Il Progressive Rock - 15-09-01 - Daniele Prece daprec@tin.it

 

   

Verso la fine degli anni ’60 la genialità e la ricerca di originalità di un ristretto nucleo di musicisti inglesi, tracciava le prime linee di un nuovo genere musicale: il progressive rock.

Il progressive è una delle poche forme musicali del rock che attraverso un paio di decadi ha continuato a portare avanti un discorso arricchito di soluzioni e di innesti sempre nuovi, rimanendo allo stesso tempo legata ad una serie di formule fisse e di crismi a monte predefiniti.

Il movimento vanta in Italia come nel resto d’Europa, innumerevoli adepti ed una folta schiera di ammiratori del genere.

Gruppi come Pink Floyd, King Crimson, Van Der Graaf Generator, Yes, Genesis, Gentle Giant ed altri, animati da un forte spirito di ribellione ed ansia di libertà musicale, promuoveranno la rottura di ogni struttura o regola che allora governasse la musica rock.

Come in un big-bang primordiale, alla frattura degli schemi compositivi, seguì una sorta di ordine-disordine, che non portava necessariamente verso una compiuta unione d’intenti : il magma primordiale si frantumava in una totale anarchia creativa, sfociando poi nelle forme espressive più disparate e dando così vita a connubi musicali prima impensabili : dal jazz all’avanguardia, dalla sinfonia classica al minimalismo.

E così, si potevano definire “progressivi” gruppi con marcate differenze concettuali e compositive, ma tutti accomunati dal misterioso fascino di una sonorità in continua evoluzione tecnica e creativa (da cui “Sound in Progress”), e dal coinvolgente alternarsi di ritmi e sequenze musicali.

Correva l’anno 1969, e l’uscita dell’ album “In The Court Of The Crimson King” ad opera dei King Crimson, segnò la nascita ufficiale del movimento prog.

Si badi bene, quindi, con il termine “progressive” non si intende uno stile musicale nel senso più propriamente tecnico (come il blues o il reggae), bensì una corrente di pensiero, un teoria di approccio alla musica, una filosofia compositiva ed esecutiva.

Creare la cosiddetta “opera rock” diventa così una vera e propria ossessione tra tutte quelle band potenzialmente in grado di potersi cimentare nell’avventura progressiva.

Dall’esaltazione romantica dei sentimenti i Genesis, ad esempio, ricreavano leggende che nell’immaginario collettivo si ponevano in un medioevo fantastico, sospeso tra passato e futuro, in forte debito con tutto il genere fantasy (vedi “Il Signore degli Anelli”).

Gli Yes, invece, si immaginavano astronauti alla deriva nel cosmo e, percorrendo gli spazi siderali, raccontavano di fantastici mondi immaginari, tra cui anche la Terra, da essi ammirata con lo spirito rinnovato di chi riesce ancora a stupirsi di fronte a meraviglie come gli oceani, le maree, le stagioni e tutte quelle cose che l’uomo dell’evo tecnologico sembra aver irrimediabilmente dimenticato.

I Pink Floyd, prediligendo atmosfere oniriche e orientaleggianti, si ponevano lo scopo di condurre l’ascoltatore nei meandri nascosti della psiche, trasformando il semplice ascolto musicale in un vero e proprio training autogeno, una sorta di seduta psicanalitica.

Per i Van Der Graaf Generator, invece, quella solitudine cosmica tanto decantata dagli Yes come dolce momento di fuga e di evasione dalla realtà, diviene amaro motivo di riflessione interiore e viene assurta a tragico parallelo con la condizione dell’uomo, che a detta dell’autore, Peter Hammill, sarà sempre “irrimediabilmente solo”.

Si può quindi ben immaginare quale e quanto impegno musicale si esigesse da temi così profondi ed elevati.

La musica che si va così a sviluppare è di stampo pseudo-sinfonico (con numerosi saccheggi al patrimonio classico, vedi Emerson, Lake & Palmer) e l’improvvisazione lascia spazio a strutture compositive molto ardite e complesse, dove si richiede all’ascoltatore un notevole impegno e dedizione.

E fu così che si diede corso, agli inizi degli anni ’70, alla più felice ed intensa stagione musicale mai attraversata dalla musica rock, con album eletti quali autentici capolavori, come Selling England By The Pound dei Genesis, Close To The Edge degli Yes, The Dark Side Of The Moon dei Pink Floyd, Pawn Hearts dei Van Der Graaf Generator, e decine di altri ancora. E anche in Italia il movimento ebbe un notevole risalto, anche se comunque sulla falsariga dei nomi sopra citati: chi non ricorda band come PFM, Banco Del Mutuo Soccorso, Le Orme, Il Rovescio Della Medaglia e decine di altri ancora?

Ma come ogni bella cosa, anche il prog si avviò al triste tramonto: gli eccessi strumentali e la propensione per temi fantasiosi e magniloquenti, spinsero i mass-media a declassare il movimento in quanto socialmente inutile, lontano mille miglia dai problemi che il mondo dei giovani si trovava a vivere in quegli anni (guerra fredda USA-URSS, terrorismo in Italia, etc.).

Il rock, infatti, aveva sempre rappresentato per la gente un momento di denuncia sociale, di ribellione (vedi Bob Dylan, Rolling Stones o Bruce Springsteen prima maniera).

E fu così che il Punk, presentandosi come valida alternativa, si rimpossessò dello scettro di paladino sociale e ripartendo dal sano rock’n’roll, ricominciò di nuovo a parlare il linguaggio della gente, chiedendo la testa di questi dinosauri del rock che fino a quel momento avevano dominato il pianeta.

Orde di barbari dai capelli verdi invasero tv e giornali, armati di mille chitarre male accordate, pronti a ridare al rock la sua più vera (e becera) identità sociale.

Correva l’anno 1977 e da allora ad oggi l’imbecillimento musicale sembrerebbe non ancora terminato, nonostante si sia ormai da tempo toccato il fondo.

E’ inutile ribadire quanto assurda sia l’affermazione di chi sostiene che la musica rock debba per forza occuparsi di realtà sociale per poter essere credibile.

L’impegno che il progressive-rock si ostinava a portare avanti puntava ben più lontano di un pietoso tributo ai poveri del mondo (Live Aid) o di un’ipocrita canzone per gli alberi dell’Amazzonia (Sting) : si stava cercando di elevare le coscienze verso un livello intellettivo superiore, invocando l’ascoltatore a cercare nella musica un momento di intima riflessione interiore, provando per una volta a “dimenticare” quei problemi che tanto rendono difficile il cammino dell’esistenza, rinnovando così il proprio approccio con il mondo.

Probabilmente questo è il vero “impegno” che tutta la musica, in generale, dovrebbe rispettare : allietare gli spiriti, sviluppare le virtù, infondere quella capacità evocativa atta a recuperare dentro ognuno di noi i veri crismi a cui l’esistenza dovrebbe votarsi, ormai sempre più perduti nello squallore della vita quotidiana.