Il Museo della
Civiltà Contadina? Meglio il Museo della Civiltà
Cerretese!
Chi sceglie di andare a
Napoli, si sa, lo fa perché pensa di trovare il
Mare, il Sole, il Vesuvio, la Pizza. Chi va a
Cortina, la Neve, le Dolomiti, la polenta. Chi
va a Taormina, vuol vedere Isolabella, il Teatro
Greco, il Centro Storico e gustare i cannoli.
Chi va invece a Rimini, sa di trovare caos e
acqua non cristallina, ma anche divertimenti di
ogni tipo, prezzi non esagerati e piadina. E’
su queste diverse “identità’” che gli
Enti preposti costruiscono una immagine
turistica, un”sistema” da offrire per attirare
gente, un certo target di gente. Chiaramente chi
gestisce il pacchetto turistico, conosce la
storia della sua terra, le sue potenzialità
architettoniche, paesaggistiche, storiche ed
enogastronomiche . Più alto è il contenuto
culturale più ristretta è, paradossalmente, la
fetta di persone cui il messaggio è rivolto. E’
difficile attirare tutti: solo poche realtà se
lo possono permettere. Chi lo fa corre il
rischio di far crollare tutto, come accadde per
la Torre di Babele: ognuno parlava una lingua
diversa, non si capiva più niente: avevano perso
la propria identità. E chi viene a Cerreto
cosa si aspetta di trovare? Un centro storico
unico e ben conservato, tante botteghe
artigianali e ceramiche, un ambiente pulito,
incontaminato e ricco di valori (non di pali
eolici), la Leonessa e cibi tradizionali
accompagnati da vini e oli di qualità. Questa è
la nostra cultura, la nostra identità. Cerreto
poi viene scelto anche come centro in cui
soggiornare e da cui poi partire per visitare
altre ricchezze, patrimonio dei paesi vicini: la
neve, i faggeti, il Paleolab a Pietraroja, il
mercantico, le botteghe ceramiche, il Parco dei
Dinosauri a San Lorenzello, i castagneti, i
faggeti, il centro storico medievale, la natura
selvaggia e mozzafiato, il porcino, il museo
della Civiltà contadina a Cusano. Nessuno
andrebbe a Pietraroja per le Ceramiche o a San
Lorenzello per i porcini, nonostante un ben
organizzato e costoso battage pubblicitario! La
località non risponde all’immaginario, diciamo
anche allo stereotipo che ormai ognuno si è
fatto dentro di sé. A meno di non cominciare
tutto da capo e stravolgere la storia
rinunciando alla propria identità. Quella storia
e quella immagine di Cerreto per cui hanno
lavorato in tanti. E l’immagine, si sa, è come
un abbigliamento di classe: basta un particolare
stonato per passare dal gusto al Kitch, dal
turismo colto, a caccia di angoli suggestivi, di
arte e artigianato, ricco di cultura che spazia
dalla storia all’arte all’enogastronomia, al
turismo più popolare, mordi e fuggi. Un turismo
di massa che guarda con lo stesso occhio una
ceramica di Castelli ed una popolare, Cerretese,
che tra una ceramica fatta a mano, perciò più
costosa, ed una fatta con le decalco, quindi più
economica, preferisce senza dubbio quella “cinesizzata”,
un turismo per il quale le pietre di Cerreto
medievale e quelle del Tempio Sannitico di Flora
emanano lo stesso linguaggio e che al pasto di
qualità del ristorante tipico, col giusto
abbinamento dei vini, ma sicuramente più
costoso, preferisce la sagra con vino e gassosa
in una giornata passata all’insegna del
risparmio. Un turista, tanto per essere il più
chiaro possibile, per il quale tutto fa brodo,
l’importante è passare una giornata diversa:
oggi qui, domani a Pescolamazza dopodomani a
Vattelapesca. Magari portando via da ogni
località il ricordino da 5 Euro: a Cerreto sono
stato, a te ho pensato, questo ricordo ti ho
portato. Le acquasantiere? Troppo care! Un menu
degustazione in ristorante? Meglio il menu
turistico o la sagra! Per venire al dunque, mi
chiedo, vi chiedo: ma che c’entra la civiltà
contadina con l’immagine di Cerreto e con il
Monte di
Pietà ove lo si vuole allestire, ove è già stato
allestito? Non è forse il Monte di Pietà il
monumento simbolo della Cerreto delle Congreghe
e delle ricche Corporazioni mercantili?
