11 dicembre 2005
Cerreto, museo della civiltà Cerretese...
Lorenzo Morone

 

 

Il Museo della Civiltà Contadina? Meglio il Museo della Civiltà Cerretese!

 

Chi sceglie di andare a Napoli, si sa, lo fa perché pensa di trovare il Mare, il Sole, il Vesuvio, la Pizza. Chi va a Cortina, la Neve, le Dolomiti, la polenta. Chi va a Taormina, vuol vedere Isolabella, il Teatro Greco, il Centro Storico e gustare i cannoli. Chi va invece a Rimini, sa di trovare caos e acqua non cristallina, ma anche divertimenti di ogni tipo, prezzi non esagerati  e piadina. E’ su queste diverse “identità’” che gli Enti preposti costruiscono una immagine turistica, un”sistema” da offrire per attirare gente, un certo target di gente. Chiaramente chi gestisce il pacchetto turistico, conosce la storia della sua terra, le sue potenzialità architettoniche, paesaggistiche, storiche ed enogastronomiche . Più alto è il contenuto culturale più ristretta è, paradossalmente, la fetta di persone cui il messaggio è rivolto. E’ difficile attirare tutti: solo poche realtà se lo possono permettere. Chi lo fa corre il rischio di far crollare tutto, come accadde per  la Torre di Babele: ognuno parlava una lingua diversa, non si capiva più niente: avevano perso la propria identità.  E chi viene a Cerreto cosa si aspetta di trovare?  Un centro storico unico e ben conservato, tante botteghe artigianali e ceramiche, un ambiente pulito, incontaminato e ricco di valori (non di pali eolici), la Leonessa e cibi tradizionali accompagnati da vini e oli di qualità. Questa è la nostra cultura, la nostra identità. Cerreto poi viene scelto anche  come centro in cui soggiornare e da cui poi partire per visitare altre ricchezze, patrimonio dei paesi vicini: la neve, i faggeti, il Paleolab a Pietraroja, il mercantico, le botteghe ceramiche, il Parco dei Dinosauri a San Lorenzello, i castagneti, i faggeti, il centro storico medievale, la natura selvaggia e mozzafiato, il porcino, il museo della Civiltà contadina a Cusano. Nessuno andrebbe a Pietraroja per le Ceramiche o a San Lorenzello per i porcini, nonostante un ben organizzato e costoso battage pubblicitario! La località non risponde all’immaginario, diciamo anche allo stereotipo che ormai ognuno si è fatto dentro di sé. A meno di non cominciare tutto da capo e stravolgere la storia rinunciando alla propria identità. Quella storia e quella immagine di Cerreto per cui hanno lavorato in tanti. E l’immagine, si sa, è come un abbigliamento di classe: basta un particolare stonato per passare dal gusto al Kitch, dal turismo colto, a caccia di angoli suggestivi, di arte e artigianato, ricco di cultura che spazia dalla storia all’arte all’enogastronomia, al turismo più popolare, mordi e fuggi. Un turismo di massa che guarda con lo stesso occhio una ceramica di Castelli ed una popolare, Cerretese, che tra una ceramica fatta a mano, perciò più costosa, ed una fatta con le decalco, quindi più economica, preferisce senza dubbio quella “cinesizzata”, un turismo per il quale le pietre di Cerreto medievale e quelle del Tempio Sannitico di Flora emanano lo stesso linguaggio e che al pasto di qualità del ristorante tipico, col giusto abbinamento dei vini, ma sicuramente più costoso, preferisce la sagra con vino e gassosa in una giornata passata all’insegna del risparmio. Un turista, tanto per essere il più chiaro possibile, per il quale tutto fa brodo, l’importante è passare una giornata diversa:  oggi qui, domani a Pescolamazza dopodomani a Vattelapesca. Magari portando via da ogni località il ricordino da 5 Euro: a Cerreto sono stato, a te ho pensato, questo ricordo ti ho portato. Le acquasantiere? Troppo care!  Un menu degustazione in ristorante? Meglio il menu turistico o la sagra! Per venire al dunque, mi chiedo, vi chiedo: ma che c’entra la civiltà contadina con l’immagine di Cerreto e con il Monte di Pietà ove lo si vuole allestire, ove è già stato allestito? Non è forse il Monte di Pietà il monumento simbolo della Cerreto delle Congreghe e delle ricche Corporazioni mercantili? E quale è questa ricca tradizione contadina che ci consente di dedicarle un Museo Unico, in grado di fare concorrenza a quello, ricco, di Cusano ed alle migliaia di Musei simili disseminati su tutto il territorio nazionale? Così tanti che molte regioni hanno chiuso i rubinetti dei contributi. Il mio non è un discorso contro il mondo contadino, un mondo nel quale mi sento onorato di appartenere, anche se per poche ore alla settimana, un po’ come tantissimi, da sempre. E’ che da noi l’attività contadina è mai stata sempre secondaria, subordinata ad un’altra attività, non ha mai costituito una “civiltà” a sè.

