di
Alessandra Mariotti
4/4/2006
fonte:
http://www.buonpernoi.it/ViewDoc.asp?ArticleID=6181
Energia pulita ricavata dai rifiuti? Non è
possibile, il caso dell’inceneritore più grande
d’Europa lo dimostra chiaramente. Siamo a
Brescia, dove i rifiuti inceneriti si
trasformano in polveri killer.
Si
moltiplicano un po’ in tutta Italia le
manifestazioni di gruppi ecologisti e comitati
cittadini contro la nascita di questo o
quell’inceneritore o contro l’ampliamento di
termovalorizzatori (che in realtà sono la stessa
cosa, cambia solo il nome e vedremo più avanti
il perché…) già esistenti. A Trento come a
Rabiano nel riminese. Contro il nuovo
inceneritore di Reggio Emilia, che il Comune
vuole costruire tre volte più grande, è
addirittura sceso in campo Beppe Grillo.
Possibile che dietro al rifiuto di vedersi
posizionato sotto casa un inceneritore ci sia
solo la così detta sindrome Ninby? Che, in
sostanza, vorrebbe dire “Costruisci pure
l’inceneritore, ma non nel mio giardino (not
in my back yard).”
In
realtà, sfogliando i proclami dei vari gruppi
ambientalisti, ci si rende conto che a essere
rifiutata è la scelta dell’inceneritore in
quanto tale. Poiché, si sostiene, il problema
dei rifiuti non si risolve affatto bruciandoli,
anzi. La fantomatica energia pulita che si
ricaverebbe incenerendo l’immondizia è
tutt’altro che verde: “arrostendo” i rifiuti
si producono infatti fumi tossici composti da
microparticelle cancerogene e ceneri altamente
pericolose che vanno smaltite in discarica.
Altro che ridurle, con gli inceneritori le
discariche aumentano e diventano ancor più
pericolose. Insomma, benché li abbiano chiamati
con l’eufemismo di “termovalorizzatori”, la
falsa magia degli inceneritori è stata svelata
da serissimi studi internazionali. In Italia
ci ha pensato il prof. Marino Ruzzenenti che nel
suo libro “L’Italia sotto i rifiuti” ha
preso in esame il caso più emblematico, quello
dell’inceneritore di Brescia che è tra l’altro
il più grande d’Europa.
Proprio analizzando il caso bresciano emergono
tutte le contraddizioni degli inceneritori, nati
in sostanza per adempiere a una direttiva
comunitaria che richiedeva riduzioni
significative della quantità di rifiuti da
smaltire in discarica. Dal motto “tutto in
discarica” si è quindi passati al nuovo slogan
“tutto nell’inceneritore”. E così è accaduto
a Brescia dove, in una zona già tristemente nota
per il disastro ambientale dell’industria
chimica Caffaro (contaminazione del suolo con
Pcb e diossine) a metà degli anni ’90 entra in
funzione l’inceneritore. L’ha costruito la Asm
Spa (il cui azionista di maggioranza è il
Comune) con l’obiettivo di utilizzare i rifiuti
come combustibile per alimentare una centrale
termoelettrica capace di produrre energia per la
città e riscaldare le abitazioni. E così
avviene. Ma a quale prezzo?
Assolutamente
vantaggioso per l’Asm e per il Comune che ci
guadagnano, vendendo energia e acqua calda e
potendo inoltre contare su incentivi statali. Sì
perché i rifiuti, con un tocco di bacchetta
magica, sono trasformati in fonti rinnovabili e
quindi l’energia prodotta viene pagata dall’Enel
all’Asm ad un prezzo addirittura triplicato.
In realtà la direttiva dell’Ue considera fonte
rinnovabile solo “la parte biodegradabile dei
rifiuti industriali e urbani” però, magia magia,
il decreto con cui l’Italia ha recepito questa
normativa europea, ha inserito tra le cosiddette
biomasse anche “rifiuti organici e inorganici.”
Uno stratagemma che la Commissione europea non
ha però gradito. E infatti sta portando avanti
vari provvedimenti di infrazione nei confronti
dell’Italia, contestandole di aver violato in
trenta casi la normativa ambientale dell’Ue.
E uno di questi casi riguarda proprio
l’inceneritore di Brescia a cui manca, dettaglio
certo non trascurabile, la valutazione di
impatto ambientale. Mai possibile direte
voi? Sì perché quando il progetto fu approvato
non era obbligatoria e poco importa se le
direttive comunitarie poi recepite, con ritardo,
dall’Italia la prevedessero. A Brescia se ne
sono semplicemente fregati.