E quale è questa ricca tradizione contadina che
ci consente di dedicarle un Museo Unico, in
grado di fare concorrenza a quello, ricco, di
Cusano ed alle migliaia di Musei simili
disseminati su tutto il territorio nazionale?
Così tanti che molte regioni hanno chiuso i
rubinetti dei contributi. Il mio non è un
discorso contro il mondo contadino, un mondo nel
quale mi sento onorato di appartenere, anche se
per poche ore alla settimana, un po’ come
tantissimi, da sempre. E’ che da noi l’attività
contadina è mai stata sempre secondaria,
subordinata ad un’altra attività, non ha mai
costituito una “civiltà” a sè.
Cerreto ha ben
altre pagine da ricordare, pagine che il turista
colto pensa di trovare e sfogliare, oltre al
centro storico e alla ceramica, ed io voglio qui
ricordarle per offrire un contributo alla nostra
offerta turistico-culturale che ha come fine
ultimo quello di invogliare un certo numero di
persone, non tutte, a venire anche qui. Qui e
poi altrove, nei Paesi che ci fanno corona e che
hanno ricchezze altrettanto allettanti, ma
diverse dalle nostre con le quali si integrano
armonicamente per offrire quello che
comunemente è detto “pacchetto turistico”.
Ricordo:
1.
Cerreto Vecchia
2.
I panni lana
3.
Il Brigantaggio
4.
L’Artigianato
Sono sicuro di non annoiare nessuno se mi
dilungherò un po’ su questi singoli argomenti.
Ø
Cerreto Vecchia
Come ormai sanno pure le
pietre, il 5 giugno 1688 un rovinoso terremoto
distrusse Cerreto Medievale imprigionando tra le
su macerie migliaia di morti e tante ricchezze.
Si, tante ricchezze perché nel medioevo Cerreto
era così ricca da farle meritare, nel 1480, da
parte di Alfonso re di Napoli, il titolo di
città
perchè
“…residenza dei
vescovi da più secoli, capo della contea,
illustre per la nobiltà dei cittadini possessori
dei feudi, dovizioso per le ricchezze, ameno per
l’aria, fertile per li terreni. Riguardevole per
la magnificenza delle chiese e conventi, ornato
di case palaziali…”
Sono tanti, in Italia, i centri abbandonati o
distrutti ma, a differenza di Cerreto, sono
stati facilmente depredati. A differenza di
Cerreto perché qui molte ricchezze sono state
difese dalle stesse macerie per cui, a
tutt’oggi, come è dominio comune, nonostante i
“continui ritrovamenti casuali”, molto è ancora
sepolto lì. Basterebbe pochissimo per dar avvio
almeno ad una ricognizione aerofotogrammetrica
ai raggi infrarossi che ne definisca la pianta,
visto che comunque si farà una normale
aerofotogrammetria di Cerreto.
La Torre Medievale, a
detta di studiosi dell’università di Salerno,
ancora cela sette bombarde originali, ed è solo
la parte visiva di ciò che si nasconde sotto il
terreno di questa “Pompei Medievale” sepolta da
un pugno di terra e dalla nostra insensibilità.
L’ostinato abbandono in cui è lasciata mi fa
spesso ritornare in mente un passo di una
lettera di Francesco Petrarca a Cola di Rienzo
“Così a
poco a poco non solo i monumenti ma le stesse
rovine se ne vanno. Così si perdono
testimonianze ingenti della grandezza dei padri
e voi, tanta migliaia di forti, voi taceste
(...) non dico come servi ma come pecore, e
lasciaste che si facesse strazio delle membra
della Madre comune”.