Cerreto ha ben altre pagine da ricordare, pagine che il turista colto pensa di trovare e sfogliare, oltre al centro storico e alla ceramica, ed io voglio qui ricordarle per offrire un contributo alla nostra offerta turistico-culturale che ha come fine ultimo quello di invogliare un certo numero di persone, non tutte, a venire anche qui. Qui e poi altrove, nei Paesi che ci fanno corona e che hanno ricchezze altrettanto allettanti, ma diverse dalle nostre con le quali si integrano armonicamente  per offrire quello che comunemente è detto “pacchetto turistico”.

 

Ricordo:

1.       Cerreto Vecchia

2.       I panni lana

3.       Il Brigantaggio

4.       L’Artigianato

Sono sicuro di non annoiare nessuno se mi dilungherò un po’ su questi singoli argomenti.

 

 

Ø       Cerreto Vecchia

Come ormai sanno pure le pietre, il 5 giugno 1688 un rovinoso terremoto distrusse Cerreto Medievale imprigionando tra le su macerie migliaia di morti e tante ricchezze. Si, tante ricchezze perché nel medioevo Cerreto era così ricca da farle meritare, nel 1480, da parte di  Alfonso re di Napoli, il titolo di  città perchè “…residenza dei vescovi da più secoli, capo della contea, illustre per la nobiltà dei cittadini possessori dei feudi, dovizioso per le ricchezze, ameno per l’aria, fertile per li terreni. Riguardevole per la magnificenza delle chiese e conventi, ornato di case palaziali…”  Sono tanti, in Italia, i centri abbandonati o distrutti ma, a differenza di Cerreto, sono stati facilmente depredati. A differenza di Cerreto perché qui molte ricchezze sono state difese dalle stesse macerie per cui, a tutt’oggi, come è dominio comune, nonostante i “continui ritrovamenti casuali”, molto è ancora sepolto lì. Basterebbe pochissimo per dar avvio almeno ad una ricognizione aerofotogrammetrica ai raggi infrarossi che ne definisca la pianta, visto che comunque si farà una normale aerofotogrammetria di Cerreto.

La Torre Medievale, a detta di studiosi dell’università di Salerno, ancora cela sette bombarde originali, ed è solo la parte visiva di ciò che si nasconde sotto il terreno di questa “Pompei Medievale” sepolta da un pugno di terra e dalla nostra insensibilità. L’ostinato abbandono in cui è lasciata mi fa spesso ritornare in mente un passo di una lettera di Francesco Petrarca a Cola di Rienzo “Così a poco a poco non solo i monumenti ma le stesse rovine se ne vanno. Così si perdono testimonianze ingenti della grandezza dei padri e voi, tanta migliaia di forti, voi taceste (...) non dico come servi ma come pecore, e lasciaste che si facesse strazio delle membra della Madre comune”. Sono passati secoli, c’è stata la rivoluzione francese con un celebre decreto: voi non siete che i depositari di un bene di cui la grande famiglia ha il diritto di chiedervi conto. I barbari e gli schiavi detestarono le scienze e distrussero i monumenti, gli uomini liberi li amano e li conservano... , ma bisogna ammettere che poco per noi è cambiato se abbiamo usato Cerreto Vecchia solo per impiantarvi un devastante mega-serbatoio dell’acqua.

 

Ø       I panni lana

Legata alla Cerreto Medioevale c’è l’allevamento del bestiame ed il conseguente commercio della lana che costituirono, con la ceramica, la principale attività economica del tempo. Essa, insieme con la confezione dei panni-lana, fu il fulcro su cui si resse l’intera economia del paese fino alla fine del secolo XVII.  Furono pure realizzati strumenti meccanici che insieme con rudimentali macchine idrauliche (gualchiere) offrirono il loro aiuto ai lavoratori del settore aumentando il ritmo di produzione e consentendo ai lavoratori stessi di condurre una vita tranquilla e serena. Gualchiere collegate in serie per risparmiare l’acqua e che ancora eroicamente sopravvivono tra S.Anna e la Tinta e che andrebbero censite e recuperate, prima che sia troppo tardi Tale attività costituiva orgoglio e vanto di una produzione tessile in tutto il circondario. Era un vero e proprio ciclo lavorativo: dall’allevamento del bestiame, al commercio della lana, da questa alla confezione delle stoffe che venivano vendute ovunque, ma particolarmente  nei mercati molisani e pugliesi raggiunti attraverso una “bretella” del Tratturo Regio la cui valorizzazione, almeno altrove, costituisce ulteriore incentivo turistico.

