Prefazione
Esiste una Storia dei Popoli che
descrive il Condottiero, l’Interesse di
Stato, l’Arte, le Tradizioni, i
Commerci, le Invenzioni, la Vita comune.
Questa Storia caratterizza Continenti,
Territori, Città, Quartieri, Palazzi.
E’ un qualcosa che permane vivo nella
quotidianità, che si sedimenta nei
cambiamenti, che caratterizza le
Generazioni, ne forma un “modus vivendi”
innato, pregnante, identificativo.
E’ la Storia che si tramanda, con cui ci
si confronta, che rappresenta il futuro
ed il presente.
Ma esistono anche aree geografiche
marginali, in cui questa Storia è
veramente minore, in cui la
modernizzazione per quanto veloce è meno
caratterizzante, meno evidente. Sono
territori che non hanno conosciuto
Cantori (penso a Tobino e Viareggio o a
Biamonte e l’ovest Ligure, ad Alvaro e
la Calabria interna o Sciascia e la
Sicilia degli umili), non testimoniano
battaglie, non hanno o, conservano male,
reliquie di Civiltà, tradizioni
immediatamente identificabili con il
territorio, strade da secoli percorse,
frenesia della civiltà industriale.
Eppure sono territori da sempre abitati,
vissuti, con un tessuto urbano,
artigianale, umano non “minore”. Sono i
territori lasciati allo studio della
“Storia Locale”.
Il Sannio interno è una di queste aree.
Questo testo è un piccolo contributo,
mai proposto, a questa Storia.
Un libro di immagini serve ad evocare
dei luoghi,una storia, lo spazio fisico
e simbolico di una Comunità. Attraverso
miti e riti fondativi si costituisce,
nel corso degli anni e delle
generazioni, una identità collettiva.
Nessun paese può fare a meno della
propria Storia e memoria senza che venga
messa a rischio la propria identità ed
il suo futuro di collettività.
Telese Terme rappresenta un’eccezione.
Paese giovane non possiede “la piazza”,
i vicoli, le urne votive, i martiri,
tracce delle guerre. Vive di immigrati
che l’hanno popolato negli ultimi 60
anni.
Ecco il senso di questo mio lavoro per
immagini con cartoline (molte inedite o
uniche), utile a ricordare le origini, i
primi simbolismi , i primi luoghi.
La coscienza collettiva può
riappropriarsi dei piccoli ricordi
legati alle immagini del treno, delle
Terme, del Grand Hotel per capire i
luoghi del presente scevri di simbolismi
e non arricchiti dalle esperienze dei
“nuovi telesini” popolanti una città
senza memoria, dei luoghi limitrofi,
spesso, sentiti dai telesini perché
memoria recente del loro passato (la
sorgente Grassano o il Ponte Maria
Cristina, dei Paesi vicini che, forti
della Storia, in soli sessant‘anni hanno
creato una “Città aperta” ove
convogliare risorse e umanità.
Le cartoline, con il treno o la prima
piazza con l’antica porta o l’ufficio
postale, piccoli simboli della vocazione
ad accogliere, ad essere “centro”
rappresentano un inizio di ricostruzione
di questa memoria che non c’e’.
Le cartoline che formano questo libro
rappresentano solo una selezione del
materiale che costituisce la collezione,
ed è anche un piccolo contributo di una
Famiglia fondante il Paese e giunta alla
quinta generazione, una traccia per chi
ama le proprie radici e le cerca per
rinforzare il futuro. E’ la selezione di
una ricerca durata oltre trent’anni tra
bancarelle, fiere, case private ed
internet. Oltre, naturalmente, o forse,
soprattutto, un esempio di
testardaggine.
Ma, in un libro di cartoline la prima
domanda da porsi è: “cos’è una
cartolina?”…Chi è un Collezionista di
cartoline, quali simbolismi si
custodiscono e si tramandano?
L’immagine cartolinistica si identifica,
da oltre un secolo, come uno strumento
di comunicazione privilegiato, una
ideale sequenza seriata nel tempo di
vignette illustrate delle epoche e delle
tradizioni di un luogo. Nel tessuto dei
centri urbani i cambiamenti si
susseguono di decennio in decennio;
case, strade e palazzi si sostituiscono
a spazi aperti, edifici prendono il
posto di altre costruzioni in disuso,
nuove piazze si costruiscono, nuovi
luoghi simbolici si creano altri si
lasciano all’oblio.