Sono passati secoli, c’è stata la rivoluzione
francese con un celebre decreto:
voi non siete che i depositari di un bene di cui
la grande famiglia ha il diritto di chiedervi
conto. I barbari e gli schiavi detestarono le
scienze e distrussero i monumenti, gli uomini
liberi li amano e li conservano...
, ma bisogna ammettere che poco per noi è
cambiato se abbiamo usato Cerreto Vecchia solo
per impiantarvi un devastante mega-serbatoio
dell’acqua.
Ø
I panni lana
Legata alla Cerreto Medioevale c’è l’allevamento
del bestiame ed il conseguente commercio della
lana che costituirono, con la ceramica, la
principale attività economica del tempo. Essa,
insieme con la confezione dei panni-lana, fu il
fulcro su cui si resse l’intera economia del
paese fino alla fine del secolo XVII. Furono
pure realizzati strumenti meccanici che insieme
con rudimentali macchine idrauliche
(gualchiere) offrirono il loro aiuto ai
lavoratori del settore aumentando il ritmo di
produzione e consentendo ai lavoratori stessi di
condurre una vita tranquilla e serena.
Gualchiere collegate in serie per risparmiare
l’acqua e che ancora eroicamente sopravvivono
tra S.Anna e la Tinta e che andrebbero censite e
recuperate, prima che sia troppo tardi Tale
attività costituiva orgoglio e vanto di una
produzione tessile in tutto il circondario. Era
un vero e proprio ciclo lavorativo:
dall’allevamento del bestiame, al commercio
della lana, da questa alla confezione delle
stoffe che venivano vendute ovunque, ma
particolarmente nei mercati molisani e pugliesi
raggiunti attraverso una “bretella” del Tratturo
Regio la cui valorizzazione, almeno altrove,
costituisce ulteriore incentivo turistico.
Con il cambiare delle forme di governo, nuove e
più razionali teorie economiche presero il
sopravvento a discapito di quelle più antiche.
Perciò, indebolitosi il commercio della lana, i
lanifici dell’Italia Centro - Settentrionale più
attrezzati invasero i mercati meridionali che
usavano metodi artigianali e Cerreto ne subì le
conseguenze. Qui si continuò a lavorare e
smerciare panni-lana, ma purtroppo la tecnica
rimase allo stato rudimentale e l’industria
cerretese non riuscì a far fronte alla
concorrenza dell’industria settentrionale,
tecnicamente più avanzata. Ma, nonostante il
declino, l’industria dei panni lana ha
sicuramente caratterizzato la storia di Cerreto,
tanto da far scrivere ad un anonimo poeta, i
seguenti versi:
la moglie del Dottore e del Notaro
quella dell’artigiano e benestante
visita tutto dì più d’un telaro.
L’altre
d’inferior grado tutte quante
Filano,
incannan, tessono obbedienti
Lane, matasse, panni al lor mercante.
E gli uomini:
Vivono la maggior parte in fare il panno
E
perché han poche terre alla campagna
A tale industria totalmente stanno.
Alla luce di quanto sopra, è difficile
ipotizzare una attività contadina così ricca e
intensa da costituire tradizione, “civiltà”,
mentre era intensa, da costituire praticamente
attività unica, l’industria del panno. E a
memoria di tale attività anche il Sindaco, non a
caso, ha promesso in campagna elettorale la
ricostituzione di un polo tessile a Cerreto con
l’aiuto di amici di Como.
Ø
Il Brigantaggio
Siamo stati a lungo abituati a distogliere gli
occhi dai drammi che l’Unità d’Italia ha
comportato sin dal nascere, nel 1796, dell’idea
di tricolore. Sotto il riflettore stavano gli
eroi del Risorgimento, esaltati nelle gesta che
da bambini imparavamo a declamare. In ombra, di
spalla come dei traditori, si intravedevano
degli strani figuri. Soldati irregolari,
partigiani, coscritti, malviventi riuniti in
bande armate.
