da
Liberazione di venerdì 24 agosto 2007
Benevento, le dimissioni del presidente Nardone
Le
ragioni dei cittadini e il deficit di democrazia
di
Tommaso Sodano
Il
Presidente della Provincia di Benevento, il
diessino Carmine Nardone, lunedì scorso si è
dimesso dall’incarico, dopo che il Consiglio
provinciale ha bocciato all’unanimità l’ipotesi
di costruire due centrali elettriche a biomasse.
Numerose sono state le reazioni da parte di
esponenti nazionali del centro sinistra, che
hanno smentito i propri rappresentanti
territoriali.
Il
vicepresidente del Consiglio, Francesco Rutelli,
si è detto «allibito per la deriva
fondamentalista che rischia di paralizzare ogni
decisione razionale». Il Corriere della Sera
dedica una pagina alla vicenda e pubblica la
“solita” mappa delle opere contestate in Italia
nel corso degli ultimi anni. Lo schema adottato
è sempre lo stesso, così come utilizzato a
Scanzano, Acerra, Vicenza, in Val di Susa.
Da
una parte i modernizzatori, dall’altra i
retrogradi che non avrebbero a cuore il futuro e
che sarebbero atterriti dalle nuove tecnologie.
E ancora una volta, così come sta avvenendo sul
tema della precarietà del lavoro, piuttosto che
entrare nel merito delle questioni si preferisce
aggredire con furore e pregiudizio ideologico le
posizioni diverse.
Alcuni commentatori hanno affermato che Nardone
è vittima dei vili e dell’ignoranza. Proviamo a
fare un po’ di chiarezza, ma prima è necessaria
una riflessione sul deficit democratico che
questa vicenda, analogamente a tante altre
vertenze territoriali, evidenzia in maniera
esemplare.
La
poca trasparenza dell’iter e la sostanziale
esclusione delle popolazioni dai processi
decisionali è l’esatto contrario di quanto
previsto dalla carta di Aalborg che impegna
tutti i soggetti istituzionali a condividere e
far propri quei principi generali di democrazia
e sostenibilità che devono informare i piani di
sviluppo; ed è l’esatto contrario anche di
quanto previsto nel programma dell’Unione,
in cui si parla di «valorizzare il
coinvolgimento dei cittadini e delle istituzioni
dei territori interessati dagli interventi di
infrastrutturazione, in sede di valutazione
della compatibilità ambientale delle opere e
dell’impatto socio- economico sulle
popolazioni».
Le
due centrali, previste nei comuni di S.
Salvatore Telesino e Reino, produrrebbero 22
megawatt di energia all’anno. Il Piano
Energetico e Ambientale (PEA) della Provincia,
anch’esso approvato all’unanimità, prevede
invece due centrali a biomasse per 8,4 megawatt
annui di energia.
Qui è la prima contraddizione.
Infatti il territorio sannita non dispone di
tutte le biomasse necessarie a garantire il
funzionamento delle due centrali, precisamente
ne potrebbe fornire solo il 6 (sei) per cento.
Delle due l’una: o si importano biomasse
dall’Africa o dal Sudamerica, visto che su tutto
il territorio nazionale si riproduce la medesima
carenza di biomasse, o si bruciano i rifiuti.
La
produzione di coltivazioni ad hoc è infatti da
escludersi perché antieconomica. Nella prima
ipotesi alimenteremmo la spoliazione delle
foreste tropicali e un traffico di camion
calcolabile,solo per Benevento, in poco meno di
20.000 unità annue, tale da vanificare ogni buon
proposito in tema di riduzione delle emissioni
inquinanti.
Nel secondo caso avremmo invece i rischi legati
ad una gestione dei rifiuti che ha fatto della
regione Campania un caso mondiale, senza le
dovute garanzie per la tutela della salute dei
cittadini e la dell’ambiente. E’ giusto il caso
di ricordare che, anche quando abbiamo
denunciato la fallimentare gestione del ciclo
dei rifiuti in Campania e l’inadeguatezza di un
sistema impiantistico che faceva gli interessi
solo del gruppo Impregilo e delle organizzazioni
malavitose, siamo stati accusati di essere
nemici del progresso.
Tranne poi arrivare alle richieste della Procura
di Napoli di rinvii a giudizio per 27 persone
tra cui, Bassolino. Seconda contraddizione:
mentre il progetto di Reino afferma che le
biomasse locali sono sufficienti (cosa non
vera), quello di S. Salvatore è più esplicito e
parla di incenerimento del residuo non
recuperabile di rifiuti.
E
la tecnologia prescelta, a griglie mobili, è
quella più utilizzata per l’incenerimento dei
rifiuti.
Ora, nella provincia sannita è previsto
l’incenerimento di una quantità pari a 75
tonnellate, mentre il solo impianto di S.
Salvatore potrebbe bruciare ben 365 tonnellate
al giorno. La sproporzione è lampante.
Ed
infatti le autorizzazioni richieste per questo
sito parlano della costruzione di un impianto
per lo smaltimento dei rifiuti, e non per la
produzione di energia.
Come si vede, dunque, la confusione che viene
fatta è grande e non si comprende dove sarebbe
il “No agli impianti ecologici” ( titolo del
Corsera) perché non siamo di fronte ad impianti
ecologici.
Il
dibattito sviluppato su questa vicenda ci porta
anche all’esigenza, non più rinviabile,
conferenza nazionale sull’energia che tracci in
modo chiaro e rigoroso le effettive esigenze
energetiche del nostro Paese nel pieno rispetto
del protocollo di Kyoto e degli obiettivi sulle
emissioni in atmosfera,fissati in sede europea.
Ma
la vicenda di Benevento dovrebbe far riflettere,
anche, tutte le forze politiche del centro
sinistra sull’esigenza di una ricostruzione dal
basso del rapporto fiduciario tra i cittadini e
la Istituzioni che si è lacerato in questi anni.
Le
opere utili alla collettività vanno costruite ma
in una logica di progetti condivisi in tutte le
fasi e non nella logica del ricatto e della
contrapposizione tra i cosiddetti fautori del
progresso e i “conservatori”, perché ad Acerra,
come in Val di Susa, come per il Ponte sullo
Stretto, si è dimostrato che un altro percorso è
possibile, in grado di tenere insieme le
esigenze delle infrastrutture pubbliche con gli
interessi delle comunità.
Vorrei solo ricordare al Ministro Rutelli che
uguale determinazione la vorremmo riscontrare
nell’abbattimento dell’ecomostro di Alimuri,
anche alla luce delle recente tragedia in
Costiera amalfitana, piuttosto che continuare a
difendere un accordo che prevede per la prima
volta in Italia la possibilità per chi ha
costruito un manufatto abusivo di abbatterlo con
il contributo pubblico e di poter costruire gli
stessi volumi in altro sito, sempre in costiera!
La
domanda a Rutelli sorge spontanea: anche in
questo caso siamo nemici del progresso perché
chiediamo che chi ha la responsabilità di una
costruzione come quella di Alimuri la debba
abbattere a sue spese e allo Stato il compito
del controllo? Attendiamo risposte.
Tommaso Sodano
Presidente Commissione Ambiente al Senato |