Viviamo in un mondo in cui, troppo spesso, si
erge –sprezzante- il dominio della
superficialità. Esso veste un abito camaleontico
e multiforme, si radica indisturbato nelle
periferie e nei centri, nei luoghi della
solitudine metropolitana, così come nei salotti
rampanti, nelle accademie e nella casta vetustà
del potere. Il contenuto-vuoto della
superficialità viene forgiato nella supponente
convinzione di poter raggiungere un obiettivo
seguendo la strada che appare più breve ed
utilizzando espedienti egoistici che si
colorano, a seconda delle circostanze, di
innumerevoli profili behavioristici (illiceità,
maleducazione, inciviltà, violenza, saccenza,
ecc).
Per fare degli esempi: il bullo che parcheggia
l’autovettura sul marciapiedi, il bambino in
bicicletta che taglia la strada ad un
vecchietto, il sagace vecchietto che “ruba” il
posto al bambino in una fila, l’imprenditore
commerciale che, al fine di accrescere (ciò mi
sembra legittimo) i propri utili netti, elude le
norme tributarie con artifici più o meno legali
o addirittura evade, invece di investire in
ricerca ed innovazione tecnologica per
potenziare la produttività.
In
sostanza, in qualsiasi ambito dell’umano agire
si possono scorgere, nella loro sgradevole
evidenza, accadimenti riconducibili alla
superficialità. Certamente non dispongo di una
efficace terapia per tenere a bada questo morbo.
Posso ipotizzare alcune conseguenze della sua
metodica avanzata: dalla perdita del senso di
appartenenza ad una comunità civile, allo
smarrimento della ragionevolezza, alla
disaffezione ai valori e alla ricerca
instancabile della felicità e del successo (il
mio e il tuo successo come condizione essenziale
per il successo ed il progresso collettivo; il
progresso, l’equità e la giustizia sociale come
condizione per il mio e tuo successo). Come
dicevo, non ho la ricetta pronta, ma posso
raccontarvi due storie (profondamente diverse)
che pur si rassomigliano nella loro essenza, nel
loro profetico e didascalico significato.
La
prima. Qualche anno fa un gruppo di cittadini,
con la semplice ambizione di recare un buon
servizio alla collettività e tra la placida
indifferenza dei più, decise di inaugurare un
sito internet che potesse assumere in sé una
duplice funzione: raccontare la realtà ed
ascoltarla. Sono passati anni (a dire il vero
non troppi!) ed oggi “Vivitelese” ha raggiunto
un livello qualitativo straordinario, tale da
rappresentare un punto di riferimento per molte
persone (per i residenti come per chi vive
lontano ma nel cuore porta sempre il sussurro
del ritorno), con dignità-
concedetemelo-istituzionale.
Fra qualche giorno “Vivitelese” raggiungerà un
milione di visitatori. Se solo provo ad
immaginare a quante storie, quanti litigi,
quante risate, quanti scoop, quante foto, video
hanno solcato questo pezzo di navigabile mare,
mi viene la pelle d’oca.
La
seconda. L’anno scorso (non so precisamente
quando, ma presumo nella stagione estiva) un
gruppo di amici telesini decisero di provare a
costituire un’associazione sportiva (in specie,
di basketball) e ci riuscirono. Con una fitta
rete di “passaparola” ingaggiarono ( non è del
tutto superfluo sottolineare che l’ingaggio non
prevedeva alcuna sorta di emolumento) amici e
semplici conoscenti, accomunati dal desiderio di
rispolverare forma fisica e tecnica di gioco,
per iniziare gli allenamenti e, dunque, plasmare
gradualmente la squadra. Parallelamente crearono
un sito internet per raccogliere consensi morali
ed offrire al pubblico un sintetico, ma utile
prospetto informativo (di questi tempi il culto
della trasparenza e dell’esaustività informativa
è praticato da una sparuta cerchia di fedeli, a
dispetto della contraria tendenza del dio
Legislatore!).
Usciti dal porto degli adempimenti preliminari,
il gruppo ha iniziato a veleggiare nel mare
aperto del campionato (per quanto solidi fossero
gli spirti gurrier e i generosi conferimenti
delle sponsorizzazioni, ecc. il rischio di un
naufragio non era da escludere). A distanza di
qualche mese il Basket Telese Terme ha vinto il
campionato, ha vinto i play-off, conquistando
l’approdo in Promozione, ma cosa ancor più
straordinaria, ha innescato un inedito senso di
appartenenza (senza eccessive derive
campanilistiche) e, soprattutto, di socialità.
Si sono riaffermate vecchie amicizie, si è
riaffermato il senso dello stare insieme per un
fine meritevole. Potrebbe sembrare eccessivo
lodare questo (ciò credo sia pacifico) fenomeno
sociale. Penso, al contrario, che in un mondo
che tende all’atomizzazione e al solipsismo, al
trionfo della superficialità e dell’egoismo,
delle frequentazioni virtuali, qualunque
tentativo che vada in direzione (ostinata e)
contraria sia davvero una grazia.
In
conclusione, ambedue le storie ci parlano del
contrario della superficialità. Ci parlano di
passione, dedizione, meticolosità, rigore,
voglia di crescere e migliorarsi. Credo che
queste due storie siano destinate a rimarcare
una traccia indelebile negli annales della
nostra coscienza civile.
Personalmente, ho il desiderio di ringraziare di
cuore –pubblicamente- tutti coloro che,
sottraendo tempo alla faccende private e
quotidiane, hanno generosamente investito per il
bene di tutti.
|