Legambiente Valle Telesina
Impianto a biomasse di San Salvatore Telesino
Dalla lettura della documentazione da noi
visionata relativa alla “Centrale per la
produzione di energia elettrica con
termovalorizzazione di biomasse”da realizzarsi
nella zona PIP del comune di san Salvatore
Telesino, ai confini con i comuni di Amorosi e
Puglianello, troppe domande sono ancora inevase.
Le caratteristiche salienti dell’impianto a
biomasse da realizzarsi a San Salvatore Telesino
desunte dallo “Studio di Impatto
Ambientale-Sintesi in Linguaggio non Tecnico”, e
dalla comunicazione in data 3 luglio 2007 della
società VO.CEM. S.r.l. alla Conferenza dei
Servizi, sono: produzione di 10 MWe; utilizzo di
110.000 t/anno di combustibile; produzione di
circa 50 t/ora di vapore surriscaldato; una
capacità di stoccaggio di circa 12.000 m3; due
linee di processo a griglie mobili raffreddate
ad acqua; approvvigionamento di acqua
direttamente dalla falda ammontante a 3 l/s;
l’energia elettrica prodotta verrà convogliata
alla sottostazione di Telese Terme con un
cavidotto; realizzazione di un accesso diretto
alla strada statale “Fondo Valle Isclero”,
infrastrutturata dall’Ente Comunale; afflusso
veicolare all’impianto previsto di 30 camion e
15 auto al giorno, con sosta prolungata anche
notturna davanti allo slargo dell’impianto.
La
prima, e più importante, le autorizzazioni non
sono state richieste all’Assessorato
all’Agricoltura della Regione Campania,
trattandosi di agroenergie, ma all’Assessorato
all’Ambiente, che si occupa di autorizzazioni
per trattamento di rifiuti, quindi l’impianto
verrebbe autorizzato come impianto per il
trattamento di rifiuti speciali, e non
comprendiamo perché la società VOCEM si ostina a
non voler cambiare orientamento, pur essendo
stata sollecitata in tal senso. Le
autorizzazioni all’esercizio sono state
richieste ai sensi dell’ex art. 28 del Decreto
legislativo 22/97 (Decreto Ronchi) sui rifiuti.
D’altra parte, dalla stampa locale bergamasca si
apprende che proprio la modifica del Piano
industriale apportato da Abm, multiutility della
Provincia di Bergamo, starebbe alla base del
mancato accordo con AceaElectrabel per la
cessione del 51% della società. Dallo Studio di
Impatto Ambientale (S.I.A.) in linguaggio non
tecnico la Vocem prevede di trattare il 30% da
rifiuti della lavorazione del legno, il 20% di
scarti agricoli, il 40% di scarti forestali e il
10% di pellet, e, dalla nota del 3 luglio 2007
in seguito alla Conferenza dei Servizi del 25
giugno 2007, si prevede a regime un
approvvigionamento di 40 t/a , pari al 35% , da
colture dedicate nel territorio regionale, per
il quale adesso, si dice, ”… tale contributo non
è stato stimato…” Ci chiediamo, come si prevede
di arrivare al 35% di colture dedicate? Quali
tempi si prevedono per andare “a regime”, con un
approvvigionamento di 40.000 t/a da colture
dedicate?
Secondariamente, non comprendiamo qual ‘è la
reale filiera all’impianto previsto dal progetto
della Vocem? Ci sono gli accordi con i
produttori? Dalla nota del 3 luglio 2007 in
seguito alla Conferenza dei Servizi, la Vocem
dichiara che “…Le valutazione sul mercato di
conferimento sono state condotte…su stime o
interviste dirette agli operatori…” e che “…sono
stati consultati documenti ufficiali aggiornati,
quali il Piano Energetico della Provincia di
Benevento e il Piano Stralcio Regionale per i
rifiuti speciali…”. Il dimensionamento è stato
fatto sulla base di una analisi inestimabile di
materiali da bruciare. Manca uno studio
sull’approvvigionamento.
Inoltre, se ci sono i presupposti per la
cogenerazione, perché questa non viene prevista
nel Quadro Progettuale? Perché non si prevede di
studiare le condizioni per una piccola rete di
teleriscaldamento attraverso un accordo con
l’Amministrazione comunale di San Salvatore
Telesino? Nella nota n. 3.001.CR.013 del
28.06.2007 il presidente del Cda della Vocem
indica tra i vantaggi per il territorio la “
fornitura di energia termica a tariffe
agevolate…” . Qual’ è la verità, se nel progetto
non si fa riferimento a produzione di calore da
distribuire? E le alterazioni al microclima
apportate dalle variazioni termiche legate alle
attività dell’impianto?
“Chiediamo alla società VOCEM di voler chiarire
questi dubbi, in un incontro da prevedersi prima
della convocazione della prossima Conferenza dei
Servizi– afferma Grazia Fasano, presidente di
Legambiente Valle Telesina - .” “Legambiente
Valle Telesina ha finora chiesto (circa due anni
fa) a referenti della Provincia di Bergamo
alcune garanzie prioritarie: la prima, che non
si prevedesse di bruciare rifiuti, e la seconda
, che la filiera fosse corta, affinché i
trasporti non incidessero negativamente sul
bilancio ambientale complessivo. Dopo le
rassicurazioni di massima, è da due anni che
attendiamo un incontro pubblico di informazione.