“Un osservatore privilegiato che
possiede un’ideale “macchina del tempo”
che lo riconduce agli scenari di una
volta è il collezionista di cartoline. A
spingerlo a raccogliere immagini è la
curiosità, la voglia di documentarsi, la
passione per il luogo natio e l’orgoglio
di avere a disposizione un set di
istantanee su ciò che non è più. Ecco
l’identikit di chi colleziona antiche
cartoline illustrate: un uomo che vuole
ricostruire le proprie radici, le
proprie ascendenze legate ad una terra
amata. Il più delle volte è fiero di
comunicare il proprio interesse agli
altri, mettendo a disposizione il
proprio materiale; in altri casi lo
custodisce gelosamente senza mostrarlo
ad anima viva. I metodi di conservazione
sono accurati, una cartolina perduta è
come un ricordo cancellato per sempre.”
(Arrasich)
Non è concepibile una civiltà priva di
narrazione. Narrare è la forma vitale
dell’uomo. C’è una midrasch, una
leggenda ebraica, che risale al
medioevo, che narra di come Dio creò
l’uomo per farsi raccontare delle
storie. Lo trovo un pensiero
meraviglioso e profondo. Sta a
significare che è la narrazione che ci
rende umani.
In un mondo dominato dalle macchine che
fanno i calcoli, la parola rimarrà
sempre presente nella nostra storia
intima, nella storia dei nostri luoghi,
la useremo, fortunatamente, sempre per
parlare dell’amore, dei sentimenti,
delle emozioni. La comunicazione
elettronica ha un limite invalicabile
che è quello della logica, mentre una
gran parte della coscienza umana è fuori
da ogni logica, come lo sono l’amore ed
i sentimenti.
La cartolina è una narrazione, un’idea
in cammino. E’ un sentimento in cammino.
E’ un dono in sé che presuppone una
immagine o un’emozione da condividere,
implica una reciprocità e crea una
circolarità di rapporto.
Il mittente ed il destinatario si
contaminano e, attraverso la potenza
dello scritto, si restituiscono l’uno
all’altro. Per questo, oggi, persino
nella posta elettronica si inviano
“cartoline”. In una Società
dell’apparire, dove ciò che conta è
l’esteriorità: il sembrare non
necessariamente l’essere, il risultare
sempre primi, belli alla moda…la
cartolina è sopravvissuta nel suo
dualismo immagine\testo, ci costringe,
con il segno della scrittura e con la
forza dell’immagine, a lasciare traccia
della nostra vera identità, della reale
cultura, delle effettive intenzioni di
chi la scrive.
Rappresenta una vera dimostrazione di
interesse, di rapporto profondo, di
sintonia, da riservare a chi la merita.
Magari scritta a mano per rendere
tangibile il tempo e l’impegno profuso.
Ma anche affrancata con francobolli per
renderla diversa, più classica, più
personale per siglarla e darle un tono
ed una importanza. Sicuramente è una
categoria dello spirito.
Da sole hanno la forza di “Storia”
perché concorrono ad illustrare momenti
emblematici del costume o dei
cambiamenti urbani, dei sentimenti
individuali ma collettivi di una epoca.
Nell’angusto spazio del famoso “formato
cartolina”, anch’esso modificato dagli
anni, dalle tecnologie e dal gusto
imperante, si condensa lo stesso
significato di un’epoca, la sintesi di
un racconto per immagini che separa il
tempo dal tempo, fissandone i diversi
presupposti.
Eppure, ovvero anche, nella cartolina
coesiste, come in ogni comunicazione
scritta e diretta lontano, il paradosso
dell’incertezza sull’esito del
raggiungimento del messaggio. Per questo
persino alcuni filosofi l’adottano come
pietra di paragone della comunicazione
scritta. In primo luogo ciò avviene
perché lo stesso canale della
comunicazione, sia pure lineare e
sequenziale produce degli ostacoli:
cartoline scritte e mai spedite ma mal
affrancate e di conseguenza mai giunte a
destinazione, cartoline smarrite lungo
il trasporto, cartoline intercettate e
riutilizzate in altro modo, conservate
per ricordare l’oggetto della vignetta,
etc.
