Perché la Valle Telesina non è un territorio
a vocazione turistica
Nei miei dieci anni e più di vita in Valle
Telesina mi sono occupato, così come me ne
occupo tuttora in maniera modesta e
marginale, di quello che stato da sempre la
mia passione, ovvero il Turismo.
E, a parte rispondere a quella esigenza
interiore che di tanto in tanto mi prende e
mi spinge a conoscere e a guardarmi intorno
nei luoghi in cui vado, molto ho creduto
nelle potenzialità turistiche della valle
Telesina cui, in virtù proprio del mio amore
per l’osservazione, riconosco grosso
fascino.
Il mio carattere militante mi ha spesso
indotto a giocare il ruolo del tour operator
incoming senza scopo di lucro se non il
piacere di avere casa mia come piccola
succursale delle Nazioni Unite ospitando i
numerosi amici che nei viaggi mi sono fatto.
Mi sono inventato quindi albergatore,
promoter, guida, animatore, autista per
rapidi transfer da e per Capodichino con
qualche puntatina a Ciampino e talvolta
anche a Fiumicino.
Davanti a tavole imbandite di prodotti
tipici e vini sanniti che ho sempre
orgogliosamente cercato di promuovere ho
avuto lunghi scambi di vedute con i miei
ospiti grazie alle quali sono giunto,
amaramente, alla conclusione che la Valle
Telesina non è un territorio a vocazione
turistica.
E di tutto ciò si potrebbe ovviamente
ancora discutere a sufficienza, ma io,
personalmente, non ne ho più voglia e, forse
anche codardamente, faccio la mia
osservazione e metto un punto.
Le motivazioni che mi hanno portato a questa
conclusione sono, a mio avviso, le seguenti
e maldestramente sintetizzate.
1.
Manca una accessibilità in senso logistico
alla Valle. Dall’incrocio di Maddaloni la
cartellonistica è sommaria e mi da tanto
l’idea di “chi si accaparra la posizione più
visibile è fortunato”.( la sagra, il
mobilificio, il Bed&Breakfast, Carlo e Maria
sposi qui a destra!) Di qui la giungla di
segnali molti dei quali carinamente
artigianali, ma inutili allo scopo.
2.
La viabilità è a livelli pietosi. Non
faccio paragoni con altre parti meno
fortunate del mondo perché non sono solito
stabilire primati culturali. La guida nelle
strade urbane delle nostre rinomate
cittadine assomiglia più ad una gimkana per
sventare il fosso o il tombino piuttosto
che alla fluida passeggiata per le
altrettanto rinomate località umbre e
toscane che ci permette anche di
gettare lo sguardo al paesaggio circostanze.
(Me lo hanno fatto notare i miei amici
inglesi!)
3.
Manca una cultura dell’ambiente.
Crediamo di vivere in un’oasi verde mentre
ci avviamo, con questi ritmi, ad essere
circondati da grosse quantità di bottiglie
di plastica e di lattine (riciclabili!). Se
consideriamo la densità della popolazione
della Valle Telesina i rifiuti della
famigerata Napoli sono, in proporzione e
paradossalmente, di meno. E la Fondo Valle
Isclero, che di fatto collega la Valle
Telesina con le grandi vie di comunicazione
(nel bene e nel male), è già un eloquente
biglietto da visita dei luoghi che
raggiunge. (Me lo hanno fatto notare i miei
amici tedeschi!)
4.
Manca una politica integrata degli
eventi culturali che spesso si accavallano o
si assomigliano tra di loro troppo per
riuscire a conquistarsi uno spazio ed un’
identità che ne valorizzi le potenzialità
culturali ed economiche
5.
Infine manca la cultura del consorzio;
ognuno tende a considerare l’utile
particolare a breve scadenza, piuttosto che
l’utile generale che, è vero, arriva
normalmente a lunga scadenza dopo anni di
investimenti economici e culturali, ma che
sicuramente ha effetti benefici su tutta la
collettività puntando su un turismo più
stanziale, piuttosto che quello mordi,
sporca e fuggi, ma soprattutto spendi
poco.
Lo so che la mia è un’analisi che può
apparire avventata, superficiale e
politically uncorrect, ma mi fa molta
rabbia continuare a vedere stranieri che
preferiscono passare le vacanze in posti che
poco in più hanno rispetto al nostro Sannio
ed ancor di più mi rammarica vedere giovani
costretti ad andare lontano a impiegare
altrove le loro forze, la loro fantasia e la
loro imprenditorialità, soprattutto emotiva
ed emozionale.
Silvio
Pellicanò