Entriamo ora ancor più nel dettaglio e cerchiamo
di capire come funziona quello che Ruzzenenti
non esita a definire “un mostro ecologico”. Che
vada a rifiuti l’abbiamo capito. Ma quali? In
quali quantità? “Per alimentare l’inceneritore,
che funziona secondo le logiche dell’economia di
scala – afferma Ruzzenenti nel suo libro –
non solo bisogna aumentare a dismisura la
produzione di rifiuti, in clamorosa
contraddizione con le priorità del decreto
Ronchi e dell’Ue, ed importare rifiuti da
ogni parte d’Italia, ma bisogna anche
scoraggiare il più possibile la raccolta
differenziata che sottrarrebbe prezioso
combustibile alla megamacchina.” E così Brescia
si trasforma nella città più immondezzaia
d’Italia.
La
“fame” di carburante per il termovalorizzatore
(brucia 750.000 tonnellate di rifiuti) produce
insomma il paradosso dell’abbandono del
riciclaggio. Carta, cartone, plastica e altri
materiali che potrebbero essere riutilizzati,
sono invece inceneriti perché, bruciando
producono ottime quantità di energia. Se le
togliessimo il potere calorico degli
inceneritori diminuirebbe di oltre il 90%.
Ma a preoccupare i cittadini, al di là della
diminuzione della raccolta differenziata, sono
le sostanze tossiche che si sprigionano al
momento dell’incenerimento dei rifiuti. E ne
hanno ben ragione. Afferma Vittorina Polidori,
responsabile inquinamento di Greenpeace “Le
ricerche hanno dimostrato che gli inceneritori
producono centinaia di agenti inquinanti, fra
cui diossine e metalli pesanti.” Queste
particelle inquinanti ce le ritoviamo nei fumi
che escono dagli inceneritori perché, come va
spiegando in convegni un po’ in tutt’Italia il
ricercatore modenese Stefano Montanari,
innalzando la temperatura degli impianti si
producono particelle così piccole da sfuggire
alle centraline di controllo che massimo
arrivano a misurare le PM10.
L’aria sembra insomma pulita e invece è piena di
micropolveri (dalle Pm2,5 in giù) capaci di
entrare con grande facilità nell’organismo, fino
al nucleo delle cellule, e di provocare tutta
una serie di malattie gravissime, tumori
compresi. “In sostanza – si legge in
un’intervista rilasciata al quotidiano trentino
L’Adige dallo studioso che svolge ricerche a
livello internazionale sulle nanopatologie
– con gli inceneritori ci ‘liberiamo’ sì di
una tonnellata di rifiuti estremamente
grossolani, ma non facciamo altro che
trasformandoli in una tonnellata di fumi,
contenenti una notevolissima quantità di
sostanze tossiche, che ritroviamo nell’aria che
dobbiamo respirare. Senza considerare gli altri
scarti che devono essere smaltiti in discariche
speciali. ”
A questo punto, scartato l’inceneritore come
soluzione per lo smaltimento dei rifiuti, che
facciamo? Mettiamo tutto in discarica?
Meglio di no. Sia Greenpeace che il WWF, così
come la Rete Nazionale “Rifiuti Zero”, ritengono
che vada attivato un sistema, chiamato in
termiti tecnici Trattamento Meccanico
Biologico (TMB), capace di ridurre il volume
dei rifiuti rimasti dopo che è stata effettuata
un’efficace azione di raccolta, compostaggio e
riciclaggio. Va insomma rimessa in pista la così
detta proposta delle 4R: riduci, ripara,
riusa, ricicla.
Così facendo, non ci sarebbe bisogno degli
inceneritori in quanto già oggi i migliori
sistemi di selezione meccanica e di compostaggio
permettono di ridurre i rifiuti di massa e
volume più di quanto non si ottenga bruciandoli.
In poche parole, per adempiere alla direttiva
comunitaria che richiede riduzioni significative
della quantità di rifiuti da smaltire in
discarica vi sono soluzione alternative agli
inceneritori: basta guardare fuori dai confini
italiani, in Gran Bretagna per esempio o in
Canada. Ma la legge delega del Ministro Matteoli
va drammaticamente in direzione opposta.
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