“In questo senso la cartolina sarebbe
l’epitome dell’incertezza che incombe
sulla comunicazione postale,
quell’angoscia che si impadronisce di
ognuno di noi non appena il supporto
della scrittura si è staccato dalle
nostre dita per piombare nell’antro
oscuro ed inaccessibile di una buca
postale, lì dove la comunicazione si
sottrae al nostro controllo e passa
sotto quello dell’istituzione che
governa gli scambi postali. Non a caso
per sedare quest’angoscia le poste
mettono a disposizione del mittente una
serie di servizi che riducono in maniera
crescente l’incertezza: posta
raccomandata,con ricevuta di ritorno,
assicurata. Ma l’incertezza non è mai
eliminabile in modo assoluto: la
ricevuta di ritorno diventa tale solo
dopo il ritorno, prima è una ricevendo
più che una ricevuta, una promessa o una
scommessa più che una certezza.” (
Leone)
Eppure vi è qualcosa nella cartolina
postale illustrata che la rende più
fragile, più soggetta
all’imprevedibilità della comunicazione
di quanto non lo siano, ad esempio, una
lettera o un pacco, in cui si accetta
meno di buon grado lo smarrimento
dell’oggetto, la non comunicazione. La
delusione di chi viene a conoscenza che
non si è ricevuta alcuna cartolina, che
non è stato recapitato “quell’attimo”
alla Persona destinataria, è esperienza
comune.
Favorisce questa delusione innanzitutto
la forma stessa della cartolina, in cui
la soglia tra il supporto della
scrittura , il suo significante ed il
suo significato è ridottissima, fino ad
annullarsi. Ma soprattutto angoscia il
mancato recapito del simbolismo
comunicativo, questo dualismo
segno-scrittura\immagine-messaggio che è
alla base di questo elemento di
comunicazione.
Come mirabilmente detto anche da altri
Autori è proprio per questi motivi che
il senso della cartolina non può far
fronte a un tipo d’invio incerto. A
differenza della lettera, essa mostra il
proprio significato non solo attraverso
il significante, ma anche tramite il
supporto. La fragilità insita in questa
forma di comunicazione non riguarda solo
il canale dell’invio, la valenza propria
del contenuto o la struttura semiotica
del messaggio. Concerne anche il momento
stesso della spedizione della cartolina
e quello della sua (più o meno incerta)
ricezione. La cartolina rappresenta il
mezzo comunicativo principe delle
comunicazioni brevi personali ma anche
commerciali, di natura sociale e
mondana: inviti auguri, partecipazioni,
scuse.
L’arte che ha reso possibile la
cartolina, a cavallo del 900 è la
fotografia, oltre alle novità tecniche
di stampa (nel testo che segue le
immagini si farà notare, quando
possibile, l’evoluzione tecnica delle
illustrazioni). Si tratta di un’arte che
si colloca nell’epoca del trionfo della
riproduzione seriale, avviata a fine
‘600 e proseguita nel ‘700 con la
calcografia, che permise per prima la
diffusione del patrimonio iconografico e
storico, e seguita, nell’800 dalla
litografia e dalla cromolitografia
oltre, che, dalla fotografia. Il
concetto di “riproducibilità tecnica
dell’arte” si scontrò con il principio
del “pezzo unico” che aveva dominato le
Arti fino ad allora, ed infatti si
crearono le Arti riproducibili come la
fotografia e, poi, lo stesso cinema.
“Ma tornando al percorso che compie una
cartolina illustrata bisogna notare
come, dopo una prima occhiata, queste
vengono accantonate in fondo ad un
cassetto o conservate disordinatamente
in qualche porta oggetti in casa, ove,
di fatto, si trasformano in
qualcos’altro ovvero in pure immagini,
semplici icone e ci si dimentica di chi
le ha spedite (fatto paradossale, se si
considera che lo scopo di una cartolina
è di testimoniare al destinatario del
ricordo del mittente, ma anche di
permettere a quest’ultimo di essere
ricordato dal primo). Alla fine nel giro
di qualche anno, o di qualche decennio,
le cartoline finiscono nelle mani di
qualche collezionista, o di qualche
rigattiere magari classificate secondo
il criterio della località rappresentata
nelle immagini. In tali classificazioni
scompare totalmente il senso delle
cartoline che si trasformano in pure
immagini”.