Li
chiamavano “briganti” e le loro vesti
particolari rivelavano mestieri poveri,
estraneità rispetto al ceto aristocratico e
borghese, appartenenza a mondi di paese. Mi
domando se la nostra identità di italiani abbia
avuto necessità, per individuarsi, di definirsi
in contrapposizione ad altri, immaginandoli
sovente come briganti. Erano invece
fratelli d'Italia
anche loro.
E tra questi spiccava Cosimo Giordano, la
discussa figura tra cronaca nera e politica
post-unitaria che, da tradizione popolare,
levava ai ricchi per dare ai poveri. Nacque a
Cerreto il 15/10/1839 da Generoso Giordano e
dalla messinese Concetta Isaia. Ex carabiniere
a cavallo dell'esercito borbonico, caporale
regio poi capobrigante, si schierò con i borboni
e parte della Chiesa contro i Piemontesi. Con
decreto n°788/68 della Sotto Prefettura di
Cerreto veniva posta una taglia sulla sua
testa. Fu l'artefice della rivolta di
Pontelandolfo e Casalduni. Catturato nel 1882 e
condannato ai lavori forzati a vita morì in
carcere nel 1887 "sognando le cavalcate sul
Taburno e la libertà del Sud".
Ø
L’Artigianato
Relativamente all’Artigianato, quello cerretese
ha arricchito il meridione. Scalpellini,
ceramisti, falegnami, fucilieri e fabbri hanno
realizzato e inventato manufatti di qualità che
ancora oggi sono famosi. Basti pensare ai
numerosi ponti e portali in pietra, al Panno
lana, per finire alle particolari serrature che,
ancora oggi, nel circondario ed anche oltre
vengono chiamate “cerretesi”. Il Circolo d’Arte
ricorda appunto una tradizione di arte e di
cultura vocata anche alla difesa del territorio.
Pensate che quando ad inizio ‘900 si decise di
realizzare la torre campanaria dell’Istituto
Leone XIII, la categoria fece di tutto perché lo
scempio non si compisse. Ora restano solo le
chiavi dei portali in pietra a ricordare con i
simboli l’arte esercitata.
Di tutto quanto innanzi vogliamo conservare o
perdere memoria? O veramente pensiamo che questa
sia dovuta solo ad una dominante ”civiltà
contadina” che qui proprio non c’è stata e che è
giusto lasciare ad altre comunità dalla storia
diversa? Ecco allora che io vi invito a
riflettere e ad indirizzare gli sforzi verso un
progetto più ampio ed ambizioso, progetto che
non nasce oggi ma che è stato concepito e
portato avanti, anche se solo come idea e
chiamato diversamente, anche da appartenenti
all’attuale maggioranza nonché dai vecchi
Assessori alla cultura Lucio Rubano e Franco
Gismondi. Io propongo, e vi invito a riflettere
seriamente e serenamente, la istituzione
del
Museo diffuso della civiltà cerretese.
Non si tratta chiaramente di un museo
convenzionale: il museo diffuso, infatti, non
presenta una propria collezione, ma è il centro
di un sistema costituito dai luoghi di memoria
della città. Un Museo Diffuso che
raccolga, in siti diversi, memorie e manufatti
rievocanti mestieri tradizionali legati al
nostro artigianato, alle tracce del popolamento
antico, alle credenze religiose, alla produzione
di oggetti d’arte e artigianato. Un Museo
Diffuso che sia anche laboratorio
permanente per la salvaguardia e valorizzazione
del paesaggio, per attivare un sistema di
costante monitoraggio e manutenzione del
territorio e per sottolineare le peculiarità
dell’area su cui agisce. Il Museo Diffuso
si configura come sistema di relazioni fra
elementi qualitativamente differenziati che si
identificano in Punti Museali,
Laboratori e Itinerari organizzati in
Sistemi: naturalistico, demo-etno-antropologico,
dei beni artistici e dei beni architettonici e
archeologici. Le varie componenti sarebbero
articolate “a rete” e troverebbero connessione
in un Punto di Coordinamento Centrale pensato
per comunicare al visitatore l’operazione
culturale del Museo Diffuso e facilitarne la
fruizione. Qui infatti i visitatori potrebbero
avere a disposizione volumi e altri materiali
informativi e documentari legati ai temi del
museo e delle mostre. Immaginate quanta gente,
quante scolaresche potrebbe attirare un museo
così concepito che, al fine di tradurre
l’esperienza museale in un impegno preciso verso
l’apprendimento, potrebbe proporre una
articolata offerta didattica che preveda:
Ø
Visite guidate, con “percorsi dedicati“, secondo
le classi, l’età, e l’indirizzo scolastico.
