Ha ragione
Fabrizio Bisesto:
viviamo in un mondo alla rovescia. Lo ha
affermato con i toni pacati ma sicuri di chi è
forte delle proprie argomentazioni. Di fronte a
tanta lucidità provo ad aggiungere qualche
considerazione, insieme alla rinnovata
solidarietà e partecipazione nei confronti di
tante ragazze e ragazzi che, ostinatamente, non
intendono chinare il capo.
Se non capisco male, la
"colpa" delle studentesse e degli studenti
liceali è stata quella di aver chiesto un'ora di
assemblea straordinaria per discutere del bando
pubblicato dalla provincia di Benevento per
reperire urgentemente 10 aule nel territorio di
Telese. Ormai tutti quelli che leggono il
giornale almeno una volta al mese, in questa
provincia, sanno quale mobilitazione hanno
realizzato gli studenti contro l'ipotesi balzana
di ubicare il liceo nell'ex molino Capasso &
Romano, poiché chiedono giustamente la
costruzione di un nuovo impianto. Credo fosse
assolutamente naturale e legittimo che essi
tenessero desta l'attenzione. In un mondo
"normale" tutto questo sarebbe accolto con
favore: non è forse così che si realizza quella
partecipazione alla cosa pubblica a cui siamo
invitati ad ogni tornata elettorale?
Ma questo,
evidentemente, è un mondo che continua a
camminare sulle mani. Non mi sorprende che le
risposte date a chi tenta di riflettere sulle
cose siano spesso burocratiche e scostanti: ci
si affida alla lettera della norma codificata,
dei codici e dei codicilli, quando il confronto
con la mutevole realtà fa paura. Come se non
bastasse, si condisce il tutto con la solita
litania delle strumentalizzazioni politiche. Ma
davvero credono che le ragazze e i ragazzi siano
così stupidi da lasciarsi imbambolare?
La lettura dei
contributi pervenuti a Vivitelese sollecita
diverse riflessioni. Ad esempio induce ad
interrogarsi sul rapporto con le istituzioni. In
questi anni, soprattutto nel nostro paese (ma
siamo in buona compagnia, nel mondo cosiddetto
occidentale) abbiamo assistito alla distorsione
della funzione istituzionale: le istituzioni,
infatti, sono divenute lo strumento per la
tutela degli interessi di pochi e non il luogo
di composizione e sintesi - per quanto in chiave
moderata e stabilizzatrice - delle molteplici e
spesso contrastanti spinte nate dal corpo
sociale. Intimamente svilite, le istituzioni
hanno accentuato l'unica funzione che ancora
rimaneva loro compiutamente: quella ordinante,
in grado di cristallizzare i rapporti di forza,
rendersi impermeabile alla società. Lungo tale
via, il confine tra la funzione ordinante ed
autoritarismo è spesso tenue, e perciò
facilmente oltrepassabile.
Del resto, che il
monopolio del potere non sia più nelle mani del
sovrano ce lo hanno suggerito, da tempo, la
crisi dello Stato moderno e l'opera di Foucault.
Le istituzioni, quindi, sono diffuse,
parcellizzate, molecolari, ed esercitano pro
parte quel potere che un tempo era nella
mani dell'unico sovrano. La scuola è una di
queste istituzioni, anzi, è l'istituzione più
paradigmatica di tutte, perché proprio in essa
(o meglio: nel sistema dell'istruzione) si
scorge il nesso intimo e indistricabile tra
potere e sapere. Pensiamo a cosa c'è dietro,
ancora oggi, al tema dell'accessibilità alla
scuola e all'istruzione superiore,
universitaria, postuniversitaria: ci sono dietro
questioni di classe, di ricchezza e di
distribuzione di questa ricchezza. E non è un
caso, visto che le statistiche europee ci dicono
che, per quanto scassato e barcollante possa
essere, è sempre il sapere certificato che
permette un certo grado di mobilità sociale. E
chi ha interesse a questa mobilità sociale? Chi
sta sotto o chi sta sopra? La risposta mi pare
evidente.
Per questo abbondano gli
esempi di arroccamento, da parte della scuola,
piuttosto che quelli di apertura. La funzione
ordinante ed autoritaria sembra ingoiare quella
progressiva ed egualitaristica.
E non è solo un fatto
della scuola. C'è qualcuno che ritiene che oggi,
in Italia, potrebbe ripetersi un'esperienza
straordinaria come quella di Franco Basaglia,
che ebbe il coraggio e la forza di proporre la
chiusura dei manicomi perché peggioravano le
condizioni dei "matti"? C'è qualcuno che scorge
la possibilità, oggi,di affermare idee
altrettanto rivoluzionarie? Oggi va già bene una
lodevole canzone sanremese.
Insomma, gli educatori e
le educatrici di oggi, siano essi i genitori o
gli insegnanti, devono fare i conti con passaggi
epocali, in cui siamo invischiati totalmente, al
punto che fatichiamo a definir-li e a
definir-ci. Usiamo infatti termini troppo vaghi,
onnicomprensivi, come "globalizzazione" e "postfordismo",
che non siamo in grado di spiegare
compiutamente. Per questo non funziona il
discorso di presunti valori tradizionali,
travolti dalla rutilante attualità, fatta di
mutamenti sociali, trasformazioni della
struttura familiare, ridislocazione del
femminile.
Insomma, si discute di
temi importanti e grandi. Studentesse e studenti
del liceo non si chiamano fuori, così marcando
la distanza da quell'asettico tecnicismo che ci
vorrebbe cittadini solo al momento del voto. Le
studentesse e gli studenti non si accontentano
di attivare quella delega formale che significa
distanziazione, lontananza, separatezza. Mi
sembra una buona cosa, un esempio da seguire con
concrete speranze.
Telese Terme, 06 marzo
2007
Gianluca Aceto
Segretario circolo PRC-SE Telese Terme
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