Eravamo alla fine degli anni 50.
Presso l’Istituto Tecnico Industriale di Benevento, erano arrivati due ragazzi congolesi per completare gli studi. Si chiamavano Pierre e Ambrogio.
Non eravamo abituati a vedere
persone di colore e così, dopo poco tempo, questi due ragazzi diventarono delle stars; erano sempre al centro dell’attenzione e quando andavano in giro per le strade di Benevento, erano seguiti da un codazzo di gente.
Erano i tempi in cui il grande
Brasile di Pelé imperversava in tutto il mondo e noi facemmo una sciocca equazione: siccome anche questi sono neri, certamente sanno giocare al calcio. Era come dire che tutti i napoletani sanno cantare.
Erano in classe insieme a mio
cugino Nino Affinito e, suo tramite, li invitammo a partecipare ad un incontro di calcio organizzato “ ad hoc ” prevalentemente da tutti i giovani che frequentavano le scuole a Benevento.
Quando andammo a riceverli
presso la stazione ferroviaria di Telese, non potemmo fare a meno di notare il loro originale abbigliamento: Indossavano maglioni bianchi a giro collo dai quali spiccavano, come non mai, le loro teste nere.
Facemmo una breve sosta presso l’abitazione di mio zio Gigino; qui ci raggiunsero altri partecipanti alla manifestazione tra i quali ricordo Eduardo Presutti e Tonino Di Santo. Poi tutti insieme, con Pierre e
Ambrogio al centro del gruppo, ci incamminammo verso il campo sportivo.
Man mano che andavamo avanti, il codazzo di persone diventava sempre più numeroso e sempre più chiassoso. Quando arrivammo davanti all’abitazione di Antimino, lo vedemmo
uscire di corsa da casa sua, sicuramente attratto da tutto quel trambusto portando in mano “nu’ sfilatino luongo quase miezo metro“.
Intanto il gruppo si era
spezzato in due: il primo era un poco più avanti con al centro Pierre, il secondo con Ambrogio in quel momento passava davanti ad Antimino. In questo secondo gruppo mi trovavo anch’io.
Antimino intravide “na’ capa nera “ e, molto incuriosito, cominciò a seguirci camminando sul marciapiede al nostro fianco, esclamando frasi incomprensibili ad alta voce finché non attrasse
l’attenzione di Ambrogio che si girò di scatto verso di lui.
Antimino se fermaje ‘e bòtta, lle cadette ‘o sfitatino nterra, sgrananno ll’uocchie e scutulianno ‘a mano dicette : Puozze passà nu’ guajo, quant’è brutto….è cchiù niro ‘e na’
mulignana!
Benché fosse evidente che la cosa lo aveva molto turbato, continuò a seguirci ma, stavolta, a debita distanza. Per dare l’idea, quando raggiungemmo l’ingresso del campo sportivo,
lui stava ancora davanti al bar “Orfitelli”.
E fu in quel preciso istante che prese corpo l’idea perversa: spiegammo ad Ambrogio la situazione e poi gli chiedemmo di girarsi di scatto e di correre in direzione di Antimino.
E chi puteva maje credere che
Antimino “curreva ‘e chella manèra, ato che Mennea, fujéva accussì forte ca ‘e carcagne ll’arrivajeno arèto ‘o cuzzetto”. ‘O negretto curreva-curreva, ma nun fuje cazzo d’arrivà!
Di fronte alla nostra
meraviglia, Tonino ‘o sceriffo trovò una spiegazione, disse : Chella è ‘a forza d’’a paura!
E fu così che, alla fine
degli anni 50, facemmo due sensazionali scoperte:
Antimino era “cchiù veloce d’’o viento;
Non basta avere la pelle nera per saper giocare al calcio; in realtà quei due ragazzi erano
“ ddoje mêze cazette “.
Antimino e Riccardo Affinito
Qualche tempo dopo, agli inizi degli anni
60, eravamo impegnati a rappresentare la commedia di Eduardo Scarpetta “ ‘O miedeco d’e pazze” e, non avendo a disposizione dei locali nostri, effettuavamo le prove nel cortile della casa paterna di Maria Tanzillo.
Sul detto cortile si affaccia, tra
gli altri, il terrazzo della casa di Antimino e un pomeriggio, mentre provavamo il terzo atto, senza che nessuno di noi se ne fosse accorto, Antimino stava guardando le prove.
Arrivati
verso la fine dell’atto, c’era un passaggio nel quale Felice Sciosciammocca, interpretato da me medesimo, diceva a Don Carlo, interpretato da Tonino Di Santo:
Felice: Ma vuje veramente nun sapite
niente? Na bona porzione de pazze se ne so’ scappate e so’ venute ccà.
Don Carlo: E n’ata vota cu’ li pazze! Ma quali pazze? Addó stanno chisti pazze?
Antimino:
Nfacci’‘o c…..
Mamma d’o Carmine, sta cosa ce arrivaje comm’’a na’ perocculata ncapa! E ‘a dó vène sta voce? Oillanno o’ vì…, ’o malandrino sta ncopp’’o terrazzo!