            Con il cambiare delle forme di governo, nuove e più razionali teorie economiche presero il sopravvento a discapito di quelle più antiche.  Perciò, indebolitosi il commercio della lana, i lanifici dell’Italia Centro - Settentrionale più attrezzati invasero i mercati meridionali che usavano metodi artigianali e Cerreto ne subì le conseguenze. Qui si continuò a lavorare  e smerciare panni-lana, ma purtroppo la tecnica rimase allo stato rudimentale e l’industria cerretese non riuscì a far fronte alla concorrenza dell’industria settentrionale, tecnicamente più avanzata. Ma, nonostante il declino, l’industria dei panni lana ha sicuramente caratterizzato la storia di Cerreto, tanto da far scrivere ad un anonimo poeta, i seguenti versi:

 

la moglie del Dottore e del Notaro

quella dell’artigiano e benestante

visita tutto dì più d’un telaro.

L’altre d’inferior grado tutte quante

Filano, incannan, tessono obbedienti

Lane, matasse, panni al lor mercante.

E gli uomini:

Vivono la maggior parte in fare il panno

E perché han poche terre alla campagna

A tale industria totalmente stanno.

 

Alla luce di quanto sopra, è difficile ipotizzare una attività contadina così ricca e intensa da costituire tradizione, “civiltà”, mentre era intensa, da costituire praticamente attività unica, l’industria del panno. E a memoria di tale attività anche il Sindaco, non a caso, ha promesso in campagna elettorale la ricostituzione di un polo tessile a Cerreto con l’aiuto di amici di Como.

 

Ø       Il Brigantaggio

Siamo stati a lungo abituati a distogliere gli occhi dai drammi che l’Unità d’Italia ha comportato sin dal nascere, nel 1796, dell’idea di tricolore. Sotto il riflettore stavano gli eroi del Risorgimento, esaltati nelle gesta che da bambini imparavamo a declamare. In ombra, di spalla come dei traditori, si intravedevano degli strani figuri. Soldati irregolari, partigiani, coscritti, malviventi riuniti in bande armate.
Li chiamavano “briganti” e le loro vesti particolari rivelavano mestieri poveri, estraneità rispetto al ceto aristocratico e borghese, appartenenza a mondi di paese.  Mi domando se la nostra identità di italiani abbia avuto necessità, per individuarsi, di definirsi in contrapposizione ad altri, immaginandoli sovente come briganti. Erano invece
fratelli d'Italia anche loro. E tra questi spiccava Cosimo Giordano, la discussa figura tra cronaca nera e politica post-unitaria che, da tradizione popolare, levava ai ricchi per dare ai poveri.  Nacque a Cerreto il 15/10/1839 da Generoso Giordano e dalla messinese Concetta Isaia.  Ex  carabiniere a cavallo dell'esercito borbonico, caporale regio poi capobrigante, si schierò con i borboni e parte della Chiesa contro i Piemontesi. Con decreto n°788/68 della Sotto Prefettura di Cerreto veniva posta una taglia sulla sua testa.  Fu l'artefice della rivolta di Pontelandolfo e Casalduni. Catturato nel 1882 e condannato ai lavori forzati a vita morì in carcere nel 1887 "sognando le cavalcate sul Taburno e la libertà del Sud".

 

Ø       L’Artigianato

Relativamente all’Artigianato, quello cerretese ha arricchito il meridione. Scalpellini, ceramisti, falegnami, fucilieri e fabbri hanno realizzato e inventato manufatti di qualità che ancora oggi sono famosi. Basti pensare ai numerosi ponti e portali in pietra, al Panno lana, per finire alle particolari serrature che, ancora oggi, nel circondario ed anche oltre vengono chiamate “cerretesi”. Il Circolo d’Arte ricorda appunto una tradizione di arte e di cultura vocata anche alla difesa del territorio. Pensate che quando ad inizio ‘900 si decise di realizzare la torre campanaria dell’Istituto Leone XIII, la categoria fece di tutto perché lo scempio non si compisse. Ora restano solo le chiavi dei portali in pietra a ricordare con i simboli l’arte esercitata.

