Dopo la pataccata
delle monete romane, gli amministratori di
Telese Terme, evidentemente preoccupati di
passare alla storia solo per il vuoto,
sponsorizzano una mostra sul brigantaggio
(speriamo per noi cittadini a gratis) creata ad
arte da una sedicente organizzazione
neoborbonica che sul proprio sito inneggia con
profonda nostalgia alla grandezza morale e
storica dei Borboni re di Napoli.
La Storia del
brigantaggio è cosa conosciuta ed acquisita,
esistono centinaia di pubblicazioni serie che
hanno raccontato quel, neppure tanto lungo,
periodo della storia meridionale; il fenomeno
del brigantaggio negli anni è stato trattato a
vario modo e aldilà dei trattati seri ci sono
state diverse letture quasi sempre di parte e
quasi sempre a proprio uso e consumo, ben, o
forse non sapendo, che la storia non è un
elastico che si allunga o si accorcia a proprio
piacimento ma che è una verità documentale che
si sostiene sui fatti.
I fatti ci dicono
che i Borboni erano dei re come tutti gli altri,
che vivevano alle spalle della plebe, che
governavano con il metodo della "festa, farina e
forca", che con l'aiuto della Chiesa repressero
nel sangue le istanze di libertà interne, che
dopo la rivoluzione del 1799 eliminarono le
migliori menti che il regno esprimeva in tutti i
campi le quali, forse, avrebbero potuto,
anzitempo, porre le basi per il riscatto morale
e civile del Sud d'Italia, che furono gli
artefici della loro fine perché come
Mariantonietta in Francia continuavano a
mangiare brioche mentre il popolo non aveva
pane, che quando Garibaldi era ancora
lontanissimo da Napoli essi avevano tanto a
cuore la difesa del regno che scapparono a Gaeta
tenendo a portata di mano e a vista dalle mura
della fortezza una nave pronta per la Spagna,
lasciando l'esercito senza comando.
Venendo poi ai
briganti, del resto seppure nell' eccezione più
nobile di coloro che prendevano ai ricchi per
dare ai poveri, essi restano nella storiografia
dei briganti: la storia ci dice che questi erano
un universo variegato, le bande agivano
raramente in contatto tra loro e dopo il
tentativo fallito del generale Borjes di
unificare le bande in un esercito
insurrezionale, aumentò la violenza e la ferocia
nella misura in cui esse avvertivano il senso
della fine.
Violenza e
ferocia che si scaricò sulle popolazioni stesse
da cui provenivano, divenuto, dopo un brevissimo
momento in cui sembrava rispondere ad intenti
politici o quanto meno sociali, un agglomerato
informe in cui confluivano molteplici
motivazioni: anarchia, revanscismo,riscatto
esistenziale, il brigantaggio mostrò il suo vero
volto:
uomini mossi
dalla profonda miseria, dalla fame e dalla
povertà di cui i piemontesi almeno per allora
non avevano colpa, ma che era stata alimentata
proprio da quei Borboni che essi, dopo
poco, smisero presto di proteggere.
Chi erano e cosa
fecero i Piemontesi? Ebbene questa è un'altra
storia, se in fondo "cambiarono tutto perché
tutto restasse uguale", fa parte di un'altra
indagine, personalmente mi limito ad affermare
che continuare a chiederci se i briganti siano
stati ladri o eroi è quanto meno ozioso, che lo
facciano dei neoborbonici è volutamente
strumentale, che a sponsorizzarli siano i nostri
amministratori a cui la democrazia ha dato voce
è quanto meno poco opportuno.
Nella nostra
cittadina vi sono studiosi seri che hanno
analizzato il fenomeno scrivendo libri seri, che
non amano stupire con gli effetti speciali, ma
che se interrogati potrebbero fornirvi letture
più serie e documentate di quanto possano fare
persone per le quali la nostra democrazia credo
abbia un solo torto: aver dato la parola anche a
chi non la merita.
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