Ci verrebbe voglia, a volte, di
ricucirne il senso originario, di
leggere i messaggi scritti …di
recuperare la loro storia originale, il
“momento” che le ha generate.
Assistiamo, così, invece al naufragio
della comunicazione, al naufragio del
linguaggio, il naufragio del senso…ma se
la cartolina postale in generale è il
luogo in cui il senso è destinato a
smarrirsi, queste cartoline, da Telese
Terme, rappresentano, invece, l’inizio
di un recupero della storia per una
comunità.
La città è dei cittadini che la abitano,
e gli amministratori dovrebbero
governarla rispettando la loro
sensibilità. Penso innanzitutto agli
spazi della città e alle opere (palazzi,
monumenti, chiese) che li definiscono.
Questi spazi e queste opere dovrebbero
essere preservati non solo per rispetto
dell’arte, ma anche di quel tessuto
tradizionale che orienta ed organizza la
percezione dei luoghi da parte dei
cittadini, che dà loro un senso di
appartenenza garantendo sicurezza e
convinzione di essere in un luogo della
propria storia, sia essa individuale che
collettiva.
Telese Terme è un paese senza storia.
Troppo giovane per definire un’identità,
un sentire comune. Le immagini, tra i
pochi documenti visivi delle origini,
quindi, rappresentano un modo di sentire
comuni i luoghi fondanti, un modo di
riscriverli sul territorio, con la
cultura del momento, con la sensibilità
dell’epoca.
Vedendo queste immagini si fornisce uno
strumento ulteriore al rispetto del
proprio territorio ma si fornisce,
anche, il bisogno di riflettere su tipi
di interventi di restauro, di
ripristino, di salvaguardia che non
rispettano né la storia dell’opera, né
la storia del luogo in cui sono. Il più
delle volte questi interventi vengono
colti dagli architetti chiamati ad
operare come occasioni per lasciare il
proprio segno. Un gesto narcisistico che
con violenza soffoca un’opera della
tradizione culturale, che sfrutta quanto
lasciataci in eredità dalla generosità
del tempo, per imporre il proprio
marchio, il proprio nome. Il modernismo
“antistoricista” si è sempre rivelato un
disastro quando interviene con la sua
ideologia del restauro delle opere e
nella ri-definizione del tessuto urbano.
E’ pur vero che talvolta si può
giustificare quando c’è un’idea forte
dello sviluppo moderno della città.
Penso alla copertura dei navigli a
Milano, un’intreccio di canali di
straordinaria bellezza e geniale
ingegnieristica leonardesca. Ma, oggi,
il più delle volte le concezioni
moderniste non sono sostenute da alcun
progetto forte della visione urbana. Si
opera a casaccio, si coglie l’occasione
e si distrugge ciò che ci ha consegnato
la storia, lasciandoci cose brutte.
Rigorosamente fuggendo dalla retorica e
dalla polemica, meravigliose, tra le
altre, sono le immagini della pista da
ballo delle terme, per decenni luogo
d’incontro di tutta la gioventù della
Valle Telesina, o, anche, l’eleganza
dell’interno del bar termale con
l’intero arredamento in alto e fine
stile anni ’50; ma anche l’eleganza di
fine secolo del salone del grand’hotel,
del parco termale (un gioiello verde era
il viale del cerro) o gli interni del
salone dei concerti della piscina
goccioloni.
Telese Terme è nata come stazione
termale. Aveva un binario unico che
trasportava i bagnanti direttamente alle
terme. Ed intorno a questa attività (le
altre erano la campagna ed il mulino) si
è costruita la città. Coesisteva
un’altra “piazza”, con la Chiesa, il
quartiere “botteghelle” e la porta di
Alife con cui iniziava il paese. Ma è la
storia che vedrete nelle immagini. Oggi
la vocazione ad accogliere è nel suo
massimo storico sia da un punto di vista
urbanistico che demografico. Ricordiamo
per costruire.
Telese Terme, 14\02\2006 Michele
Selvaggio |