26 luglio 2007

Biomasse, la posizione di Legambiente

Grazia Fasano

 

 

Legambiente Valle Telesina

Impianto a biomasse di San Salvatore Telesino

Dalla lettura della documentazione da noi visionata relativa alla “Centrale per la produzione di energia elettrica con termovalorizzazione di biomasse”da realizzarsi nella zona PIP del comune di san Salvatore Telesino, ai confini con i comuni di Amorosi e Puglianello, troppe domande sono ancora inevase. Le caratteristiche salienti dell’impianto a biomasse da realizzarsi a San Salvatore Telesino desunte dallo “Studio di Impatto Ambientale-Sintesi in Linguaggio non Tecnico”, e dalla comunicazione in data 3 luglio 2007 della società VO.CEM. S.r.l. alla Conferenza dei Servizi, sono: produzione di 10 MWe; utilizzo di 110.000 t/anno di combustibile; produzione di circa 50 t/ora di vapore surriscaldato; una capacità di stoccaggio di circa 12.000 m3; due linee di processo a griglie mobili raffreddate ad acqua; approvvigionamento di acqua direttamente dalla falda ammontante a 3 l/s; l’energia elettrica prodotta verrà convogliata alla sottostazione di Telese Terme con un cavidotto; realizzazione di un accesso diretto alla strada statale “Fondo Valle Isclero”, infrastrutturata dall’Ente Comunale; afflusso veicolare all’impianto previsto di 30 camion e 15 auto al giorno, con sosta prolungata anche notturna davanti allo slargo dell’impianto.

La prima, e più importante, le autorizzazioni non sono state richieste all’Assessorato all’Agricoltura della Regione Campania, trattandosi di agroenergie, ma all’Assessorato all’Ambiente, che si occupa di autorizzazioni per trattamento di rifiuti, quindi l’impianto verrebbe autorizzato come impianto per il trattamento di rifiuti speciali, e non comprendiamo perché la società VOCEM si ostina a non voler cambiare orientamento, pur essendo stata sollecitata in tal senso. Le autorizzazioni all’esercizio sono state richieste ai sensi dell’ex art. 28 del Decreto legislativo 22/97 (Decreto Ronchi) sui rifiuti. D’altra parte, dalla stampa locale bergamasca si apprende che proprio la modifica del Piano industriale apportato da Abm, multiutility della Provincia di Bergamo, starebbe alla base del mancato accordo con AceaElectrabel per la cessione del 51% della società. Dallo Studio di Impatto Ambientale (S.I.A.) in linguaggio non tecnico la Vocem prevede di trattare il 30% da rifiuti della lavorazione del legno, il 20% di scarti agricoli, il 40% di scarti forestali e il 10% di pellet, e, dalla nota del 3 luglio 2007 in seguito alla Conferenza dei Servizi del 25 giugno 2007, si prevede a regime un approvvigionamento di 40 t/a , pari al 35% , da colture dedicate nel territorio regionale, per il quale adesso, si dice, ”… tale contributo non è stato stimato…” Ci chiediamo, come si prevede di arrivare al 35% di colture dedicate? Quali tempi si prevedono per andare “a regime”, con un approvvigionamento di 40.000 t/a da colture dedicate?

Secondariamente, non comprendiamo qual ‘è la reale filiera all’impianto previsto dal progetto della Vocem? Ci sono gli accordi con i produttori? Dalla nota del 3 luglio 2007 in seguito alla Conferenza dei Servizi, la Vocem dichiara che “…Le valutazione sul mercato di conferimento sono state condotte…su stime o interviste dirette agli operatori…” e che “…sono stati consultati documenti ufficiali aggiornati, quali il Piano Energetico della Provincia di Benevento e il Piano Stralcio Regionale per i rifiuti speciali…”. Il dimensionamento è stato fatto sulla base di una analisi inestimabile di materiali da bruciare. Manca uno studio sull’approvvigionamento.

Inoltre, se ci sono i presupposti per la cogenerazione, perché questa non viene prevista nel Quadro Progettuale? Perché non si prevede di studiare le condizioni per una piccola rete di teleriscaldamento attraverso un accordo con l’Amministrazione comunale di San Salvatore Telesino? Nella nota n. 3.001.CR.013 del 28.06.2007 il presidente del Cda della Vocem indica tra i vantaggi per il territorio la “ fornitura di energia termica a tariffe agevolate…” . Qual’ è la verità, se nel progetto non si fa riferimento a produzione di calore da distribuire? E le alterazioni al microclima apportate dalle variazioni termiche legate alle attività dell’impianto?