 

Di tutto quanto innanzi vogliamo conservare o perdere memoria? O veramente pensiamo che questa sia dovuta solo ad una dominante ”civiltà contadina” che qui proprio non c’è stata e che è giusto lasciare ad altre comunità dalla storia diversa? Ecco allora che io vi invito a riflettere e ad indirizzare gli sforzi verso un progetto più ampio ed ambizioso, progetto che non nasce oggi ma che è stato concepito e portato avanti, anche se solo come idea e chiamato diversamente, anche da appartenenti all’attuale maggioranza nonché dai vecchi Assessori alla cultura Lucio Rubano e Franco Gismondi. Io propongo, e vi invito a riflettere seriamente e serenamente, la istituzione del                                   

Museo diffuso della civiltà cerretese.

Non si tratta chiaramente di un museo convenzionale: il museo diffuso, infatti, non presenta una propria collezione, ma è il centro di un sistema costituito dai luoghi di memoria della città. Un Museo Diffuso che  raccolga, in siti diversi, memorie e manufatti rievocanti mestieri tradizionali legati al nostro artigianato, alle tracce del popolamento antico, alle credenze religiose, alla produzione di oggetti d’arte e artigianato.  Un Museo Diffuso che  sia anche laboratorio permanente per la salvaguardia e valorizzazione del paesaggio, per attivare un sistema di costante monitoraggio e manutenzione del territorio e per sottolineare le peculiarità dell’area su cui agisce. Il Museo Diffuso si configura come sistema di relazioni fra elementi qualitativamente differenziati che si identificano in Punti Museali, Laboratori e Itinerari organizzati in Sistemi: naturalistico, demo-etno-antropologico, dei beni artistici e dei beni architettonici e archeologici. Le varie componenti sarebbero articolate “a rete” e troverebbero connessione in un Punto di Coordinamento Centrale pensato per comunicare al visitatore l’operazione culturale del Museo Diffuso e facilitarne la fruizione. Qui infatti i visitatori potrebbero avere a disposizione volumi e altri materiali informativi e documentari legati ai temi del museo e delle mostre. Immaginate quanta gente, quante scolaresche potrebbe attirare un museo così concepito che, al fine di tradurre l’esperienza museale in un impegno preciso verso l’apprendimento, potrebbe  proporre una articolata offerta didattica che preveda:

Ø       Visite guidate, con “percorsi dedicati“, secondo le classi, l’età, e l’indirizzo scolastico. Laboratori ed attività ludico-esperenziale, da condurre sia in Museo che in aula, su specifici temi ( fare ceramica, esplorare il territorio, fonti e temi del brigantaggio, storia, arte, archeologia, letteratura, cultura popolare e territorio locale, ricerca storica ed etnografica, raccolta di fonti orali);

Ø       Corsi di aggiornamento per insegnanti e corsi integrativi per studenti

Ø       Incontri seminariali con studenti e docenti.

Un museo che potrebbe avere il Centro direzionale, magari con un archivio storico, nei locali del Palazzo del Duca in corso di restauro in piazza San Martino e da dedicare, finalmente, alla Famiglia Carafa, la grande famiglia che ha voluto Cerreto e che annovera, tra le sue fila, Papi (Paolo IV Carafa, unico papa nativo del Sannio, fu eletto in un combattuto conclave, nel quale l'imperatore fece porre il veto contro l'elezione di lui, proprio in quanto Carafa, cioè nemico della dinastia spagnola); Cardinali ( Oliviero Carafa, che nel 1472 aveva guidato la flotta papale vittoriosa contro i Turchi), letterati e Condottieri ed il cui nome non è stato nemmeno scalfito da chi si è gettato, con approccio poco critico, solo sugli atti dei Tribunali dell’inquisizione spagnola, quella Spagna di cui i Carafa furono acerrimi nemici. Da questa linea dei Carafa della Stadera viene anche il ricostruttore di Cerreto Marzio, il cui bisnonno Diomede IV era   fratello di Papa Paolo IV , nonché cugino di Vincenzo Carafa, settimo generale della Compagnia di Gesù, come anche nipote e zio di almeno 4 cardinali, due dei quali furono nunzi in Inghilterra negli anni del conflitto con Enrico VIII, ed in Germania nella fase intermedia del Concilio di Trento. Una grande famiglia dunque, che sta a Cerreto come i Medici a Firenze, e di cui si è ricordato solo l’istituto Tecnico nel 2000, quando all’unanimità, e su proposta della Pro Loco, guidata dal sottoscritto, volle dedicargli il nome. Questa è la nostra STORIA!