Laboratori ed attività ludico-esperenziale, da
condurre sia in Museo che in aula, su specifici
temi ( fare ceramica, esplorare il territorio,
fonti e temi del brigantaggio, storia, arte,
archeologia, letteratura, cultura popolare e
territorio locale, ricerca storica ed
etnografica, raccolta di fonti orali);
Ø
Corsi di aggiornamento
per insegnanti e corsi integrativi per studenti
Ø
Incontri seminariali
con studenti e docenti.
Un museo che potrebbe
avere il Centro direzionale, magari con un
archivio storico, nei locali del Palazzo del
Duca in corso di restauro in piazza San Martino
e da dedicare, finalmente, alla Famiglia Carafa,
la grande famiglia che ha voluto Cerreto e che
annovera, tra le sue fila, Papi
(Paolo IV Carafa, unico papa nativo del
Sannio, fu eletto in
un combattuto conclave, nel quale l'imperatore
fece porre il veto contro l'elezione di lui,
proprio in quanto Carafa, cioè nemico della
dinastia spagnola);
Cardinali (
Oliviero Carafa, che nel 1472 aveva guidato la
flotta papale
vittoriosa contro i Turchi),
letterati e Condottieri ed il cui nome non è
stato nemmeno scalfito da chi si è gettato, con
approccio poco critico, solo sugli atti dei
Tribunali dell’inquisizione spagnola, quella
Spagna di cui i Carafa furono acerrimi nemici.
Da questa
linea dei Carafa della Stadera viene anche il
ricostruttore di Cerreto Marzio, il cui bisnonno
Diomede IV era fratello di Papa Paolo IV ,
nonché cugino di
Vincenzo Carafa, settimo generale della
Compagnia di Gesù,
come anche nipote e zio di almeno 4 cardinali,
due dei quali furono nunzi in Inghilterra negli
anni del conflitto con Enrico VIII, ed in
Germania nella fase intermedia del Concilio di
Trento. Una grande
famiglia dunque, che sta a Cerreto come i Medici
a Firenze, e di cui si è ricordato solo
l’istituto Tecnico nel 2000, quando
all’unanimità, e su proposta della Pro Loco,
guidata dal sottoscritto, volle dedicargli il
nome.
Questa è la nostra STORIA!
Nelle rinnovate sale del palazzo di Piazza
S.Martino, installazioni multimediali e
pannelli informativi potrebbero introdurre alle
tematiche generali del museo: I Sanniti, Cerreto
Vecchia, I panni lana, Il Brigantaggio,
L’Artigianato. Le sedi specifiche poi potrebbero
essere diverse e diversamente intitolate, così
come penso si farà dedicando il Museo della
Ceramica a Vincenzo Mazzacane.