Provate ad
immaginare quello che successe. Prima la sorpresa, perché nessuno si era accorto della presenza di Antimino, poi lo stupore per questa espressione tanto improvvisa quanto perentoria, poi l’imbarazzo perché in mezzo a noi ci
stavano diverse ragazze, ma alla fine una generale risata a crepapelle. Compreso Antimino.
Quando rappresentammo la commedia
al cinema “Modernissimo” di Telese, siccome in mezzo al pubblico c’era anche lui, quando arrivammo al punto nevralgico “ ce venette na’ specie ‘e sudarella, penzavamo: mó siente lloco!”.
Non successe niente.
Il fatto più eclatante accadde qualche anno più tardi, probabilmente nel 1981.
Benché mi fossi trasferito nel Comune di Anzio già dal 1970, gli amici telesini e dei paesi limitrofi ancora mi invitavano a fare da intrattenitore in qualche festa
di piazza e, per la circostanza, l’invito ci venne da alcuni amici di Castelvenere in occasione, forse, della festa di S.Barbato.
Della
Compagnia facevano parte, oltre a me, mio fratello Gino e Lucio Monteforte con il suo complesso.
Non so come ma Antimino venne a sapere
dell’iniziativa e, il giorno della rappresentazione, andava in giro per Telese in cerca di un passaggio per Castelvenere, benché lui fosse un fan dei “ Romantici show”, il complesso di Angelo Maglione che imperversava in quel
periodo.
Prevedendo quello che sarebbe potuto accadere, nessuno di noi gli diede il passaggio ma appena iniziò lo spettacolo, lui già si aggirava intorno al palco con la pretesa di cantare
“’O sole mio”.
In mezzo al pubblico scorgemmo l’amico Gianfranco Ciabrelli e lo pregammo di tenere a bada Antimino, cosa che egli fece fino ad un certo punto, finché si avvicinò al palco e ci
disse, alquanto esasperato: “I’ nun ce’a faccio cchiù! Mó ddoje só ‘e ccose, o ‘o facite cantà o ll’aggia accidere ‘e mazzate. Naturalmente lo facemmo cantare.
“ E lloco te voglio ciuccio, ncopp’’a sta sagliuta. I’ n’aggia
canusciute gente stunate, ma
stunate comme Antimino ncopp’’o munno nun ce ne stanno”
E’ incredibile come riesce, in
una canzone intera, “ a nun anduvinà manco na’ nota”.
“Appena sagliette ncopp’’o palco, afferraje ‘o microfono e senza sapé né legge né scrive
abbiaje a cantà ( si fa per dire): ‘o sole mio, sta ‘nfronte a te…’o sole mio, sta ‘nfronte a
e…’o sole mio sta ‘nfronte a te… e diceva
sempe chello e mentre cantava ( si fa sempre
per dire) se turceva ‘e che manèra, e cchiù steva e cchiù se turceva, finché n’abbiaje
a se vuttà pè terra.
‘A gente se guardavano nfaccia ll’uno
cu’ ll’ate senza capì chello ca steva succedenno; nu’ signore ca steva vicino ‘o parco dicette: Guagliù, stammo sicuri ccà sotto o ce n’avimma fuje?” Pè lle levà ‘o microfono ‘a mmano, avettemo sudà sette cammise.
Per fortuna, la cosa finì con il divertimento generale.
Questi sono solo alcuni dei fatti dei quali Antimino fu protagonista; perché non c’è alcun dubbio che questo ragazzo fu, a modo suo, uno dei protagonisti della vita telesina degli
anni 60/70 e che chiunque voglia conoscere fino in fondo la storia di quegli anni deve fare i conti con questo personaggio. Restano famose le spettacolari imitazioni che di lui faceva “ Ntuniuccio.
Attualmente
questo nostro dimenticato amico soggiorna presso una struttura per anziani; poiché nella stessa struttura soggiorna una mia sorella invalida, dopo tanti anni mi capita di tanto in tanto di incontrarlo.
La
prima volta lui stava sulle sue, non mi dava confidenza, al punto tale che per un attimo ho pensato che non mi avesse riconosciuto. Ma poi mi sono ricordato che è un timidone, specialmente in presenza di donne, e allora ho
cominciato piano-piano a lavorarmelo ai fianchi : Antimo, t’allicuorde Ambrogio…’o niro…era cchiù niro ‘e na’ mulignana? T’allicuorde quanno jettemo a cantà ncopp’’e Vienneri…’o sole miooooo? E così
piano piano ha cominciato a scigliersi.
Adesso quando vado a trovare mia sorella, lui mi viene incontro e mi abbraccia, si vede che è contento di vedermi, forse perché gli passo i soldi per le sigarette, forse perché
l’estate scorsa, nell’ambito di un “Canta tu” organizzato dalla direttrice della struttura gli ho fatta cantare “ ‘O sole mio” tra la disperazione generale degli altri ospiti della struttura, forse perché gli faccio rivivere i bei momenti
spensierati della giovinezza oppure, più semplicemente, perché percepisce che gli voglio bene.
|