“Chiediamo alla società VOCEM di voler chiarire questi dubbi, in un incontro da prevedersi prima della convocazione della prossima Conferenza dei Servizi– afferma Grazia Fasano, presidente di Legambiente Valle Telesina - .” “Legambiente Valle Telesina ha finora chiesto (circa due anni fa) a referenti della Provincia di Bergamo alcune garanzie prioritarie: la prima, che non si prevedesse di bruciare rifiuti, e la seconda , che la filiera fosse corta, affinché i trasporti non incidessero negativamente sul bilancio ambientale complessivo. Dopo le rassicurazioni di massima, è da due anni che attendiamo un incontro pubblico di informazione. La prima perplessità che ho avuto nel leggere la documentazione dell’impianto, è che la filiera dell’approvvigionamento che lo alimenterà, a due anni di distanza, non è tuttora definita a livello progettuale. Finora siamo stati fiduciosi perché gli impianti a biomasse, che utilizzano legno e altre biomasse ( paglia, ecc.) sono una fonte energetica rinnovabile importante per raggiungere gli obiettivi del Protocollo di Kyoto e ridurre di circa il 20% le emissioni di CO2 entro il 2012 e di incrementare l’uso delle energie rinnovabili del 20% entro il 2020.

“Ma cosa diversa è ciò che si evince dal piano industriale della Società Vocem che, ai sensi della legge n. 152/2006 ha chiesto l’autorizzazione per codici di rifiuti speciali e poi in modo sibillino ha proposto di poter essere autorizzato a termovalorizzare anche Combustibile Derivato dai Rifiuti (CDR).

Questi sono impianti che a noi non piacciono, perché non hanno una dimensione “locale, utilizzando solo in piccola parte le biomasse locali e senza recupero di calore. In questo senso condividiamo le preoccupazioni espresse dai cittadini e dalle amministrazioni.”. Il problema è quindi a nostro avviso che la VOCEM faccia fino in fondo chiarezza, recuperando anche la carenza di comunicazione fin qui avuta.

La proposta di Legambiente a livello nazionale, per un’agricoltura che può contribuire attivamente agli obiettivi di Kyoto, è di realizzare le filiere agroenergetiche a biomasse a bilancio energetico positivo, ecosostenibili e solo con l’utilizzazione integrale del vegetale messo a coltura. Legambiente propone un progetto sistemico in agricoltura, per “raggiungere Kyoto”, che si può realizzare a partire dai territori rappresentati dalle PROVINCE, dove le filiere agroenergetiche rispettose delle caratteristiche agronomiche dei siti, la dimensione flessibile e piccolo-media degli impianti si integrino e siano funzionali con le altre filiere di vocazione locale, realizzando la filiera corta energetica per l’impiego, il più efficiente possibile, di tutta l’energia prodotta.

L’attività di start up è rappresentata da un Protocollo di Intesa, che costituisce un intervento propedeutico, necessario e strategico, condiviso con tutti gli attori pubblici e privati del territorio, sia per la tutela del settore agricolo, sia per l’occupazione. Il Protocollo di Intesa deve avvenire nel rispetto dei PSR e del Piano Energetico Ambientale Regionali e provinciali. C’è il tempo per rivalutare la vicenda nel suo complesso e ripartire dal Piano Energetico Provinciale? Per la nostra provincia, a vocazione agricola e naturalistico-ambientale, pensiamo che si debbano prevedere solo impianti di produzione a impatto zero, preferendo la generazione distribuita. In questa ottica, proponiamo che si avvii uno studio per verificare una possibile filiera corta per l’uso di biomasse locali.”

I dati, le esperienze positive e negative in Italia sulle Biomasse: La produzione totale di energia da fonti rinnovabili in Italia oggi è pari al 7% della produzione totale di energia primaria, corrispondente a 16,5 megatep, di cui solo i 4 da biomasse. Eppure sono in crescita i Comuni italiani che utilizzano impianti a biomasse. Oggi grazie a impianti che utilizzano legno e biomasse (e non rifiuti come purtroppo considera la normativa italiana) si produce elettricità pari a 1.981GWh per un fabbisogno di 792mila famiglie. Sono in rapida diffusione esperienze locali virtuose di impianti capaci di utilizzare biomasse locali che producono elettricità ma soprattutto calore che grazie a una rete di teleriscaldamento permette di riscaldare case (come a Brunico e Tirano), scuole e edifici pubblici (come a Camporgiano e Casole D’Elsa).

In negativo segnaliamo le centrali a biomassa di Crotone e Strongoli, rispettivamente da 22MW e 40 MW, che rappresentano un chiaro esempio di ciò che Legambiente intende per centrale a biomassa non sostenibile. Le due centrali in questione infatti utilizzano la biomassa solo per la produzione di energia elettrica, disperdendo nell’ambiente tutto il calore prodotto che potrebbe soddisfare una buona percentuale di fabbisogno di acqua calda sanitaria delle utenze dei due Comuni. Inoltre le due centrali richiedono per il loro funzionamento circa 700 mila tonnellate di biomassa, che in buona parte non è reperibile a livello locale e dunque viene importata via mare dal Brasile, dal Centro America e dal Portogallo.

 

 

 

     

 Valle Telesina


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