La prima perplessità che ho avuto nel leggere la
documentazione dell’impianto, è che la filiera
dell’approvvigionamento che lo alimenterà, a due
anni di distanza, non è tuttora definita a
livello progettuale. Finora siamo stati
fiduciosi perché gli impianti a biomasse, che
utilizzano legno e altre biomasse ( paglia,
ecc.) sono una fonte energetica rinnovabile
importante per raggiungere gli obiettivi del
Protocollo di Kyoto e ridurre di circa il 20% le
emissioni di CO2 entro il 2012 e di incrementare
l’uso delle energie rinnovabili del 20% entro il
2020.
“Ma cosa diversa è ciò che si evince dal piano
industriale della Società Vocem che, ai sensi
della legge n. 152/2006 ha chiesto
l’autorizzazione per codici di rifiuti speciali
e poi in modo sibillino ha proposto di poter
essere autorizzato a termovalorizzare anche
Combustibile Derivato dai Rifiuti (CDR).
Questi sono impianti che a noi non piacciono,
perché non hanno una dimensione “locale,
utilizzando solo in piccola parte le biomasse
locali e senza recupero di calore. In questo
senso condividiamo le preoccupazioni espresse
dai cittadini e dalle amministrazioni.”. Il
problema è quindi a nostro avviso che la VOCEM
faccia fino in fondo chiarezza, recuperando
anche la carenza di comunicazione fin qui avuta.
La
proposta di Legambiente a livello nazionale, per
un’agricoltura che può contribuire attivamente
agli obiettivi di Kyoto, è di realizzare le
filiere agroenergetiche a biomasse a bilancio
energetico positivo, ecosostenibili e solo con
l’utilizzazione integrale del vegetale messo a
coltura. Legambiente propone un progetto
sistemico in agricoltura, per “raggiungere
Kyoto”, che si può realizzare a partire dai
territori rappresentati dalle PROVINCE, dove le
filiere agroenergetiche rispettose delle
caratteristiche agronomiche dei siti, la
dimensione flessibile e piccolo-media degli
impianti si integrino e siano funzionali con le
altre filiere di vocazione locale, realizzando
la filiera corta energetica per l’impiego, il
più efficiente possibile, di tutta l’energia
prodotta.
L’attività di start up è rappresentata da un
Protocollo di Intesa, che costituisce un
intervento propedeutico, necessario e
strategico, condiviso con tutti gli attori
pubblici e privati del territorio, sia per la
tutela del settore agricolo, sia per
l’occupazione. Il Protocollo di Intesa deve
avvenire nel rispetto dei PSR e del Piano
Energetico Ambientale Regionali e provinciali.
C’è il tempo per rivalutare la vicenda nel suo
complesso e ripartire dal Piano Energetico
Provinciale? Per la nostra provincia, a
vocazione agricola e naturalistico-ambientale,
pensiamo che si debbano prevedere solo impianti
di produzione a impatto zero, preferendo la
generazione distribuita. In questa ottica,
proponiamo che si avvii uno studio per
verificare una possibile filiera corta per l’uso
di biomasse locali.”
I
dati, le esperienze positive e negative in
Italia sulle Biomasse: La produzione totale di
energia da fonti rinnovabili in Italia oggi è
pari al 7% della produzione totale di energia
primaria, corrispondente a 16,5 megatep, di cui
solo i 4 da biomasse. Eppure sono in crescita i
Comuni italiani che utilizzano impianti a
biomasse. Oggi grazie a impianti che utilizzano
legno e biomasse (e non rifiuti come purtroppo
considera la normativa italiana) si produce
elettricità pari a 1.981GWh per un fabbisogno di
792mila famiglie. Sono in rapida diffusione
esperienze locali virtuose di impianti capaci di
utilizzare biomasse locali che producono
elettricità ma soprattutto calore che grazie a
una rete di teleriscaldamento permette di
riscaldare case (come a Brunico e Tirano),
scuole e edifici pubblici (come a Camporgiano e
Casole D’Elsa).
In
negativo segnaliamo le centrali a biomassa di
Crotone e Strongoli, rispettivamente da 22MW e
40 MW, che rappresentano un chiaro esempio di
ciò che Legambiente intende per centrale a
biomassa non sostenibile. Le due centrali in
questione infatti utilizzano la biomassa solo
per la produzione di energia elettrica,
disperdendo nell’ambiente tutto il calore
prodotto che potrebbe soddisfare una buona
percentuale di fabbisogno di acqua calda
sanitaria delle utenze dei due Comuni. Inoltre
le due centrali richiedono per il loro
funzionamento circa 700 mila tonnellate di
biomassa, che in buona parte non è reperibile a
livello locale e dunque viene importata via mare
dal Brasile, dal Centro America e dal
Portogallo.
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