi sembra un problema di eredità,
di tradizione storica. Purtroppo i russi non
hanno quello spirito di contraddizione, di
opposizione di cui i polacchi sono sin troppo
dotati. Sin troppo, e non sempre sanno nemmeno
trovare il momento giusto per fermarsi. I russi
sono diversi, sono lenti, sono diciamo, passivi.
Potrebbe anche dipendere dalla loro eredità
ortodossa. L'intelligencija è sempre stata
attiva, ma purtroppo ha sempre rappresentato una
piccola minoranza. Su scala minore, lo stesso
problema lo abbiamo avuto in Polonia, lo si è
visto nel '68: l'unica protesta non riuscita in
Polonia è stata quella dell'intelligencija.
Tutti i tentativi precedenti che emanavano dagli
operai, tutti hanno ottenuto un qualche
risultato. Nel '68 invece, si cominciò non nelle
fabbriche ma nei teatri e nelle università ed è
finita molto male. Nell'80 queste due categorie,
operai ed intellettuali, hanno agito con
maggiore perspicacia, avvicinandosi l'uno
all'altro: perspicacia hanno dimostrato così gli
intellettuali, entrando in contatto con
Solidarnosc, come Walesa, scegliendosi fra gli
intellettuali dei consiglieri di indiscusso
valore come Bronislaw Gieremek, professore di
Università, e Taddeusz Mazowiecki, un
intellettuale di grande levatura. E oggi questa
tendenza fa parte della vita normale, per così
dire, della società. Sembra che Sacharov abbia
detto a Walesa, quando si sono incontrati a
Parigi, "lei è fortunato, perché dietro di lei
c'è tutto il paese, mentre io sono solo". Ma a
questo bisogna aggiungere una breve
precisazione: Walesa è sempre più criticato
dalla nuova generazione. Lui ha meno di 50 anni,
e già gli dicono, "tu sei un vecchietto, sei
troppo moderato, troppo conciliante". Simili
stati d'animo si notavano già all'epoca d'oro di
Solidarnosc, negli anni 80-81, quando molti
pensavano come riuscire, con l'aiuto di
Solidarnosc, a cambiare la situazione. Oggi
quest'idea ritorna, ritorna con insistenza: come
sbarazzarsi di questo potere, che non è nostro,
che ci è estraneo? Il ragionamento che si fa è
questo: per cambiare la situazione economica
bisogna ristabilire la reciproca fiducia, e per
arrivare a questo bisogna cambiare la situazione
politica. Così dicono in Polonia. E ciò non
basterebbe certo a convincere i governanti, se
non fosse per il fatto che anche l'Occidente
preme perché vadano in quella direzione, e preme
decisamente. O vi mettete d'accordo, dicono gli
occidentali, o riuscite in qualche maniera a
democratizzarvi, altrimenti noi non vi
aiuteremo».
L'Occidente vuole soprattutto ordine e
stabilità. Ma credo dovrebbe cambiare
atteggiamento, adattarsi alla nuova situazione,
non basta mandar soldi, prestare, finanziare,
bisogna integrare quella parte d'Europa nella
nostra Europa. Una volta all'Est c'erano code
per i passaporti, per poter partire, ora ci sono
code alle ambasciate, per i visti, per poter
entrare nei vari paesi del capitalismo. E' una
situazione diversa.
«Non molto tempo fa è venuto a trovarmi il
ministro polacco dell'industria, Wilczek, quello
che non è del partito. Mi ha spiegato che ora
fanno entrare tutti i capitali occidentali, per
investimenti, per creare nuove aziende.
Naturalmente non si parla più di quegli
investimenti giganteschi dei tempi di Stalin e
di Gierek».
Però che peccato! Tutti questi paesi così ricchi
di risorse naturali e umane, che potrebbero
essere al livello dell'Occidente, e invece tanta
gente soffre, e per niente. «Di questo adesso si
parla e si scrive in Polonia. Cosa ci avete
fatto? Vi siete appropriati del potere, ed avete
portato paese e popolo alla povertà. Ma il fatto
che loro ora ragionino in termini di come
aiutarsi da soli, come schiudere all'Occidente
possibilità di collaborazione economica, direi
che è uno sviluppo positivo. Perché se tutto il
rapporto con l'Occidente dovesse limitarsi ad un
prolungamento dei crediti sarebbe un programma
abbastanza statico, non ne verrebbe fuori nulla
di positivo e duraturo. L'importante è il
capitale umano. E la gente emigra sempre di più
perché la società, lo stato, il sistema non
sanno come far fruttare questo capitale umano,
questo capitale di lavoro e di istruzione. Ed
emigrano, o scappano, i migliori, i più
istruiti. Ed è un peccato per la Polonia».
Torniamo all'Europa. Il discorso, che lei, Santo
Padre, ha pronunciato a Strasburgo ha fatto
un'ottima impressione su noi del Parlamento
europeo. «Sì, mi ricordo quell'episodio, la
contestazione del reverendo Paisley. Ma il
presidente del Parlamento Europeo, Lord Plumb,
mi aveva preavvertito che si sarebbe agitato,
che avrebbe protestato, e così non sono stato
colto di sorpresa, ho potuto dare l'impressione
di una stoica tranquillità!».
Ma
Lei Santo Padre intravede il pericolo che
un’Europa del genere tenda alla neutralità, si
liberi dei forti legami che ha con gli Stati
Uniti per finire sotto l'influenza dell'Unione
Sovietica? «Se ne parla, ma il pericolo deriva
da una questione di numeri. Dal punto di vista
della sua estensione, l'Unione Sovietica è il
paese più grande. E allo stesso tempo è l'ultimo
paese coloniale ancora esistente al mondo. E non
si tratta di colonie d'oltremare, ma sul suo
stesso territorio euroasiatico. Mi dicono che
già oggi Gorbaciov considera uno dei suoi
problemi più difficili quello delle nazionalità.
Alcune di queste nazioni hanno una loro propria
storia, una propria maturità, come per esempio
gli Stati baltici (e direi anche l'Armenia).
Sono nazioni piccole che non hanno altra scelta
se non quella di formare una confederazione».
Quando incontrerà Gorbaciov, quando verrà in
Vaticano, sarà un momento importante? «Se lo
vedrò, non lo so».
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