Solo per esempio,
il Museo del brigantaggio
potrebbe essere
allestito presso la naturale sede della casa
Natale di Cosimo Giordano, ubicata in quello
splendido angolo del “Capo da fora”, da
acquistare e restaurare, prima che sia troppo
tardi, e presso le Carceri feudali, altro
gioiello unico che abbiamo. E spero proprio che,
dopo l’oltraggio dello stucco veneziano posato
qualche anno fa sulle storiche pietre, queste
non vengano nuovamente oltraggiate con la
abolizione dei “segni forti” interni, quali le
spesse pareti in blocchi e l’acciottolato che
pavimenta, caso unico, almeno per le mie
conoscenze, il piano alto. Spero che, oltre ad
avermi scippato il progetto, riescano a copiare
e migliorare anche il rispetto che io ho nei
confronti di quanto abbiamo ereditato, senza
particolare merito, dai nostri avi. La
sostituzione dell’acciottolato perché “scomodo”
in vista di una destinazione ad uffici delle
vecchie carceri sarebbe un peccato mortale, da
scomunica, paragonabile a quello che si stava
commettendo distruggendo il nostro chiostro per
realizzarvi stanze per uffici e bagni, tutto
rigorosamente pavimentato in marmo. Ma sono
convinto che non si consentirà tale reato,
perché di un reato vero e proprio si
tratterebbe. E’ chiaro che il museo del
Brigantaggio sarebbe in stretta relazione con
quello dedicato ai panni lana, in quanto
l’abbigliamento tipico dei briganti era
costituito dal Bardiglione, il mantello in panno
lana impermeabile che addirittura fu fornito
all’esercito Borbonico per la sua qualità.
Questa è stata la nostra civiltà, nel mentre non
abbiamo grosse tradizioni contadine, come
abbiamo chiaramente letto nei versi innanzi
citati. Non esiste una memoria storica di tanto,
esiste invece la memoria storica del fenomeno
del brigantaggio e della Sottoprefettura di
Cerreto che emise il mandato di cattura per i
briganti di Cerreto.
Propongo infine
che, all’interno del Museo Diffuso, il Museo
della Civiltà Contadina venga lasciato alla
libera iniziativa delle contrade di S.Anna e
Madonna della Libera che, già brillanti
protagoniste alla riscoperta delle loro
tradizioni, potrebbero arricchirsi allestendo
nei locali che affiancano le Chiese una mostra
delle “loro preziose memorie”, lasciando al
Centro storico il ruolo che gli compete, di
centro economico, culturale e politico dei
Carafa, ricco di pagine belle e no, comunque
dall’ampio respiro storico ed in grado di
attirare quel turismo di qualità degno di una
“BANDIERA ARANCIONE”. E soprattutto
allontaniamo cesti, drappi ed attrezzi agricoli
dal Monte di Pietà, simbolo dei ricchi ceti
mercantili, non certo del mondo contadino. Il
Museo della Civiltà Contadina sta al Monte di
Pietà come il pecorino sugli spaghetti alle
vongole. Il rischio, grosso rischio che
corriamo, è di perdere la nostra identità,
identità che, abbinata alla cultura del posto, è
un valore prezioso, così come sostenuto a
Como, appena un mese fa, in modo forte e deciso
da Cristina Rapisarda Sassoon del Touring Club.
Non inquiniamo la nostra cultura, conserviamo la
nostra identità, lasciamo ad altri il loro
mondo!!
A conclusione di questo mio intervento, chiedo
una valutazione attenta di quanto proposto ed il
rinvio magari ad altra data della discussione
sul nuovo Museo, con l’invito a rileggere con
calma e spirito sereno questa relazione ed a
decidere, almeno in questo caso, se fare un
Grande Museo diverso, impegnativo ma unico e
perciò in grado di incidere positivamente sul
futuro di Cerreto, o intrupparsi tra le migliaia
di offerte di Musei della Civiltà Contadina, per
attirare non so quali grandi masse di visitatori
e per svendere il ruolo che la storia ci ha
assegnato: CIVITAS CERRETI TOTIUS SUPERIORIS
STATUS METROPOLIS.
Arch. Lorenzo
Morone- Capogruppo Blocco Cerretese
NB: al termine
del Consiglio Comunale del 30.12.2005 la
maggioranza ha votato, compatta, la istituzione
del Museo della Civiltà contadina nel Monte di
Pietà.
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