27 agosto 2007

Inceneritori: una falsa magia

Alessandra Mariotti

 

 

di Alessandra Mariotti
4/4/2006

fonte: http://www.buonpernoi.it/ViewDoc.asp?ArticleID=6181

Energia pulita ricavata dai rifiuti? Non è possibile, il caso dell’inceneritore più grande d’Europa lo dimostra chiaramente. Siamo a Brescia, dove i rifiuti inceneriti si trasformano in polveri killer.

Si moltiplicano un po’ in tutta Italia le manifestazioni di gruppi ecologisti e comitati cittadini contro la nascita di questo o quell’inceneritore o contro l’ampliamento di termovalorizzatori (che in realtà sono la stessa cosa, cambia solo il nome e vedremo più avanti il perché…) già esistenti. A Trento come a Rabiano nel riminese. Contro il nuovo inceneritore di Reggio Emilia, che il Comune vuole costruire tre volte più grande, è addirittura sceso in campo Beppe Grillo. Possibile che dietro al rifiuto di vedersi posizionato sotto casa un inceneritore ci sia solo la così detta sindrome Ninby? Che, in sostanza, vorrebbe dire “Costruisci pure l’inceneritore, ma non nel mio giardino (not in my back yard).”

In realtà, sfogliando i proclami dei vari gruppi ambientalisti, ci si rende conto che a essere rifiutata è la scelta dell’inceneritore in quanto tale. Poiché, si sostiene, il problema dei rifiuti non si risolve affatto bruciandoli, anzi. La fantomatica energia pulita che si ricaverebbe incenerendo l’immondizia è tutt’altro che verde: “arrostendo” i rifiuti si producono infatti fumi tossici composti da microparticelle cancerogene e ceneri altamente pericolose che vanno smaltite in discarica. Altro che ridurle, con gli inceneritori le discariche aumentano e diventano ancor più pericolose. Insomma, benché li abbiano chiamati con l’eufemismo di “termovalorizzatori”, la falsa magia degli inceneritori è stata svelata da serissimi studi internazionali. In Italia ci ha pensato il prof. Marino Ruzzenenti che nel suo libro “L’Italia sotto i rifiuti” ha preso in esame il caso più emblematico, quello dell’inceneritore di Brescia che è tra l’altro il più grande d’Europa.

Proprio analizzando il caso bresciano emergono tutte le contraddizioni degli inceneritori, nati in sostanza per adempiere a una direttiva comunitaria che richiedeva riduzioni significative della quantità di rifiuti da smaltire in discarica. Dal motto “tutto in discarica” si è quindi passati al nuovo slogan “tutto nell’inceneritore”. E così è accaduto a Brescia dove, in una zona già tristemente nota per il disastro ambientale dell’industria chimica Caffaro (contaminazione del suolo con Pcb e diossine) a metà degli anni ’90 entra in funzione l’inceneritore. L’ha costruito la Asm Spa (il cui azionista di maggioranza è il Comune) con l’obiettivo di utilizzare i rifiuti come combustibile per alimentare una centrale termoelettrica capace di produrre energia per la città e riscaldare le abitazioni. E così avviene. Ma a quale prezzo?

 Assolutamente vantaggioso per l’Asm e per il Comune che ci guadagnano, vendendo energia e acqua calda e potendo inoltre contare su incentivi statali. Sì perché i rifiuti, con un tocco di bacchetta magica, sono trasformati in fonti rinnovabili e quindi l’energia prodotta viene pagata dall’Enel all’Asm ad un prezzo addirittura triplicato. In realtà la direttiva dell’Ue considera fonte rinnovabile solo “la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani” però, magia magia, il decreto con cui l’Italia ha recepito questa normativa europea, ha inserito tra le cosiddette biomasse anche “rifiuti organici e inorganici.” Uno stratagemma che la Commissione europea non ha però gradito. E infatti sta portando avanti vari provvedimenti di infrazione nei confronti dell’Italia, contestandole di aver violato in trenta casi la normativa ambientale dell’Ue.

