25 giugno 2007
Telese, a proposito dei "Briganti"
Gino Di Vico

 

 

Dopo la pataccata delle monete romane, gli amministratori di Telese Terme, evidentemente preoccupati di passare alla storia solo per il vuoto, sponsorizzano una mostra sul brigantaggio (speriamo per noi cittadini a gratis) creata ad arte da una sedicente organizzazione neoborbonica che sul proprio sito inneggia con profonda nostalgia alla grandezza morale e storica dei Borboni re di Napoli.

La Storia del brigantaggio è cosa conosciuta ed acquisita, esistono centinaia di pubblicazioni serie che hanno raccontato quel, neppure tanto lungo, periodo della storia meridionale; il fenomeno del brigantaggio negli anni è stato trattato a vario modo e aldilà dei trattati seri ci sono state diverse letture quasi sempre di parte e quasi sempre a proprio uso e consumo, ben, o forse non sapendo, che la storia non è un elastico che si allunga o si accorcia a proprio piacimento ma che è una verità documentale che si sostiene sui fatti.

I fatti ci dicono che i Borboni erano dei re come tutti gli altri, che vivevano alle spalle della plebe, che governavano con il metodo della "festa, farina e forca", che con l'aiuto della Chiesa repressero nel sangue le istanze di libertà interne, che dopo la rivoluzione del 1799 eliminarono le migliori menti che il regno esprimeva in tutti i campi le quali, forse, avrebbero potuto, anzitempo, porre le basi per il riscatto morale e civile del Sud d'Italia, che furono gli artefici della loro fine perché come Mariantonietta in Francia continuavano a mangiare brioche mentre il popolo non aveva pane, che quando Garibaldi era ancora lontanissimo da Napoli essi avevano tanto a cuore la difesa del regno che scapparono a Gaeta tenendo a portata di mano e a vista dalle mura della fortezza una nave pronta per la Spagna, lasciando l'esercito senza comando.

Venendo poi ai briganti, del resto seppure nell' eccezione più nobile di coloro che prendevano ai ricchi per dare ai poveri, essi restano nella storiografia dei briganti: la storia ci dice che questi erano un universo variegato, le bande agivano raramente in contatto tra loro e dopo il tentativo fallito del generale Borjes di unificare le bande in un esercito insurrezionale, aumentò la violenza e la ferocia nella misura in cui esse avvertivano il senso della fine.

Violenza e ferocia che si scaricò sulle popolazioni stesse da cui provenivano, divenuto, dopo un brevissimo momento in cui sembrava rispondere ad intenti politici o quanto meno sociali, un agglomerato informe in cui confluivano molteplici motivazioni: anarchia, revanscismo,riscatto esistenziale, il brigantaggio mostrò il suo vero volto:

uomini mossi dalla profonda miseria, dalla fame e dalla povertà di cui i piemontesi almeno per allora non avevano colpa, ma che era stata alimentata proprio da quei Borboni che essi, dopo poco, smisero presto di proteggere.

Chi erano e cosa fecero i Piemontesi? Ebbene questa è un'altra storia, se in fondo "cambiarono tutto perché tutto restasse uguale", fa parte di un'altra indagine, personalmente mi limito ad affermare che continuare a chiederci se i briganti siano stati ladri o eroi è quanto meno ozioso, che lo facciano dei neoborbonici è volutamente strumentale, che a sponsorizzarli siano i nostri amministratori a cui la democrazia ha dato voce è quanto meno poco opportuno.

Nella nostra cittadina vi sono studiosi seri che hanno analizzato il fenomeno scrivendo libri seri, che non amano stupire con gli effetti speciali, ma che se interrogati potrebbero fornirvi letture più serie e documentate di quanto possano fare persone  per le quali la nostra democrazia credo abbia un solo torto: aver dato la parola anche a chi non la merita.

 

 

     

 Valle Telesina


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