Era una svolta, il segno della speranza verso
una particolare evoluzione culturale tesa alla
protezione dell’ambiente.
Si era passati da una pena da tre a sette anni
per l’incendio generico ad una da quattro a
dieci anni per l’incendio di boschi e foreste.
Ma evidentemente l’effetto deterrente della pena
è stato irrilevante, viste le cronache degli
anni scorsi.
Nel 2006
il 60% degli incendi è stato doloso, il 15%
colposo e il 3% è stato di origine naturale.
Secondo l’Unione Europea il 95% degli incendi in
Italia è attribuibile all’uomo.
Ancora più gravi saranno le statistiche di
quest’anno, che al dramma hanno aggiunto il
lutto. E le carceri italiane di certo non sono
piene di detenuti incendiari.
La severità legislativa è stata quindi virtuale.
Ammesso che si riesca ad arrestare uno di questi
personaggi, scattano immediatamente tutte le
norme di procedura penale che vincolano il
magistrato nell’applicazione della custodia in
carcere, a meno che non ritenga che il soggetto
rimesso in libertà possa darsi alla fuga o
commetta gravi reati anche della stessa specie
o,infine, che possa inquinare le prove a suo
carico. Troppi “se” e questo significa che il
nostro soggetto dopo pochi giorni, o anche ore,
ha grosse speranze di ritornare in libertà.
A suo carico resta la pendenza del processo e
prima o poi dovrà essergli presentato il conto.
Purtroppo anche stavolta il sistema penale
offre spazio ad altre soluzioni. Il nostro
incendiario concorderà con il suo avvocato una
strategia difensiva e potrà ricorrere ad uno dei
riti previsti dai procedimenti speciali
(patteggiamento, rito abbreviato), godendo della
riduzione di un terzo della pena.
Si pensa che almeno quello che resta della pena,
già oggetto di sconto, lo porti al carcere. Non
è così. Se non ha potuto godere dei benefici
della condizionale perché ha avuto ad esempio
una pena superiore a due anni, suppliscono tutte
le previsioni normative previste
dall’ordinamento penitenziario e quindi, se è
stato condannato ad una pena non superiore a tre
anni (ipotesi verosimile) potrà sempre
richiedere l’affidamento in prova al servizio
sociale, che significa restare libero, svolgere
il proprio lavoro, la propria vita sociale con
l’unico limite di avere periodicamente dei
colloqui con un assistente sociale.
Se ha più di 60 anni – e si legge in questi
giorni che ad incendiare siano prevalentemente
pensionati – potrà sempre richiedere la
detenzione domiciliare.
Conclusione: il carcere è rimasto solo uno
spauracchio dissoltosi nel nulla, il nostro
sistema giuridico ha dato l’ennesima prova di
schizofrenia con un legislatore che dice una
cosa ed un altro che offre il sistema per
eluderla e l’Italia che continua impunemente a
bruciare dalle Alpi alla Sicilia.
Ma il nostro bravo legislatore, forse
consapevole delle scappatoie del codice, aveva
varato anche un’altra legge, la 353/2000 in
materia di incendi boschivi, prevedendo
all’art.10 che i boschi ed i pascoli che siano
stati percorsi dal fuoco non possono avere una
destinazione diversa da quella preesistente
all’incendio per almeno quindici anni.
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È inoltre vietata per dieci anni, sui
predetti suoli, la realizzazione di
edifici nonché di strutture e
infrastrutture finalizzate ad
insediamenti civili ed attività
produttive. Tu mi dai fuoco a zone
panoramiche o paesaggistiche con
l’intento di poterci poi costruire
insediamenti e ville ma io non ti ci
faccio costruire per 15 anni (a meno che
la licenza non era già stata concessa
prima dell’incendio). |
La legge voleva essere un freno contro le
speculazioni edilizie: ottima intenzione, ma la
cosa ancora una volta non è così scontata.
Per poter scattare i divieti di costruzione
sulle aree incendiate è indispensabile che il
Comune faccia annualmente il censimento delle
aree percorse dal fuoco, affinché siano rese
note ed ufficiali. In realtà questa mappatura
non viene fatta o ne viene iniziato l’iter in
poche realtà urbane. I motivi? Mancanza di
personale, omissioni,negligenza e non poche
volte complicità.
Intanto l’industria dell’incendio e il suo
indotto va a gonfie vele e può diventare un
vero business per quanti sono chiamati ad
intervenire e non fanno parte dell’istituzione.
I costi ricadono su tutti noi. Basti pensare
che il volo di un aereo Canadair costa 14.000
euro all’ora e quello di un grosso elicottero
che porta 10.000 litri d’acqua è di circa 6.000
euro l’ora.
Negli anni scorsi gli incendi sono costati al
contribuente italiano 500 milioni di euro
all’anno pari a circa 968 miliardi di lire. Più
di due miliardi e seicentocinquanta milioni al
giorno. Senza calcolare gli incalcolabili danni
ambientali e la distruzione di milioni di
alberi.
E da quest’anno vanno aggiunti i morti.
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