E uno di questi casi riguarda proprio l’inceneritore di Brescia a cui manca, dettaglio certo non trascurabile, la valutazione di impatto ambientale. Mai possibile direte voi? Sì perché quando il progetto fu approvato non era obbligatoria e poco importa se le direttive comunitarie poi recepite, con ritardo, dall’Italia la prevedessero. A Brescia se ne sono semplicemente fregati.

Entriamo ora ancor più nel dettaglio e cerchiamo di capire come funziona quello che Ruzzenenti non esita a definire “un mostro ecologico”. Che vada a rifiuti l’abbiamo capito. Ma quali? In quali quantità? “Per alimentare l’inceneritore, che funziona secondo le logiche dell’economia di scala – afferma Ruzzenenti nel suo libro – non solo bisogna aumentare a dismisura la produzione di rifiuti, in clamorosa contraddizione con le priorità del decreto Ronchi e dell’Ue, ed importare rifiuti da ogni parte d’Italia, ma bisogna anche scoraggiare il più possibile la raccolta differenziata che sottrarrebbe prezioso combustibile alla megamacchina.” E così Brescia si trasforma nella città più immondezzaia d’Italia.

La “fame” di carburante per il termovalorizzatore (brucia 750.000 tonnellate di rifiuti) produce insomma il paradosso dell’abbandono del riciclaggio. Carta, cartone, plastica e altri materiali che potrebbero essere riutilizzati, sono invece inceneriti perché, bruciando producono ottime quantità di energia. Se le togliessimo il potere calorico degli inceneritori diminuirebbe di oltre il 90%.

Ma a preoccupare i cittadini, al di là della diminuzione della raccolta differenziata, sono le sostanze tossiche che si sprigionano al momento dell’incenerimento dei rifiuti. E ne hanno ben ragione. Afferma Vittorina Polidori, responsabile inquinamento di Greenpeace “Le ricerche hanno dimostrato che gli inceneritori producono centinaia di agenti inquinanti, fra cui diossine e metalli pesanti.” Queste particelle inquinanti ce le ritoviamo nei fumi che escono dagli inceneritori perché, come va spiegando in convegni un po’ in tutt’Italia il ricercatore modenese Stefano Montanari, innalzando la temperatura degli impianti si producono particelle così piccole da sfuggire alle centraline di controllo che massimo arrivano a misurare le PM10.

L’aria sembra insomma pulita e invece è piena di micropolveri (dalle Pm2,5 in giù) capaci di entrare con grande facilità nell’organismo, fino al nucleo delle cellule, e di provocare tutta una serie di malattie gravissime, tumori compresi. “In sostanza – si legge in un’intervista rilasciata al quotidiano trentino L’Adige dallo studioso che svolge ricerche a livello internazionale sulle nanopatologie – con gli inceneritori ci ‘liberiamo’ sì di una tonnellata di rifiuti estremamente grossolani, ma non facciamo altro che trasformandoli in una tonnellata di fumi, contenenti una notevolissima quantità di sostanze tossiche, che ritroviamo nell’aria che dobbiamo respirare. Senza considerare gli altri scarti che devono essere smaltiti in discariche speciali. ”

A questo punto, scartato l’inceneritore come soluzione per lo smaltimento dei rifiuti, che facciamo? Mettiamo tutto in discarica? Meglio di no. Sia Greenpeace che il WWF, così come la Rete Nazionale “Rifiuti Zero”, ritengono che vada attivato un sistema, chiamato in termiti tecnici Trattamento Meccanico Biologico (TMB), capace di ridurre il volume dei rifiuti rimasti dopo che è stata effettuata un’efficace azione di raccolta, compostaggio e riciclaggio. Va insomma rimessa in pista la così detta proposta delle 4R: riduci, ripara, riusa, ricicla.

Così facendo, non ci sarebbe bisogno degli inceneritori in quanto già oggi i migliori sistemi di selezione meccanica e di compostaggio permettono di ridurre i rifiuti di massa e volume più di quanto non si ottenga bruciandoli. In poche parole, per adempiere alla direttiva comunitaria che richiede riduzioni significative della quantità di rifiuti da smaltire in discarica vi sono soluzione alternative agli inceneritori: basta guardare fuori dai confini italiani, in Gran Bretagna per esempio o in Canada. Ma la legge delega del Ministro Matteoli va drammaticamente in direzione opposta.
 

 

     

 Valle Telesina


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