Nelle rinnovate sale del palazzo di Piazza S.Martino, installazioni multimediali e pannelli informativi potrebbero introdurre alle tematiche generali del museo: I Sanniti, Cerreto Vecchia, I panni lana, Il Brigantaggio, L’Artigianato. Le sedi specifiche poi potrebbero essere diverse e diversamente intitolate, così come penso si farà dedicando il Museo della Ceramica a Vincenzo Mazzacane.

Solo per esempio, il Museo del brigantaggio potrebbe essere allestito presso la naturale sede della casa Natale di Cosimo Giordano, ubicata in quello splendido angolo del “Capo da fora”, da acquistare e restaurare, prima che sia troppo tardi, e  presso le Carceri feudali, altro gioiello unico che abbiamo. E spero proprio che, dopo l’oltraggio dello stucco veneziano posato qualche anno fa sulle storiche pietre, queste non vengano nuovamente oltraggiate con la abolizione dei “segni forti” interni, quali le spesse pareti in blocchi e l’acciottolato che pavimenta, caso unico, almeno per le mie conoscenze, il piano alto. Spero che, oltre ad avermi  scippato il progetto, riescano a copiare e migliorare anche il rispetto che io ho nei confronti di quanto abbiamo ereditato, senza particolare merito, dai nostri avi. La sostituzione dell’acciottolato perché “scomodo” in vista di una  destinazione ad uffici delle vecchie carceri sarebbe un peccato mortale, da scomunica, paragonabile a quello che si stava commettendo distruggendo il nostro chiostro per realizzarvi stanze per uffici e bagni, tutto rigorosamente pavimentato in marmo. Ma sono convinto che non si consentirà tale reato, perché di un reato vero e proprio si tratterebbe. E’ chiaro che il museo del Brigantaggio sarebbe in stretta relazione con quello dedicato ai panni lana, in quanto l’abbigliamento tipico dei briganti era costituito dal Bardiglione, il mantello in panno lana impermeabile che addirittura fu fornito all’esercito Borbonico per la sua qualità. Questa è stata la nostra civiltà, nel mentre non abbiamo grosse tradizioni contadine, come abbiamo chiaramente letto nei versi innanzi citati. Non esiste una memoria storica di tanto, esiste invece la memoria storica del fenomeno del brigantaggio e della Sottoprefettura di Cerreto che emise il mandato di cattura per i briganti di Cerreto.

Propongo infine che, all’interno del Museo Diffuso, il Museo della Civiltà Contadina venga lasciato alla libera iniziativa delle contrade di S.Anna e Madonna della Libera che, già brillanti protagoniste alla riscoperta delle loro tradizioni, potrebbero arricchirsi allestendo nei locali che affiancano le Chiese una mostra delle “loro preziose memorie”, lasciando al Centro storico il ruolo che gli compete, di centro economico, culturale e politico dei Carafa, ricco di pagine belle e no, comunque dall’ampio respiro storico ed in grado di attirare quel turismo di qualità degno di una “BANDIERA ARANCIONE”.  E soprattutto allontaniamo cesti, drappi ed attrezzi agricoli dal Monte di Pietà, simbolo dei ricchi ceti mercantili, non certo del mondo contadino. Il Museo della Civiltà Contadina sta al Monte di Pietà come il pecorino sugli spaghetti alle vongole. Il rischio, grosso rischio che corriamo, è di perdere la nostra identità, identità che, abbinata alla cultura del posto, è un valore prezioso,  così come  sostenuto a Como, appena un mese fa, in modo forte e deciso da Cristina Rapisarda Sassoon del  Touring Club. Non inquiniamo la nostra cultura, conserviamo la nostra identità, lasciamo ad altri il loro mondo!!

A conclusione di questo mio intervento, chiedo una valutazione attenta di quanto proposto ed il rinvio magari ad altra data della discussione sul nuovo Museo, con l’invito a rileggere con calma e spirito sereno questa relazione ed a decidere, almeno in questo caso, se fare un Grande Museo diverso, impegnativo ma unico e perciò in grado di incidere positivamente sul futuro di Cerreto, o intrupparsi tra le migliaia di offerte di Musei della Civiltà Contadina, per attirare non so quali grandi masse di visitatori e per svendere il ruolo che la storia ci ha assegnato: CIVITAS CERRETI TOTIUS SUPERIORIS STATUS METROPOLIS.

Arch. Lorenzo Morone- Capogruppo Blocco Cerretese

NB: al termine del Consiglio Comunale del 30.12.2005 la maggioranza ha votato, compatta, la istituzione del Museo della Civiltà contadina nel Monte di Pietà.

 

 

     

 Valle Telesina


Per intervenire: invia@vivitelese.it